Mutaformiamoci

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  1. Rectina
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    Cucciolo

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    La dragonessa fu risvegliata dal cinguettio degli uccelli. l’alba non era ancora spuntata, sebbene l’orizzonte si stesse tingendo di strisce bluastre.
    Parilin mugugnò qualcosa, agitando nervosamente la coda: era ancora intontita e la sua coscienza faticava a vincere l’inconscio. Si trovava in uno stato di torpore ne piacevole, ne spiacevole. Era come se una parte del suo cervello stesse inviando degli impulsi che rimandavano a dei ricordi dolorosi e il resto dell’organismo non volesse saperne niente.
    Perché si stava sentendo così?
    Perché le sembrava di star male? Perché le sembrava che qualcosa dentro di lei si fosse rotto: udiva il frantumarsi di cocci di vetro e i loro spigoli taglienti, che però non tagliavano, ma logoravano le sue squame, le corrodevano. Intanto la parte posteriore della testa le doleva come se fosse stata colpita ripetutamente da delle noci di cocco scagliate da un metro di distanza.
    Intravide l’immagine sfuocata di una zampa con un artiglio insanguinato, circondato da ferite aperte.
    Si sentiva distrutta, impotente, terribilmente angosciata. Eppure nessuna lacrima sgorgò dai suoi occhi.
    Lo stimolo del pianto non c’era, ma neppure quello della rabbia. C’era soltanto lo sconforto e l’impossibilità di squarciare lo spesso cordone di gli di canapa grezza che teneva insieme coscienza ed inconscio.
    Altre immagini raccapriccianti sfilarono nella sua mente, mentre la coda si muoveva in maniera sempre più energica.
    Il suo ventre era flaccido e privo di una qualunque protezione; al contrario, la superficie aveva la consistenza della pelle di un agnello nato già in fin di vita.
    Infine, l’immagine di una stalla buia, sporca e maleodorante si materializzò più nitida che mai.
    A quel punto, non ce la fece più e diede una forte zampata al muro più vicino per scacciare quei fotogrammi orrendi e, finalmente, svegliarsi.
    -Un’altra nottataccia.- bonfunchiò seccata dentro di sé. Dopo di che si scrollò di dosso zanzare ed insetti vari che avevano trovato dimora sul suo corpo e si preparò per uscire fuori.
    Aveva bisogno di aria fresca e anche di mangiare.
    Uscì dal porticato: l’alba stava facendo capolino ptemporeggiando neanche dovesse gustarsi una preda anche lei.
    Nel frattempo, la dragonessa bianca si aggirò intorno alla casa del ragazzo che l’aveva ospitata. Si ricordò del bosco di cui egli le aveva parlato e pensò che quello era il momento più adatto per prendere in parola il suo suggerimento. Dunque si levò in volo e raggiunse un ampio pino che sembrava fare al caso suo.
    -Pigne e pinoli teneteveli voi, io per ora mi mangio un po’ di uccellini.-
    A Parilin piaceva troppo spaventare le mamme degli uccelli, che, nel sentirla arrivare, si svegliavano di soprassalto per accorrere dai loro piccoli, quando ormai erano già tra le sue faci. In partivcolar modo, godeva nel vederle accanirsi su di lei come belve inferocite.
    -Alla fine vi aiuto, così covate sempre uova e non diventate pigre.-
    La scena andò avanti fino allo spuntare dei primi raggi del sole; a quel punto ella convenne che fosse il caso di rientrare alla base, giacché tanto era sazia. Sia chiaro, non ritornava nella veranda perché altrimenti i due umani si sarebbero potuti disperare, ma piuttosto perché senza di lei difficilmente avrebbero potuto mettersi sulle tracce di quel PȪrs.
     
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19 replies since 24/12/2018, 17:52   1729 views
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