Un destino oscuro

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    Il drago azzurro che puzza di pesce

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    un destino parecchio oscuro... ma parecchio eh? oscuro come le scatole che sono venute a voi a trovare il titolo di codesta storia in ogni dove XD
    La fan fiction integrale, con le varie correzioni e rivisitazioni la trovate qui. I capitoli postati qui sotto potrebbero presentare qualche errore e alcune piccole differenze con la storia pubblicata su EFP, a cui ho apportato lievi modifiche che mi sono state suggerite e che ho deciso di implementare per completezza. VI consiglio quindi di andarla a leggere lì. Lascio qui i capitoli originali, con tanto di errori, paragrafi mancanti e aborti testuali sia per pigrizia sia per lasciare traccia integrale di quella che in realtà è solo la bozza della storia. Su EFP troverete la storia come deve essere. :sclero:

    Capitolo 1: L'origine delle ombre

    “Airack non credi che abbiano bisogno di te al tempio?” l’enorme drago rosso scrutò la compagna torvo.
    “E tu non credi che sia più importante la famiglia del lavoro? Due spade possono anche aspettare”
    “quando avrai scatenato l’ira dei guardiani non venire ha chiedermi aiuto però”
    “Non ho paura di quei vecchi rimbambiti”
    "Non sono poi così vecchi"
    "Ma comunque rimbambiti"
    Lei lo ignorò, voltando lo sguardo alle proprie spalle. La loro casa, una grotta dalle dimensioni piuttosto modeste, presentava pareti levigate di pietra bianca e calcarea come quella che costituiva il semicerchio di colonne che avvolgeva l’intero vano. Sul fondo si trovavano Due misere nicchie scavate.
    Al fianco di una di queste, su un piccolo giaciglio di paglia, era disteso un uovo.
    Un uovo viola, con la superfice cosparsa di striature nere e bluastre che davano forma ad un piccolo disegno simile ad una figura alata.
    Il drago dalle scaglie cremisi si mosse lentamente e si diresse verso il piccolo uovo, che oscurò con la sua enorme mole.
    “Il nostro piccolo”
    “Si” Rispose la dragonessa. Le sue scaglie erano di un azzurro intenso e i suoi occhi perlacei riflettevano la bontà del suo animo, puro e desideroso soltanto di sorridere di fronte alla schiusa di quel piccolo uovo viola, che sapeva le avrebbe regalato incommensurabili soddisfazioni.
    “Lehr… pensi che sarà un problema…”
    Lei lo fulminò con lo sguardo.
    “Ti ho già detto mille volte che non possiamo far finta di niente… ma non voglio che venga considerato diverso da gli altri. Ne loro nemico”
    Airack mosse leggermente la lunga coda spinata, per poi acquattarsi come a voler proteggere l’uovo.
    “Non lo abbiamo portato con le altre uova proprio per paura di metterlo in pericolo. Non mandiamo tutti i nostri sforzi di tenerlo nascosto in fumo”
    “Significa che vuoi vederlo crescere isolato da tutto e da tutti? Che vuoi vederlo guardare gli altri cuccioli che giocano impedendogli di unirsi a loro?”
    “Ovviamente no. Ma conosci la leggenda”
    “Allora saremo noi la sua guida. Ciò non toglie che debba trascorrere giorni felici e crescere con gli altri draghi”
    Airack sembrò rassegnarsi e chinò il capo in segno di resa. Prese il fragile uovo tra gli artigli rapaci e lo osservò come farebbe un cucciolo con il suo primo gioco.
    “Puoi andare, non c’è bisogno di te al momento. Non voglio che al tempio ci siano litigi”
    “non ce ne saranno” Rispose il drago rosso, stringendo il figlio tra le dita della possente zampa, per poi riaprirla e restare un altro minuto a contemplarlo.
    “Ti auguro un futuro radioso”
    Lehr sorrise.
    “E un padre che non trascuri il proprio dovere di fabbro”
    L’altro sogghignò e si diresse svelto verso l’uscita della grotta.
    Non perse troppo tempo a contemplare l’alba ancora non del tutto completa, ma lanciò un’occhiata ai primi raggi del sole che splendevano alle sue spalle, non troppo convinto che abbandonare Lehr e l’uovo fosse la scelta più saggia, per poi sollevarsi in volo con un balzo fin troppo elegante per la sua massa
    fisica.
    Volò alto nella brezza fresca di un mattino soleggiato, dilettandosi nell’sservare le scimmie e le talpe che sotto di lui erano impegnate nelle più disparate
    attività: chi scavava tane, chi costruiva capanne, chi disseminava i campi più fertili di semi e grani e chi batteva ferri sulle forge.
    Intorno a lui le fronde degli alberi più alti sembravano correre nella direzione opposta alla sua; le sue ali sferzavano un vento portatore di dubbi e incertezze e le sue scaglie percepivano il disagio come se provenisse dal suo interno.
    Nonostante il cielo fosse terso e l’alba gioisse festosa sui tetti delle capanne e sulle strade che si diramavano in tutto il regno dei draghi, l’atmosfera era carica
    di tensione. Airack sentiva come se quel giorno il tempio non lo stesse aspettando invitante come i giorni precedenti. Scacciò quel pensiero infondato dalla testa e prese velocità, giungendo in breve a destinazione.
    ***
    Un’ombra attraversò la copertura naturale della grotta nella quale Lehr e il piccolo riposavano felici e ignari. Quattro zampe silensiose e artigliate
    si posarono sulla superfice rocciosa della caverna, osservando la zona circostante costellata da arbusti di ogni genere.
    Restò in ascolto, nel tentativo di captare anche la più insignificante forma di movimento. Nessuno doveva scoprirlo, neanche la stessa Lehr, che se ne
    stava pensierosa a fissare la povera volta che costituiva la copertura interna della caverna, ignorando che qualcuno era seduto proprio sopra di lei.
    “Una casa perfetta per nascondere qualcosa” Pensò l’intruso, grattando pigramente sulla pietra ruvida.
    ***
    “Airack… erano anni che non tardavi. Che è successo?”
    Un drago dalle squame glaciali e blu come il gelo degli abissi se ne stava seduto sulle zampe posteriori, le ali stese lungo i fianchi, osservando Airack, in piedi di fronte a lui, , che sostenne lo sguardo cercando di apparire il più indifferente possibile.
    Intorno a loro, le mura antiche come il tempio che le ospitava si ergevano circolarmente fino al soffitto, costituito da un oculo vitreo dal quale filtrava
    la luce mattutina. Sulle pareti erano incastonate lame delle più incredibili fattezze: spade, asce, lance e mazze di ogni forma e dimensione, che costituivano il risultato
    di una faticosa mano d’opera da parte del drago cremisi, che trascorreva lì molto del suo tempo per esercitare le sue abilità di fabbro.
    “Se dopo tutto questo tempo… un piccolo ritardo di neanche pochi minuti mi dovesse costare chi sa quali pene non esiterò ad andarmene”
    “Nessuno ti ha chiesto di andartene”
    Airack mosse leggermente le ali per donare al suo aspetto una sfumatura più solenne e composta.
    “Allora non vedo dove sia il problema. Per me è un onore servire te e gli altri guardiani, ma di questi tempi il vostro comportamento mi sta lasciando al quanto perplesso”
    L’altro sbuffò sonoramente, spingendo il muso di qualche centimetro più vicino a quello dell’interlocutore, che non indietreggiò. Il suo corpo, nonostante apparisse robusto e navigato, al confronto di quello di Airack pareva di un’esilità sconcertante.
    “Non scaldarti. Non ce n’è alcun bisogno. Il tuo aiuto, che tu erroneamente chiami servizio, ci è molto utile e se ti senti oppresso dal nostro comportamento sei libero di andartene”
    Airack per un attimo sembrò pentirsi della propria irruenza.
    “Non intendevo dire questo. Solo che ogni minuscolo errore o incertezza riesce a diventare un pretesto di lamentela. Non mi sto riferendo a te Axius, sai
    che sei l’unico qua dentro del quale mi possa fidare ciecamente, ma l’aria che si respira al tempio mi sembra diventata piuttosto pesante”
    Le iridi marine di Axius si intrecciarono con quelle del fabbro, che non distolse le proprie per non lasciar trasparire quel guizzo di incertezza che avrebbe
    potuto tradirlo come farebbe il movimento chiassoso di una preda nascosta.
    “Noi pensiamo Airack… che il tuo comportamento così inusuale, così diverso dal tuo solito tono semplicistico sia dovuto a qualcosa. Non hai mai fatto ritardo,
    neanche di un secondo, non fosse stato per qualcosa di più che rilevante. La tua fretta di tornare a casa ogni giorno… tutte le domande alle quali ti guardi bene dal rispondere in maniera esaustiva… hanno insospettito molto Flarendor. Io personalmente ho molto rispetto per te e per le tue doti manuali, ma se
    c’è qualcosa che al tempio non piacciono sono i segreti”
    La mente di Airack comprese che c’era poco tempo per elaborare una risposta convincente e credibile. Cos’è che l’aveva tradito? Quale aspetto del suo comportamento
    aveva destato tali sospetti nei draghi del tempio?
    Il suo muso non riuscì a non contorcersi in una smorfia di disprezzo verso le sue modeste capacità di mascherare i propri pensieri.
    “Non ho mai mentito a voi guardiani degli elementi e mai lo farò. Ma non posso fare attensione ad ogni mio gesto o pensiero preoccupandomi della vostra interpretazione”
    Axius si sollevò rapidamente sulle quattro zampe, lasciando che le ali coperte di scaglie azzurre gli scivolassero a coprire le spalle.
    “Senti Airack… cosa c’è in quella tua grotta a cui sei tanto affezionato che noi non dobbiamo vedere. Spero per te che non sia niente di importante perché Flarendor era diretto proprio là”
    Come se una delle sue spade lo avesse trafitto su ogni singola scaglia del corpo, un brivido di terrore invase Airack dalla testa ai piedi.
    “Maledettooo!”
    Il ruggito scaturì dalle profondità del suo essere, da tutti quei dubbi che purtroppo si erano rivelati esatti. Il guardiano del ghiaccio ebbe l’istintivo riflesso di gettarsi all’indietro fino a sfiorare la parete opposta con la punta della coda.
    “Se si azzarda a toccare Lehr o l’uovo lo rovino!”
    Troppo furente e devastato dalle paure per degnare l’altro anche di una minima attenzione, si gettò fuori dalla stanza, attraversò a balzi gli ampi atri del tempio fino a lanciarsi da una finestra oculare priva di invetriata.
    Sfruttò lo slancio della spinta delle zampe posteriori sulla pietra che rivestiva l’esterno del tempio per accumulare velocità e come un’enorme saetta
    rossastra si confuse violentemente tra gli albori prossimi a lasciar spazio a quel giorno di sofferenza che avrebbe segnato per sempre la vita del leggendario drago viola.
    ___

    Edited by Aesingr - 11/10/2020, 22:21
     
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    adesso il mio capitolo preferito!

    Capitolo 2: Come una meteora

    Come una scintilla splendente Airack correva tra le nuvole rosee che al suo passaggio parevano squarciarsi e mostrare una qualche natura iridescente e luminosa.
    Percuoteva il cielo con le ali possenti, furibondo e permeato di una paura arrivata tanto rapidamente quanto farebbe la notte durante un eclissi solare.
    Ogni immagine felice e ogni sentimento fulgido e puro rischiava di infrangersi su un fiebile istante.
    In quel tragitto che la sua mente registrò come infinito, quando in realtà stava viaggiando ad una tale velocità che il volo non sarebbe durato che pochi altri secondi, il terrore si impadronì di lui e sequenze di immagini fin troppo nitide per sembrare solo illusioni irrealizzabili gli si pararono di fronte
    agli occhi rischiando più volte di fargli perdere il contatto con la realtà. Il suo rispiro si fece affannoso e gli artigli si spalancarono automaticamente, come a difendersi da qualcosa più grande di lui. Più grande di un semplice destino avverso: un destino oscuro.
    Sfidò tutte quelle forze che volevano portarlo a cedere all’oblio della paura e concentrò tutto se stesso nell’atterraggio tragli alberi frondosi e colmi di un’affascinante primavera, attutendo l’impatto con il suolo contraendo i muscoli di tutte e quattro le zampe.
    Qualcosa gli suggerì di fermarsi un istante, per riprendere fiato, per tornare a contatto con la realtà, per captare con i sensi più profondi ogni movimento e segno vitale all’interno della sua dimora, ai suoi occhi triste e occultatrice di un orrore troppo violento perché lui potesse sopportarne l’impatto.
    Silensio.
    Tutto attorno a lui pareva essersi immobilizzato in un attimo glaciale di tensione.
    “Lehr…”
    Forse non riuscì a pronunciarlo in maniera più decisa, forse non ne aveva le forze, la sua voce uscì in un tenue gorgoglio gutturale.
    Si impose di entrare e scontrarsi con i propri dubbi, che purtroppo, si rese conto essere fondati.
    Lehr giaceva al centro della caverna, stesa su una pozza scarlatta.
    Il cuore di Airack si contrasse e si espanse convulsamente e non fu in grado di compiere il ben che minimo movimento. L’unico guizzo del suo sguardo si bloccò sul piccolo mucchio di paglia dal quale, qualche ora prima aveva preso il fragile uovo viola, brutalmente strappato dalle cure dei propri genitori.
    “Leeeehr!”
    Il drago si gettò sulla compagna inerte sul pavimento roccioso della grotta. L’ala sinistra era squartata e le articolazioni che univano le membrane alari sembravano mozzate. Presentava lesioni su tutto il corpo e il muso poggiato a terra, sotto la trasparente dolcezza che non si era spenta neanche con tutte
    quelle ferite, racchiudeva un’immensa tristezza e un dolore incommensurabile, più profondo di quello inferto al corpo stesso.
    “Lehr ti prego… no”
    Il groviglio di sentimenti di sconforto, rabbia e vendetta convergerono in un solo e selvaggio ruggito di disperazione.
    Scosse il corpo della dragonessa azzurra, ma non ottenne risposta.
    “Lehr… ti prego Lerh svegliati!”
    Per molti secondi che sembravano secoli restò immobile a fissare l’orrore che gli si parava davanti.
    Solo un movimento impercettibile di una delle zampe anteriori della dragonessa riaccese in lui una minuscola scintilla di speranza.
    “Lehr! Dai…”
    Afferrò delicatamente il suo muso e lo sollevò, cercando nei suoi occhi ancora socchiusi un qualche sollievo.
    “Airack...”
    “Non sforzarti… dobbiamo portarti da qualcuno… riesci a…”
    “Non sono riuscita a proteggerlo! Hanno portato via l’uovo Airack… Flarendor… è stato Flarendor”
    “Lo so. Ma dobbiamo pensare a te ora…”
    “Lascia perdere”
    Airack la lasciò ricadere a terra e le si avvicinò al fianco sinistro, portando entrambe le zampe anteriori sotto il suo ventre.
    “Ti ho detto di lasciar stare… ormai…”
    “Non dire sciocchezze! Devi solo resistere qualche minuto”
    Lei sbuffò e un piccolo getto d’aria fresca scaturì dalla sua gola.
    “È troppo tardi… non so quanto resisterò ancora”
    Airack non si curò dei suoi discorsi e provò ad issarla sopra al suo dorso, ma con le ultime forze rimaste Lehr si divincolò, convincendolo che non aveva
    nessuna intensione di collaborare.
    “Ti prego. Non essere stupido. Vattene da qui! Nessuno ci aiuterà sapendo che tenevamo nascosto un uovo che avrebbe… potuto… modificare le sorti… di questo
    mondo… sciocco e insensibile”
    Il respiro le si fece più affannoso
    “Loro sapevano… sapevano tutto. Dovevano solo trovare l’occasione giusta perché tu non potessi intralciarli…”
    Tossì un fiotto di sangue.
    Airack si chinò su di lei. Una lacrima bagnò il muso rigato da una vena di dolore e scivolò sul collo scaglioso, per infrangersi al suolo. Forse la prima lacrima scesa da quell’anima temeraria e guerriera.
    “Hanno rapito nostro figlio… ma tu devi salvarti. Axius è dalla tua parte…… lo dimostra il fatto che…”
    Fece una pausa, raccogliendo le poche forze che le restavano per alzare di nuovo la testa e fissarlo negli occhi.
    “Che non sapeva molto di questa faccenda, non era stato informato… per quei vermi… sarebbe stata un’ulteriore presenza fastidiosa da eliminare”
    In mezzo a tutto ciò che stava provando in quel momento, una piccola parte dell’anima la dedicò al guardiano del ghiaccio, rendendosi conto che almeno da lui non era stato tradito.
    “Lehr… io…”
    “No!”
    Il vigore con cui la dragonessa lo interruppe parve tutt’altro che quello di una creatura moribonda. Quella che fino ad un momento prima era l’immagine della dolcezza e dell’innocenza stroncata bestialmente da artigli superiori, si trasformò in un’espressione decisa e risoluta. Espressione degna della compagna di Airack.
    “Non ti permetterò di fare sciocchezze. So a cosa stai pensando. Se ti trovassero saresti spacciato, avresti contro tutto il tempio… e per estensione tutto il regno”
    L’enorme drago rosso ringhiò furente e la sua ira che ormai lo pervadeva, osso per osso, scaglia per scaglia, si manifestò in un ruggito infuocato che si abbatté sulla parete di fronte.
    “Non mi importa! Non… permetterò che la passino liscia… me la pagheranno! Lehr… fosse l’ultima cosa che faccio io ti vendicherò! Flarendor è finito… finito!
    Voglio vederlo soffrire e supplicare pietà… pietà che non gli concederò neanche se mi implorasse in ginocchio!”
    Lehr poggiò nuovamente il capo pieno di ferite a terra. Il suo impeto era apparso insignificante di fronte alla collera di Airack. Non insistette, conoscendo il temperamento fiero e risoluto del compagno, che per la propria famiglia avrebbe dato la vita.
    Una famiglia fatta a fette dall’esistenza di quel piccolo e innoquo uovo viola, racchiudente un potere troppo grande per essere ignorato.
    La dragonessa abbassò lentamente le palpebre, rivolgendo i suoi ultimi pensieri al figlio e a cosa ne sarebbe stato di lui. Poi, con un filo di voce ormai
    prossimo all’oblio, bisbigliò:
    “Airack non voglio andarmene con la consapevolezza che il cucciolo crescerà senza né una madre ne un padre. Esaudisci questo piccolo desiderio, ti prego.
    Aspetta che sia cresciuto… guardalo crescere… e vivi il futuro insieme a lui. Non farti uccidere. Potrai rivendicare l’amore che ti hanno portato via… ma solo quando sarà cresciuto, quando nessuno si ricorderà di suo padre… solo allora potrai salvar…”
    Non riuscì a concludere la frase, le parole si infransero nel suo ultimo respiro.
    L’ultima immagine, una zampetta viola che si faceva largo tra la membrana solida del guscio dell’uovo viola, sogno che quasi ogni notte la rendeva fiera e felice. Lo stesso sogno che aveva causato tutto il sangue che ancora non aveva smesso di fluire dalle sue ferite, di cui non poteva più percepire il dolore.
    Airack non si mosse. La macchia di rosso e ombra che avvolgeva Lehr divenne ai suoi occhi un insieme indistinto di frammenti d’incendio. Non vide né sentì
    più niente. Il tempo si era fermato su un’unica ma feroce parola: vendetta.
    Osservò il corpo martoriato di Lehr, sapendo che non avrebbe retto a lungo la visione della madre di suo figlio prona su quel lago rosso. Incurante del sangue che gli imbrattò le scaglie delle zampe la afferrò sotto al collo e in mezzo al ventre e la portò all’esterno, volando fino al piccolo
    torrente che si trovava a pochi metri dal bosco che circondava la grotta, nel mezzo di una tranquilla radura rocciosa.
    Lavò accuratamente le sue ferite e le macchie di sangue gia incrostato, senza neanche guardare cosa stava facendo. Non voleva più vedere il corpo straziato
    di Lehr, quindi chiuse gli occhi e cercò di frenare, per il momento, quel fuoco che lo stava corrodendo fino alle viscere.
    Finito di pulirla, iniziò a scavare meccanicamente dei solchi sul suolo terroso, che presto si trasformarono in un letto abbastanza grande perché la dragonessa
    potesse riposare in pace per sempre. Un brivido lo attraversò non appena adagiò il suo corpo inerme nella fossa, un senso di inesorabile angoscia nel distendere
    le ali azzurrine che fino al giorno precedente l’avevano avvolto per trasmettergli il loro amore.
    Represse con difficoltà il desiderio di chiederle di svegliarsi, per poi abbracciarla un’ultima volta, sperando che il calore delle sue zampe la potesse
    raggiungere ovunque lei fosse. Si lasciò andare alle lacrime.
    Lacrime che non avrebbero mai potuto colmare il vuoto orrendo che celava nel cuore, né sostituire la rabbia e il disprezzo che provava, ma si rivelarono necessarie affinché potesse sfogare una parte dell’odio che di li a poco l’avrebbe spinto a gesti incoscienti e l’avrebbe trasformato in un automa di fuoco e zanne.
    Carezzò il dorso della compagna come faceva spesso prima di dormire, passando delicatamente gli artigli tra le scaglie lisce e nobili.
    “Buonanotte Lehr” Singhiozzò, prima di rivolgere lo sguardo al cielo, ancora limpido e luminoso.
    Mosse con cautela alcuni pezzi di terra per coprirla, fino a quando non restò scoperto solo il suo muso dolce e dormiente, che Airack baciò delicatamente.
    Le ultime ferite l’avrebbero accompagnata nel suo sepolcro , a testimonianza del coraggio dimostrato nel difendere l’amore per il proprio figlio.
    Terminato il lavoro, Airack si avvicinò ad un robusto albero che piangeva rami primaverili; Anche lui sembrava sconvolto per la sorte di Lher. Con una zampata ne tranciò di netto metà del tronco, per concludere l’opera con una frustata della coda spinata con cui abbatté il povero legno, che cadde rumorosamente.
    “Tu farai la stessa fine verme!” Esclamò, guardando i resti dell’albero spezzato.
    “Se ne sei convinto…”
    Airack sobbalzò. Si voltò di scatto alle proprie spalle, per incrociare lo sguardo di un altro drago del suo stesso colore ma di dimensioni leggermente
    minori che planava sopra il mucchio di terra che proteggeva Lehr. Quattro corna nere e irsute si alternavano sulla sua testa. Un paio di ali cremisi e una
    muscolatura robusta donavano al suo aspetto una nota solenne.
    Il muso di Airack mutò in un rostro di zanne splendenti e brutali.
    Fu un lampo, la sua mente registrò solo una possibile azione, dilaniare.
    Un balzo fulmineo e Flarendor fu costretto a lanciarsi di lato per scansare una possente artigliata, che distrusse una spessa zolla di terra e sollevò
    una nube di polvere e lapilli ghiaiosi.
    Senza neanche fermarsi si lanciò di nuovo verso l’altro che nonostante avesse dalla sua parte anni e anni di severo allenamento dovette fare appello a tutte le sue energie e a una sufficiente dose di fortuna per evitarlo.
    Airack non gli diede tregua, non passò neanche un secondo che un fiume di fuoco rovente lo travolse. Le fiamme dilagarono per molti metri, mentre Flarendor si sollevava in’aria, lontano da quell’inferno, che nonostante non l’avesse potuto danneggiare in quanto guardiano del fuoco, gli aveva selvaggiamente
    regalato due livide ustione alle scaglie delle zampe anteriori, usate per ripararsi il muso.
    Non si aspettava un simile impeto, nonostante sapesse dell’immondo reato commesso.
    Airack lo scrutò dal basso con tutto il disprezzo che era in grado di trasmettere e con veemenza gli si scagliò di nuovo contro, incurante di non poterlo
    annientare con le fiamme.
    Un’altra vampata incandescente, ancora più violenta della precedente, scaturì dalle sue fauci e circondò Flarendor, che ne emerse con una virata istantanea
    e inaspettata. Sfruttando la distrazione di Airack si portò al fianco dell’enorme drago rosso, che venne gettato a terra da una cornata sul fianco.
    I riflessi agili permisero ad Airack di alzarsi istantaneamente ed evitare una pericolosa sferzata di coda che gli passò a pochi centimetri dal collo.
    Riuscì a darsi una leggera spinta con le zampe posteriori, ma il movimento troppo rapido gli aveva impedito di concentrare le forze sul balzo e quindi
    si ritrovò momentaneamente indifeso. Flarendor ne approfittò per artigliarlo sull’addome e lasciargli un profondo squarcio sul ventre.
    Airack cadde a terra urlando di dolore, la ferita iniziò subito a sanguinare copiosamente.
    Il suo avversario restò a distanza, limitandosi a ghignare soddisfatto.
    “Sei… sei soltanto uno schifoso bastardo! Come hai potuto distruggere così la mia famiglia! Devi morire!”
    Si gettò ancora all’attacco, ma la ferita l’aveva gia reso troppo vulnerabile, impedendogli di concentrarsi solo su Flarendor, a cui fu sufficiente spostarsi
    leggermente e colpirlo sulla fronte.
    Milioni di stelle gli esplosero nel campo visivo. Non riuscì a distinguere altro che la massa scarlatta di Flarendor che gli era balzato addosso, schiacciandolo
    sotto il proprio peso.
    Con un colpo secco il drago gli fracassò le ossa di una delle zampe anteriori e Airack guaì in preda al dolore, perdendo per qualche secondo la cognizione
    di quello che stava succedendo.
    Con un ringhio sommesso riuscì a spingere via Flarendor, che non oppose neanche resistenza, sicuro di averlo annientato.
    “Perché… perché tutto questo”
    L’altro sorrise divertito.
    “Davvero non ci arrivi? Povero sciocco… per quanto pensavi di poter nascondere la natura di tuo figlio?”
    Airack si alzò a fatica, distrutto nel corpo e nella mente.
    “Noi l’abbiamo nascosto a causa di quello che prevedevo sarebbe successo… e infatti le nostre deduzioni si sono rivelate esatte… siete solo degli infami…
    non avete un briciolo di pietà! Per questo la pagherai!”
    Ormai sapeva che sarebbe stato inutile, ma mise tutte le sue energie nell’ultimo disperato tentativo di contrattaccare. Nessuna esitazione, niente lo frenava.
    Un’anima sofferente in cerca di pace in quel suicidio.
    “Se continui ad insistere sono costretto a farti ancora più male. Non ero venuto con l’intenzione di uccidere anche te, ormai non sei più un pericolo. Ma se proprio mi devi costringere…”
    Con la semplice rotazione di una zampa, Flarendor fece rovinare l’avversario miseramente al suolo, che risentì di tutta la sua stessa mole sul proprio corpo dolorante.
    La sua anima e il suo cuore volevano lottare, volevano salvare il figlio, ma sembrava che tutto fosse destinato a concludersi in quel luogo, in quel momento.
    Sarebbe caduto accanto alla sua compagna e come lei l’avrebbe fatto lottando.
    Capì che il momento di arrendersi arriva sempre, prima o poi, ma non volse cedere. Sapeva che doveva resistere, per Lehr, per il piccolo.
    “Cosa ne avete fatto dell’uovo”
    Non riuscì a gridare, a sembrare minaccioso, ormai si sarebbe accontentato del suo diritto di sapere.
    “Ancora niente… è qui sai? È molto vicino… volevo concludere il lavoro prima di tornare al tempio e l’ho nascosto non molto lontano da qui. Volevo accertarmi che tu non mi seguissi. Non sarei voluto arrivare a tanto, ma visto che ti sei rivelato testardo quanto la tua sciocca compagna…”
    Con uno scatto di rabbia le sue zampe, compresa quella fratturata, si drizzarono e la bocca irta di zanne si spalancò furiosa.
    “Non ti azzardare a offendere ancora Lehr…”
    “Altrimenti?”
    Airack lo sprezzò con lo sguardo, consapevole che non era nella condizione di minacciare.
    “Voglio soltanto sapere cosa ne sarà di mio figlio… perché non ci avete permesso di crescerlo! Perché hai distrutto la nostra famiglia!”
    “Hai detto bene… io ho distrutto la vostra famiglia. Io ho deciso di venire a farvi visita, sperando che con la tua assenza la tua compagna sarebbe stata più docile e non avrebbe opposto resistenza. In oltre non so se sarei stato in grado di sconfiggervi entrambi… combatte come una belva infuriata…”
    Flarendor sollevò un’ala, mostrando il fianco sinistro al quale era stata inferta una profonda ferita da taglio.
    “Mi ha lasciato questo bel ricordino con le sue lame di ghiaccio… se devo essere sincero sono rimasto spiazzato dalla forza che ha dimostrato. Se non fosse stata così cocciuta avrebbe potuto diventare un’ottima madre”
    “Madre di un figlio che le hai portato via?”
    “La mia… intensione è quella di addestrarlo ad essere un guerriero freddo e impassibile di fronte al nemico agonizzante ai suoi piedi… un guerriero che non conosce la pietà, padrone di tutti gli elementi… un guerriero al mio servizio! Sarò in grado grazie a lui di raggiungere
    il massimo potere mai acquisito da un drago e tutto sarà sotto il mio dominio”
    Airack ebbe un fremito d’ira. Il suo corpo iniziò ad essere scosso da convulsioni e da spasmi che sembravano sul punto di mutare le sue membra in qualcosa di demoniaco.
    “Allora… non solo hai ucciso Lehr ma… vuoi sfruttare mio figlio per essere padrone del mondo! Tu e quegli schifosi del tempio… è a questo che miravate!”
    Il suo corpo si circondò di un alone fiammeggiante che si irradiò nello spazio circostante come un’aura d’energia viva e pulsante.
    Flarendor non parve turbato da quella singolare manifestazione di potenza, ma non riuscì ad evitare che una riga di stupore si dipingesse nel suo volto quando il corpo di Airack divenne una piccola stella splendente e incandescente, pronta ad esplodere.
    “Tu non sei degno di essere il guardiano del fuoco! Tu devi morire! Mio figlio non sarà come te!”
    Accompagnato da una scia di luce abbagliante, Airack si scagliò con tutte le sue forze verso il perfido drago, che fece appena in tempo a rendersi conto
    del pericolo che incombeva su di lui che si ritrovò in aria, stretto in una morsa rovente. Airack l’aveva afferrato ad una velocità impressionante e, coperto da uno strato infuocato con l’avversario tra gli artigli, si era lanciato verso l’alto con un’energia inimmaginabile.
    “Lasciami! Cosa hai…”
    “Non ti permetterò di attuare i tuoi sporchi ideali! Io me ne andrò… ma tu verrai con me!” Gli urlò, a pochi centimetri dal muso.
    Senza che nessuno dei due avesse il tempo di dire o pensare altro, Airack si capovolse e con un vigoroso battito d’ali incandescente scese in picchiata tanto rapidamente da non riuscire più a distinguere ciò che lo circondava.
    "Perdonatemi Lehr... Malefor..."
    Come una meteora sfrecciò inarrestabile verso il suolo.
    Una tremenda esplosione mutò radicalmente la zona, al momento dell’impatto, che avvenne tra un incendio di bagliori gialli e rossi.
    Il boato fu accompagnato da un immenso calore che avvolse la piccola radura, deserta.
    un soffice alito di vento spirò nei pressi del ruscello.
    Dei due draghi, nessuna traccia.
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    visto che sono quì passo al terzo, poi gli altri tra un po'... di ere XD

    Capitolo3: Nubi oscure

    Axius se ne stava immobile di fronte a una fila di uova bianche e perlacee, osservandone pigramente le diverse striature colorate che disegnavano contorni astratti e irregolari sui gusci.
    Intorno a lui una grotta di ampie dimenzioni si allargava circolarmente tra colonne e mosaici di varia entità; i suoi occhi vorticavano dall’insieme delle
    uova al vuoto ad esse retrostante, preoccupato e dubbioso a causa dei recenti comportamenti dell’amico fabbro e della piega che stava prendendo il suo
    compito di guardiano.
    Si sentiva ingiustamente indegno di coprire quel ruolo, dopo aver udito Flarendor complottare contro la sicurezza del loro mondo. Non aveva preso nessuna posizione, lasciando che la faccenda scivolasse sulle sue scaglie come nuvole di minacciosa burrasca che si allontanano bruscamente all’orizzontedirigendosi a coprire un altro azzurro.
    Alle sue spalle, un rumore di scalpiccii lo destò dai suoi pensieri.
    “Cosa ci fai qui? Non dovresti essere al tempio… Axius?”
    Il drago azzurro si voltò lentamente, per incontrare lo sguardo irritante di un suo simile quasi totalmente identico a lui, non fosse stato per la presenza
    di un terzo corno sulla sommità del capo e un terzo centrale curvo all’indietro, e il colore giallo delle scaglie che presentava distintamente la sua appartenenza all’elemento d’ell’elettricità.
    “Potrei farti la stessa domanda… Siil”
    L’altro sbuffò sonoramente e inclinò la testa di lato, con fare di scherno.
    “Ero venuto a controllare che le uova stessero al sicuro… ma a quanto pare mi hai preceduto…”
    Axius lesse la mensogna nelle parole e nel tono della voce che Siil non cercò neanche di nascondere.
    I loro occhi lampeggiarono per un istante di odio reciproco.
    “Vedi amico mio… questa tua arroganza un giorno potrebbe diventare la tua più grande rovina. Io sono sempre stato decisamente paziente, ma… credo tu sappia che a tutto esiste un limite” Sputò Axius, cercando di non esagerare e di reprimere tutti gli insulti che avrebbe voluto scagliargli contro.
    “Non sei sempre stato tu a dirci che la calma può essere più efficace di mille artigliate?”
    “E lo ribadisco. Adesso però se non ti dispiace, dovrei passare. Potresti gentilmente toglierti da lì? L’uscita è una sola”
    Siil ghignò in segno di sfida, per poi scostarsi quel tanto che bastava perché l’altro potesse raggiungere la fresca aria notturna che portava sul regno una polvere di stelle splendenti, destinate molto presto ad oscurarsi.
    La volta celeste era immersa in una notte profonda e silenziosa, bagnata di opachi nembi grigiastri.
    “Il cielo giura pioggia… promette sventura”
    Siil lo seguìì senza staccargli gli occhi di dosso.
    “Non dovresti temere l’acqua… in fondo è parte del tuo elemento”
    “Non temo la pioggia Siil. Temo qualcosa di molto peggiore purtroppo”
    L’altro rise. Il sibilo acuto della sua voce riecheggiò nella quiete che li circondava.
    “E che cosa sarebbe… sentiamo”
    “Penso che tu sappia gia di cosa sto parlando. E poi sei tu che devi preoccuparti della pioggia… tu resti danneggiato anche da poche goccioline”
    Siil gli balzò agilmente di fronte, planando bruscamente a pochi centimetri dal suo dorso.
    Axius sostenne pacatamente il suo sguardo furente, che sembrava volerlo trafiggere.
    “Perché vuoi darmi un motivo per farti del male Axius?”
    “Perché una buona volta non mi lasci in pace?”
    Il drago dorato non riuscì a far presa sull’espressione indifferente e fredda del guardiano del ghiaccio, che senza degnarlo di troppa attensione si librò
    in aria e scomparve in direzione del tempio.
    Rimasto solo, Siil tornò sui propri passi e lanciò una vaqua occhiata all’interno della grotta di pietra, dove riposavano decine di uova innoque e ignare del fato che attendeva i cuccioli che ne sarebbero usciti.
    Una sagoma scura gli si avvicinò di soppiatto, cogliendolo di sorpresa.
    “Ottimo lavoro Siil. L’hai fatto arrabbiare”
    Il drago si voltò, trovandosi faccia a faccia con il guardiano del fuoco.
    “Flarendor…”
    “Si. Sono io. ti turba questo?”
    “Affatto. Ansi ne deduco che sia andato tutto a buon fine”
    Flarendor soffiò un piccolo sbuffo di fumo dalle narici e sorrise beffardamente.
    “Non è più un problema se è questo che vuoi sapere”
    “Ovviamente ma… era come pensavamo?”
    “Proprio come pensavamo”
    A Siil sfuggì un leggero gorgoglio di vittoria dalle fauci. Il suo sguardo lasciava trapelare la soddisfazione nel sentire le parole di Flarendor, fiero
    quanto lui del proprio operato.
    “Quindi l’ostacolo più grande… è stato schiacciato?”
    “È presto per gioire Siil. La meta è ancora lontana. E soprattutto… non è ancora finita. Ci sono altri ostacoli da…” Un ghigno divertito intervallò la
    frase, “Schiacciare”
    “Ti riferisci ad Axius? Potrebbe essere un problema secondo te?”
    “Oh no non dico questo. Semplicemente è uno di quei tanti fastidiosi insettini che ti ronzano noiosamente tra le scaglie”
    Il muso di Siil assunse una sfumatura impercettibilmente preoccupata.
    “Non vorrei sembrarti ccodardo, ma… non credi che sarebbe controproducente un simile conflitto interno al tempio?”
    Il tono più cupo e profondo di Flarendor stonò totalmente con quello leggero e acuto di Siil, che sembrò trasalire di fronte all’impeto del drago rosso.
    “Perché devi sempre dimostrarti così stupido. È proprio questo conflitto interno che ci porterà all’instabilità. Allora non avremo più né doveri ne obblighi
    verso il nostro ruolo e potremo attuare i nostri progetti”
    Siil si erse raggiante in volto sulle quattro zampe e scoppiò in una fragorosa risata.
    “Una cosa è certa, ci sarà da divertirsi!”
    Flarendor si unì a lui.
    “Questo è poco ma sicuro”
    Entrambi si diressero all’interno della grotta, nella quale rimbombò il suono acuto del loro riso crudele. Flarendor si avvicinò al gruppo compatto di uova opalescenti e senza troppa cautela ne spostò distrattamente alcune con una zampa, facendole rotolare senza pietà in ogni direzione.
    “Non vorrai che i membri del tuo esercito siano menomati… lasciali stare poverini. Va a finire che dobbiamo sopprimerli prima del tempo quei poveri cuccioli”
    Flarendor scrutò divertito Siil, la perfidia stampata sul muso cornuto. Spalancò gli artigli della zampa anteriore sinistra dalla quale scivolò l’uovo viola, che finì al fianco di uno dei suoi futuri compagni. Siil restò basito per qualche momento; seguì con lo sguardo l’uovo, per poi tornare a fissare
    Flarendor, sorridendo, se possibile, in maniera ancora più spregevole.
    ***
    Axius era immobile a fissare la luce scaturire da un cristallo al suo fianco. Un chiarore azzurrino splendeva intrappolato nella sfera vitrea.
    Osservò la luce ambrata provenire da altri cristalli incustoditi, a qualche metro da lui, incastonati sulle pareti lapidee della sala degli elementi. Al suo fianco, una dragonessa dalle scaglie verde smeraldo e dal dorso attraversato da una fila di minuscole cuspidi argentee, lo fissava con fare curioso e allo stesso tempo compassionevole.
    “So cosa provi a vedere quei cristalli senza i loro guardiani. Ma non pensi che...”
    “Il sacro compito dei guardiani di proteggere gli elementi è stato violato Neiry. Non posso far finta di niente” Rispose il drago azzurro, senza voltarsi.
    “Non ti sto suggerendo di farlo. Ansi vorrei poterti aiutare”
    Axius girò il capo senza però muoversi di un millimetro.
    “Vorrei che almeno tu ne restassi fuori. Non penso il futuro abbia in servo per noi giorni felici”
    “Restarne fuori? Certo… o magari consegnare direttamente l’energia della terra a quei due squilibrati”
    La dragonessa si mosse dolcemente e si sedette al fianco di Axius, ancora immobile nella medesima posizione da parecchi minuti. sollevò una delle ali argentate e con essa coprì la sua stessa coda, che distese alla sua destra.
    “Allora l’hai capito anche tu…”
    Lei sbuffò.
    “Non pensavo ci volesse una mente così acuta per capirlo. Secondo te cos’hanno in mente”
    “Non lo so. Ma che non si azzardino a soverchiare l’ordine che da sempre regna tra gli elementi… perché non avrei alcuna pietà”
    Neiry gli poggiò una zampa artigliata sull’incavo dietro al collo.
    “Sono con te”
    Axius la fissò con due pupille che celavano odio sepolto e molta preoccupazione, addolcito solo dalla consapevolezza che poteva contare su qualcuno.
    Decise di ridare alle proprie articolazioni un motivo per muoversi e lasciando scivolare la zampa della dragonessa sul proprio fianco si diresse verso
    il cerchio che designava il centro della sala.
    “Non gli permetterò di corrompere il cucciolo che nascerà da quell’uovo. La leggenda si è avverata… non dobbiamo lasciare che Flarendor se ne approfitti”
    dichiarò Axius, con gli occhi puntati alla copertura interna della sala.
    “Ho la sensazione che Airack e Lehr c’entrino qualcosa con tutta questa faccenda”
    “In che senso?”
    “Airack si sta comportando in maniera insolita… e Flarendor ha sospettato qualcosa. Spero solo che non gli venga in mente qualche pazzia”
    “Non vorrei sembrarti pessimista ma… ho la strana sensazione che l’abbia già fatta”
    Axius abbassò il capo.
    “Già… lo credo anch’io. spero che Airack stia bene”
    “Lo spero anch’io” Rispose Neiry, non esageratamente convinta.
    “Futili speranze le vostre”
    Entrambi trasalirono, voltandosi all’ingresso della stanza, dove Flarendor era comparso improvvisamente, seguito dal drago dell’elettricità che lo oltrepassò dirigendosi alle spalle di Neiry, dove solitamente si stendeva per riposare.
    “Che… cosa significa”
    Il guardiano del fuoco raggiunse a sua volta il proprio cristallo, del tutto indifferente, per voltarsi poi a guardare Axius, in bilico tra il dubbio e la furia.
    “Airack ci ha traditi e per questo ha pagato. Era quello che si meritava”
    Neiry si avvicinò cauta a Flarendor, che non la degnò neanche di attenzione.
    “L’hai ucciso?”
    All’udire quella domanda Axius trasalì e Siil ghignò vistosamente.
    “Sarebbe più corretto dire che mi ha offerto la sua vita… in cambio di un bel po’ di scottature”
    Flarendor mostrò ciò che prima aveva celato a Siil. Sollevò le ali, scoprendo i fianchi coperti di ustioni e strinature. Le zampe anteriori sotto le scaglie
    nascondevano ferite ancora fresche e sul lato sinistro del collo una macchia scura di scaglie bruciacchiate striava il suo manto scarlatto.
    “Caspita amico. Adesso che ti guardo meglio sei conciato piuttosto male sai? Non credevo che un drago del fuoco potesse… bruciarsi” Lo Derise Siil, pacatamente
    seduto sul pavimento di pietra.
    Axius non riuscì a guardare nessuno dei due, perché il disprezzo che provava non sarebbe giunto loro se non con un insulso atto di rabbia, che trattenne
    a fatica.
    “Non ti toglierò di mezzo in quest’istante perché il mio cuore ragiona diversamente dal tuo. Ma ora parla… Voglio sapere le tue intenzioni Flarendor. Per
    quale motivo hai fatto una cosa del genere? Perché ti sei abbassato a tanto…”
    “Molto semplicemente perché la leggenda si è avverata e non mi lascerò sfuggire quest’occasione. Sono anni che aspetto questo momento… finalmente un drago
    viola. Mi sono stufato del mio inutile ruolo di… Guardiano del fuoco. Voglio ottenere qualcosa di più, voglio dare a questo compito una sfumatura concreta. E quale sogno sarebbe più grande di addestrare il più potente drago mai nato?”
    Neiry e Axius si lanciarono un’occhiata sbigottita, mentre Flarendor si compiaceva della vivida sorpresa nei loro volti.
    “Drago… viola? Ma…”
    Una sequenza d’immagini legata ad un cucciolo viola e alla punizione dedicata a Flarendor gli squarciarono la testa, facendolo trasalire bruscamente.
    “Che… cosa hai fatto! Come hai avuto quell’uovo””
    “Dovresti vedere il tuo muso…” lo Schernì l’altro, mettendosi a ridere.
    “Sei un pazzo!”
    Axius fece per balzargli addosso, ma Neiry gli si parò davanti e gli sfiorò il muso con il proprio.
    “Tranquillo… adesso ci penso io”
    Senza che nessuno potesse prevederla, la dragonessa si lanciò fuori dall’antro e schizzò per le stanze illuminate d’azzurro dai cristalli del tempio.
    Siil si drizzò sulle zampe, pronto a lanciarsi all’inseguimento. Come se le loro menti contorte pensassero all’unisono, Siil e Flarendor si lanciarono contemporaneamente sulle tracce di Neiry, con Axius che ruggiva furioso alle loro spalle.
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    Già letti (e li rileggerò).

    Complimentissimi Aesingr!! *applaude con tutte e quattro le zampe*
     
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    grazie amicone scaglioso! *assalta e abbraccia*

    Capitolo4: Nato tra le tenebre

    Neiry sfrecciava nel buio della notte, con Flarendor e Siil alle calcagna. Axius alle spalle del drago dell’elettricità cercava di restare calmo, cosa che sembrava impossibile.
    Teneva d’occhio i due perfidi guardiani, pronto a scattare in caso che avessero avuto la sciagurata idea di attaccare Neiry. La dragonessa stava cercando
    di spingere il suo corpo al limite, concentrando tutte le sue forze sulle ali, non riuscendo però a seminarli.
    Quattro ombre si muovevano rapide tralle buie nubi grigiastre, quattro anime con pensieri opposti, quattro guardiani con destini diversi. Sotto di loro si estendevano larghe steppe e basse montagne di pietra, alternate a piccoli e solitari boschetti che costellavano il percorso che divideva il tempio
    dalla grotta in cui le uova erano state nascoste in precedenza. Neiry volava con la mente fissata sull’immagine dell’uovo viola, così bestialmente tolto alle cure dei propri genitori. Non sapeva se quel cucciolo sarebbe vissuto felice, ma una cosa era certa, non avrebbe mai conosciuto la madre che l’aveva dato alla luce. questo pensiero la tormentava, le fracassava il
    cranio e le costole a colpi di anima e di cuore. Voleva dare tutta se stessa per aiutare i piccoli che sarebbero nati di lì a breve, non avrebbe permesso a due scellerati di infliggere dolore inutile a creature innocenti.
    Si voltò, senza perdere velocità, verso i draghi che ancora la inseguivano, troppo calmi per non nascondere qualcosa. Se avessero voluto l’avrebbero raggiunta in un attimo, almeno Siil non avrebbe faticato molto grazie alla propria capacità di infondere energia elettrica ai propri muscoli, rendendolo più rapido del fulmine.
    Giurò di aver visto Flarendor sorridere, ma non se ne curò. Cercò di accelerare, ma non era in grado di volare più in fretta. Batteva le ali in maniera frenetica e monotona, senza concedersi tregua.
    Dopo alcuni secondi interminabili, intravide la sagoma della grotta far breccia tra le ombre dell’oscurità. Un semicerchio indistinto coronato da contorni sfocati anche a causa della velocità che aveva raggiunto.
    Scese di quota, acquistando ulteriore spinta grazie alla forza di gravità e gli altri draghi la imitarono. Stava quasi per raggiungere il suolo, quando Siil gli saettò accanto ad una velocità incredibile, mentre si grattava pigramente il collo scaglioso.
    “cosa hai intenzione di fare piccola?”
    Neiry non si intimorì, e proseguì verso la grotta, ormai a pochi metri da lei.
    Siil rallentò, fino a fermarsi del tutto in prossimità del terreno. Axius gli passò sopra, oscurandone la figura, mentre Flarendor frenò il suo volo impetuoso a qualche metro da lui.
    Il drago del ghiaccio fece per rallentare a sua volta, non comprendendo le intenzioni dei due, ma non appena vide Neiry gettarsi a capo fitto all’interno della grotta la seguì senza troppi indugi.
    Entrambi ansimavano per lo sforzo, ma le membra e il fiato non erano le uniche parti deboli del loro corpo. Anche una piccola scintilla nelle loro teste suggeriva che qualcosa non andava.
    Axius si portò al fianco dell’amica, dandole le spalle in modo da poter tenere d’occhio Flarendor e Siil, che si erano distesi oziosamente sull’erba fredda e coperta di notte.
    Non riusciva a capire cosa passasse loro per la testa. Tese tutti i muscoli del corpo, pronto a riceverli se necessario. Un ruggito furioso lo fece trasalire, nonostante fosse scaturito dalle fauci di Neiry. La dragonessa tornò sui suoi passi, urtando Axius senza preoccuparsi di scusarsi e uscì nuovamente all’esterno, le zanne grondanti rabbia e lo sguardo tramutato in quello di una belva priva di ragione, guidata per metà da puro istinto selvaggio.
    “Che c’è tesoro… i tuoi ovetti sono spariti?”
    L’espressione di collera di Neiry travolse Siil, che nonostante fosse riuscito a non scomponersi, non potette impedire ad un sussulto di pervaderlo quando dalle radici di un albero si protesero dei rami acuminati decisi a trafiggerlo. Saltò in avanti per evitare l’assalto della natura che assieme a Neiry
    e ai suoi formidabili poteri stava cercando di fargliela pagare, ma la dragonessa lo intercettò e con una poderosa zampata lo sbilanciò, per poi sferzargli
    un colpo d’artiglio sul collo, che lo costrinse a indietreggiare.
    “Mi sembrava di aver visto che prima ti grattavi proprio in quel punto… magari ora ha smesso di pruderti”
    Siil sorrise beffardamente, apprezzando l’ironia dell’avversaria.
    “Non posso permetterti di rubarmi il ruolo di simpaticone del gruppo, questa battuta ti costerà cara”
    “Voi non fate più parte di nessun gruppo. Voi non siete nessuno ormai, il vostro destino è quello di morire soffrendo. Quindi puoi anche dirmelo. Cosa
    ne hai fatto delle uova!!”
    Siil ghignò come al solito, assumendo quell’espressione canzonatrice che la dragonessa aveva sempre odiato e che era sempre riuscita ad ignorare. Adesso
    però non solo stava collaborando con Flarendor a favore di piani oscuri che avrebbero inequivocabilmente alterato il pacifico flusso della vita, ma stava persino contribuendo alla distruzione di una famiglia che di perfido aveva solo il destino.
    Lehr e Airack non meritavano quell’orribile fine, e il loro cucciolo ancora meno. Come espressione della bontà materna della dragonessa azzurra e dell’odio
    che stava inviando dalla sua coltre di luce alla perfidia dei due draghi, Neiry si sentiva in dovere di prendere il suo posto e come lo sarebbe stato quello di ogni madre, il suo primo dovere era quello di impedire ai malvagi propositi di Siil e Flarendor di prendere forma.
    Puntò tutte e quattro le zampe al suolo, affondando nella superfice umida con i robusti artiglii che attinsero dalla terra e dalla natura che li circondava ad un enorme potere.
    Sill percepì il repentino mutamento di stato d’animo nella dragonessa e provò una certa sensazione di disagio nel constatare a quale livello potesse portare il legame indissolubile che la univa all’energia della natura.
    Si concentrò a sua volta, preparandosi a ricevere e contrastare l’assalto nemico, circondandosi di una sottile ma pericolosa aura elettrica che gli pervase
    ogni fibra del corpo. un rombo assordante ferì il silenzio e un fulmine squarciò l’aria, gettandosi violento sul terreno al suo fianco.
    Le due figure si scrutarono intensamente, concentrandosi sulla potenza dei rispettivi elementi e trafiggendosi l’uno con l’altra con occhi di sangue, per motivazioni totalmente opposte.
    Flarendor nel frattempo se ne restava impassibile ad osservare il violento svolgersi degli eventi, mentre Axius, scioccato dalla reazione della compagna, era indeciso su quale ruolo assumere in quella situazione.
    In conflitto con se stesso, in bilico tra il voler imitare Neiry e il restarsene momentaneamente in disparte, decise che si sarebbe gettato in aiuto dell’amica solo se fosse stato necessario.
    La dragonessa percepì la sua presenza alle proprie spalle, ma ignorò ciò che Axius avrebbe potuto pensare di lei, raccogliendo tutta la sua concentrazione per lo scontro.
    Dal punto di vista del combattimento temeva Siil, per il suo smisurato potere e la sua innata padronanza del fulmine, ma non si lasciò minimamente intimorire
    dalla minaccia proveniente dal suo sguardo bramoso di morte.
    Senza perdere tempo, balzò in aria cercando di guadagnare una piccola distanza che le avrebbe permesso di anticipare una mossa del drago nonostante la
    sua velocità, infatti non appena Siil fu schizzato nella sua direzione, le sue ali si piegarono violentemente e con una rapida cabrata si portò sopra di lui, disorientandolo. Ne approfittò per sparare una sfera di luce verde, nel quale era concentrata la forza della sua compagna natura, che l’avversario
    riuscì ad evitare solo grazie ad una buona dose di fortuna. Neiry gli si gettò in contro, con le fauci spalancate e la veemenza di una fiera indemoniata.
    Nonostante la furia, però, la ragione non l’abbandonava mai, infatti non appena Sill ebbe utilizzato il proprio potere elettrico per gettarsi fulmineamente verso il suolo, delle radici spuntarono sotto di lui pronte a ghermirlo.
    Purtroppo, solo una delle zampe posteriori venne intrappolata dalle spirali lignee generate dal potere di Neiry, che il drago spezzò concentrando un’intenza
    quantità d’elettricità sul piede stesso, che sfruttò per darsi lo slancio e portarsi al disotto della dragonessa. Neiry non potette evitare una scarica elettrica dritta sul torace che le impedì di contrattaccare per qualche istante.
    Riuscì a non perdere quota solo grazie ad un enorme forza di volontà, che le impose di afferrare Siil e spedirlo nuovamente al suolo, dove ad attenderlo
    c’era un acuminata stalattite di pietra. Il drago riuscì a capovolgersi e a ridurre i danni, sfiorando con un ala la roccia e atterrando totalmente illeso.
    Anche Neiry scese a pochi metri da lui, tornando a contatto con il terreno che le diede quasi istantaneamente nuovo vigore. Siil guardò in alto, sogghignando.
    “Mi sto divertendo sai?”
    Un lampo si generò a qualche metro sopra la dragonessa, che resasi conto del pericolo scattò di lato, facendo così il gioco di Siil, che sfruttò la sua
    distrazione per schizzargli addosso, gli artigli infusi di elettricità.
    Un bagliore verdastro avvolse Neiry trasformandosi, al momento dell’impatto tra i due, in una solida sfera rocciosa che impedì all’avversario di ferirla.
    Le lame elettriche che spuntavano dalle zampe di Siil si conficcarono nella pietra, cercando di perforarla, ma in vano.
    “Non riuscirai mai a tagliare questo scudo!” Gridò soddisfatta Neiry, dall’interno della propria protezione.
    “Beh… forse è vero. Ma stai consumando un sacco di energia per tenerlo in piedi e non puoi muoverti da lì, altrimenti lo scudo si infrange”
    “Ne sei sicuro?”
    L’enorme sfera rocciosa iniziò a rotolare spinta dalla straordinaria forza di Neiry, che riuscì a travolgere Siil, schiacciandolo e trascinandolo alla cieca fino ad un albero sul quale entrambi si schiantarono.
    Il guardiano dell’elettricità si rialzò leggermente frastornato, con qualche osso rotto e le zanne che desideravano vendicarsi per l’affronto subito. Non
    fece in tempo a riprendere le forze però che Neiry era già tornata all’azione, facendo esplodere la sfera protettiva in una tremenda emissione d’energia
    naturale che si propagò tutt’attorno, spazzando via Siil e spedendolo a molti metri di distanza.
    Il drago si impennò e indirizzò le fauci verso la dragonessa, che nel frattempo, dal bel mezzo dell’esplosione, aveva caricato un’altra sfera d’energia che saettò nella sua direzione, scontrandosi con l’onda elettrica di Siil e tuonando in tanti bagliori splendenti che sfrecciarono tutt'attorno.
    Il drago dorato osservò compiaciuto l’avversaria ansimare pesantemente dopo lo sforzo, facendo tesoro di quell’unica occasione che la vedeva vulnerabile. Virò verso destra e lanciò una saetta splendente che Neiry schivò per un soffio, finendo però nel raggio d’azione di Siil che le piombò sul dorso, spingendola brutalmente a terra.
    La dragonessa provò a scrollarselo di dosso, ma gli artigli di Siil le perforarono il collo e una scarica elettrica le invase tutto il corpo, paralizzandone temporaneamente ogni funzione motoria. Alcune vene esplosero per l’eccessiva tensione e piccoli zampillii azzurrini le uscirono dalle ferite sanguinanti
    comparse su tutto il corpo, lasciandosi a presso un forte odore di carne bruciata.
    Axius, inoriddito dalla scena, lanciò un ruggito disperato e fece per lanciarsi in suo aiuto, ma Flarendor da disteso e tranquillo com’era, gli si piazzò
    davanti per sbarrargli la strada.
    “Prima dovrai batterti con me se vuoi salvarla”
    “Salvarla? Non ha bisogno del mio aiuto per quell’inetto…”
    “E allora dove stai andando. Devi fare un bisognino?”
    “Si… in faccia a te!” Gli urlò sul muso, colpendolo con una zampata sul muso, da cui scese un sottile rigagnolo scarlatto quanto le sue scaglie.
    “Sei uno sciocco Axius”
    “E tu allora? Guarda a causa tua a cosa siamo arrivati. A una lotta fratricida… lotta che non ha alcun senso”
    “Ti sbagli. Ne ha e come di senso. Questa lotta presto diventerà una guerra se non vi piegherete a noi”
    “Nessuno si piegherà al tuo volere Flarendor… neanche sotto tortura”
    “Staremo a vedere”
    Neiry non riusciva neanche a gridare tanto era il dolore, ma con i residui di un’energia non ancora spenta fece nuovamente appello alla terra, che le conferì la forza di gettare Siil al suolo con un brusco movimento delle zampe anteriori.
    Sapeva che non avrebbe potuto afferrarlo e trattenerlo a terra, a causa della sua capacità di emettere scariche da ogni parte del corpo, ma doveva trovare un modo per neutralizzarlo. Mentre l’altro si drizzava ancora sulle zampe, spiegò le ali e impedendo a chiunque di prevederla concentrò quel poco dienergia rimasta nella zampa sinistra, che si permeò di un potere scaturito direttamente dalle profondità dellla terra. questa iniziò a tremare sotto il suo rabbioso influsso.
    Questa volta l’estrema velocità non servì a Siil ad evitare l’attacco, perché sembrava che tutto ciò che lo circondava fosse contro di lui, spinto da una
    volontà indipendente a distruggerlo. Il colpo di Neiry lo centrò in pieno muso, fracassandogli gran parte dell’ossatura facciale e spedendolo al tappeto con una forza tremenda.
    Flarendor scosse il capo, neanche troppo stupito dal risultato dello scontro.
    “Sapevo che Siil era un incapace. Adesso dovrò apportare qualche piccola modifica al piano. Ma almeno me l’ha tolta di mezzo”
    Axius rabbrividì.
    “Ma che stai dicendo… è viva e vegeta”
    “Ti facevo più sveglio Axius… perché non vai a chiederle come sta?”
    Axius restò basito dallo strano comportamento del rivale, ma non indugiò. Si fiondò verso Neiry, che si ergeva immobile con le ali afflosciate lungo i fianchi di fronte all’avversario riverso al suolo, semi sommerso da una pozza di sangue,.
    La robusta muscolatura della dragonessa era stata irrimediabilmente consumata dalle scariche elettriche e il volto contratto in una smorfia di dolore lasciava intendere quanto il danno fosse grave.
    Siil, dal canto suo, ghignava sotto una maschera rossastra che gli tingeva per metà il muso.
    “Sarai soddisfatto ora. Abbiamo finito col distruggerci a vicenda… spiegami che senso ha” Disse Neiry, fissando le iridi d’inchiostro del drago che anche in quelle condizioni parevano deriderla.
    “Sei stata tu ad attaccare per prima. Quindi devi spiegarmelo tu che senso ha… mi sono solo limitato a difendermi”
    “Beh…” Rispose Neiry avvicinandosi, “Questo tuo ultimo sarcasmo ti accompagnerà nell’aldilà”
    Fece per prepararsi a sferrare il colpo di grazia, ma Axius la raggiunse tempestivamente, impedendo ai suoi artigli di abbattersi sul collo già ferito di Siil.
    “Cosa stai facendo. Lui non mi avrebbe risparmiata Axius”
    “Tu non sei come lui. So che non lo sei, e lo sai anche tu. Posso capire come ti senti in questo momento, lui e quell’altro essere ignobile… non meriterebbero
    il tuo perdono. Ma lascialo vivere, è destinato a morire per mano di qualcun altro”
    Neiry distolse lo sguardo dal compagno, dirigendolo verso Flarendor e abbozzando un sorriso.
    “Giusto”
    Siil sapeva a cosa stavano alludendo e non fu capace di ignorarli. Riuscì a rialzarsi, il muso grondante sangue.
    “Siete una coppia di poveri sciocchi. Qualunque cosa facciate non riavrete le vostre uova”
    “Fossi in te non ci giurerei troppo” Gli rispose Axius.
    “Come pensi di fare…” Continuò Neiry, seriamente preoccupata per la sorte di quei piccoli.
    Flarendor lanciò una strana occhiata a Siil, prima di librarsi in aria a gran velocità. Avrebbe sfruttato l’altro drago finché fosse stato possibile.
    Axius corse a grandi balzi sull’erba, prima di volare al suo inseguimento, ma una saetta azzurra scaturì dalle fauci di Siil, colpendolo dal basso sul
    ventre e stordendolo per un lasso di tempo che bastò a Flarendor per allontanarsi a sufficienza.
    “No maledettoooo! Non mi sfuggirai!” Ruggì, Scendendo bruscamente a terra per darsi un portentoso slancio con tutti gli arti e scomparire nel buio dietro a Flarendor. Batté violentemente le ali, frustando l’aria che al suo passaggio pareva gelarsi. Il drago cremisi, sfruttando il calore del fuoco e la sua sviluppata forza muscolare, gli era decisamente superiore in quanto a velocità, ma Axius non demorse, per non rendere vani gli sforzi di Lehr e per non lasciare a quel pazzo l’opportunità di farla franca.
    Sapeva che molto probabilmente si stava dirigendo verso il nascondiglio dove aveva riposto le uova e ne ebbe la conferma quando Flarendor atterrò in prossimità di un enorme cratere calcareo profondo almeno un centinaio di metri, alle pendici di una silenziosa collina con il profilo oscurato dal velo notturno.
    Nembi violenti continuavano a inseguirsi sopra di loro come in una perenne fuga verso l’oblio. Axius non lo seguì, ma si limitò a restare sospeso in’aria continuando a muovere pesantemente le ali, cercando di intuire le sue intenzioni Lo vide gettarsi all’interno dell’immensa bocca scura e per non perderlo di vista lo seguì, ignorando il perché di tanta indifferenza nonostante lo sapesse alle sue spalle.
    “Ti conviene non seguirmi Axius… non vorrei che il tuo buon cuore ti giocasse brutti scherzi di fronte a ciò che ti aspetta”
    Axius lo ignorò e continuò a scendere insieme a lui, fino a quando il buio non lo avvolse completamente.
    Non temendo la temporanea cecità, continuò a seguire i movimenti di Flarendor con gli altri sensi, percependolo a pochi metri di distanza sotto di lui. Ebbe la sensazione che qualcosa dal fondo del cratere si avvicinasse, e quando con i piedi urtò la superfice sabbiosa del suolo capì che era giunto il momento della verità.
    Iniziò a reclamare il cielo notturno di Avalar, oppresso dalla quieta oscurità che lo attanagliava.
    Nonostante sapesse che in un luogo simile Flarendor era nelle sue stesse condizioni, non potette fare a meno di temere il suo rivale anche se solo per un fugace istante.
    “Che dici… sarà meglio fare un po’ di luce?” Commentò Flarendor, scagliando una fiammata ai suoi piedi, generando un piccolo fuoco che fu comunque sufficiente
    a rischiarare il vuoto che li circondava.
    “Guarda un po’ alle tue spalle”
    Axius si voltò, restando per un momento con il fiato sospeso nel constatare che tutte le uova si trovavano distese dietro di lui.
    Le venature colorate dei gusci brillarono a contatto con il tenue bagliore del fuoco, mutando in tanti piccoli sorrisi rivolti al guardiano del ghiaccio.
    “È stata una faticaccia portarle tutte qua dentro. Che peccato… i nostri sforzi devono andare in fumo per colpa di quell’idiota di Siil”
    “Esatto. Non riuscirai a portarli via di nuovo”
    “Infatti non ho intenzione di farlo. Ho solo quattro zampe… come pensi che possa portarle via da solo?”
    La freddezza e la ferrea sicurezza di Axius stavano per bacillare, il suo avversario si stava comportando in modo decisamente assurdo. Non riusciva a capire
    per quale motivo l’avesse portato fino a lì, svelandogli il nascondiglio delle uova. Ciò che successe dopo neanche l’Aedo l’avrebbe previsto. Flarendor vomitò un getto infuocato in direzione di Axius, che impreparato a respingere un attacco così violento e improvviso fu costretto ad evitarlo, distendendosi istantaneamente a terra e lasciando che le fiamme lo oltrepassassero.
    Una sensazione di vuoto e di smarrimento gli devastò l’anima, quando si rese conto di ciò che Flarendor aveva intenzione di fare.
    un grido, un insieme di lamenti provenienti dalle viscere della terra, dalle nuvole del cielo e da ogni forma di esistenza, gli fracassò il costato e penetrò fino al cuore, che per un momento sembrò volersi fermare.
    Non osò neanche girarsi per vedere cosa fosse rimasto dell’insieme di uova, ormai ridotto ad un mucchio di gusci vuoti e distrutti.
    “Dovresti vedere la tua faccia Axius…” Lo schernì il drago rosso, dimostrando a cosa poteva arrivare la sua crudeltà. “Comunque devo informarti che… dovrò fare il bis. È rimasto qualcosa intatto… Togliti da lì o farai la loro fine”
    I milioni di pensieri di Axius si infransero su una sola azione: colpire. Il suo corpo vibrò, le sue membra fremettero. Flarendor si ritrovò a scontrarsi contro la parete di pietra alle sue spalle senza neanche rendersene conto. La pressione, gia alta a causa della profondità del luogo, si fece ancora più pesante sotto l’incessante incremento d’energia che Axius stava manifestando, spinto da la stessa rabbia che aveva guidato in precedenza Airack e Neiry.
    L’aria si fece gelida, il freddo si impadronì del nulla sopra e intorno a loro.
    Il drago stava per lanciare un soffio congelante che avrebbe sicuramente spappolato il nemico con una simile pressione, ma un suono proveniente dall’alto
    lo fece desistere.
    “Axius! Dove sei! che caspita stai facendo”
    Riconobbe la familiare voce di Neiry, che stava scendendo a tutta velocità verso di lui, invisibile nell’ombra.
    Udì distintamente due paia di ali frusciare quasi all’unisono, riconoscendo immediatamente anche la presenza di Siil e lasciò che il suo potere scivolasse via dal suo corpo.
    Ne potette identificare le figure quando ebbero raggiunto il fuoco acceso da Flarendor, che li aveva aiutati nella discesa verso di loro.
    “Neiry… che sta succedendo”
    “Ho l’uovo… ho l’uovo di Airack e Lehr”
    Axius si sentì falciare in due. La sua testa pulsava furiosamente come un pesante martello che colpiva con sempre maggior violenza. Sapere che l’uovo era salvo lo riempiva di gioia, ma la sorte degli altri poveri cuccioli lo lasciava sprofondare in un vuoto ancora più tetro di quello del buio cratere che li attorniava.
    Sapeva che qualcosa poteva essere salvato, non tutte le uova erano state distrutte, e lui doveva fare il possibile per permettere almeno a quei pochi cuccioli superstiti di vivere.
    “Bene! cioè… aspetta… come hai fatto a trovarlo…”
    “Che succede?”
    “Beh… succede che…”
    Flarendor nel frattempo si era ripreso dal colpo e stava puntando Neiry, pronto per investirla con un fiume di fiamme, che però non giunse mai.
    Siil si parò di fronte a Neiry, avendo compreso le sue intenzioni.
    “Cosa fai vigliacco… sei dalla loro parte?”
    “Assolutamente no… ma ci tengo alla mia pelle”
    Axius sorrise divertito nel constatare la codardia di Siil, che piuttosto che farsi ammazzare da Flarendor per il fallimento aveva preferito rivelare a Neiry il luogo nel quale avevano nascosto l’uovo viola.
    “Siil… sapevo che sei un essere ignobile, ma… non immaginavo fino a questo punto. Però meglio così. In fondo…”
    “Attento Axius, l’hai appena detto... sono un essere ignobile. Potrei tradirvi da un momento all’altro, quindi stai attento e guardati sempre alle spalle”
    “Secondo me non lo farai”
    “Può darsi… staremo a vedere”
    “Silenzio!” esordì Neiry, sbalordita.
    Entrambe le sue zampe anteriori si mossero quasi indipendenti dalla sua volontà e andarono a stringere delicatamente l’uovo viola, che venne scosso da un flebile fremito.
    Poteva percepire distintamente il calore proveniente dall’uovo farsi sempre più intenso e il guscio venire colpito ripetutamente dall’interno. Come un cuore che batte in un petto, come una piccola luce che tenta di incunearsi nell’oscurità.
    “No… non qui, non quaggiù ti prego”
    Axius guardò la compagna con rinnovato stupore, avendo avvertito una profonda tensione erompere dal piccolo uovo che la dragonessa continuava a stringere tra gli artigli.
    “Ti prego, non tra le tenebre… ti prego”
    Le sue suppliche non vennero ascoltate. La superfice dell’uovo iniziò a creparsi in maniera impercettibile, fino a quando alcuni piccoli forellini non comparvero tra le striature che la decoravano.
    Nessuno potette assistere alla nascita del piccolo, Soltanto Neiry, che non lo abbandonò neanchequando cinque minuscoli artigli si fecero strada verso l’esterno in cerca di una luce che probabilmente non avrebbe mai visto, fu spettatrice della nascita del primo drago viola.
    Il drago della leggenda, che avrebbe modificato le sorti del mondo, che sarebbe diventato la più potente di tutte le creature e che sarebbe stato la guida verso un cambiamento epocale.
    La dragonessa assisté incredula a quell’evento straordinario, poggiando l’uovo a terra solo dopo che il cucciolo ebbe messo la piccola testolina fuori dal guscio.
    Axius si avvicinò a Neiry, spingendo delicatamente l’uovo di fronte alle sue zampe e posizionandosi in modo che il piccolo fosse protetto da ogni lato, con ben 20 artigli a sua difesa.
    Siil fece per avvicinarsi, più per paura di essere rimasto da solo che per interesse verso il draghetto, ma Axius lo respinse con l’ala sinistra, lasciando
    che fosse Neiry a coprire l’uovo con il proprio corpo mentre Malefor finiva di romperne il guscio, venendo così all’oscurità.
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    capitolo5: Guerrieri per il domani

    Malefor sollevò lentamente le palpebre, senza neanche dover abituare i propri occhi alla luce, troppo fiebile per ferirli. Forse neanche si era reso conto di essere già uscito dall’uovo.
    Axius e Neiry osservarono il piccolo come ammaliati e nonostante il colore del guscio dell’uovo gli avesse anticipato la sua natura, restarono a fissare il viola delle sue scaglie con un’espressione tanto sbigottita quanto atterrita. Era interamente coperto di minuscole scaglie di quel viola leggendario. Una fila di placche ossee si dirigeva dalla testa fino all’estremità della coda,
    che terminava con quattro piccole lame sporgenti. Ai lati del muso presentava quattro fragili corna scure e altre due si gettavano all’indietro dal cranio. Gli occhi erano quelli di un innocente cucciolo ignaro del suo ruolo nel mondo. Malefor alzò lo sguardo verso il ventre di Neiry, che ancora lo stava coprendo con il suo corpo. dai suoi occhi traspariva un’espressione innaturalmente tranquilla per un draghetto appena nato. Cercò quelli dolci e rassicuranti che una madre avrebbe regalato al figlio, incontrando solo le tenebre intorno a se.
    Flarendor continuava a seguire lo svolgersi degli eventi con parsiale indifferenza, turbato dal ritorno dei due draghi. Non riusciva a capire come, ridotti praticamente in fin di vita, i due fossero sopravvissuti e li avessero potuti raggiungere in così breve tempo.
    “Siil!” Ruggì, facendo Trasalire il drago dell’elettricità. Anche gli altri si voltarono a fissarlo, il cucciolo con rinnovato interesse.
    “Com’è possibile che siate ancora vivi. Non avevate speranze… nessuno dei due… cos’è successo”
    Siil abbassò lo sguardo, voltandosi verso Neiry, in cui sembrò addirittura cercare protezione.
    “E tu… non ti importava minimamente di che… fine avrei fatto vero?”
    Flarendor sbuffò irritato, semplicemente turbato dalla presenza di tre avversari invece di uno. Avrebbe dovuto impegnarsi parecchio se voleva fuggire con Malefor. Le altre uova in oltre erano ancora intatte e nonostante fossero un numero esiguo in confronto a qualche momento prima, non avrebbe potuto distruggerle o catturarle tutte e portarle con se senza incappare nell’ira di Neiry e Axius.
    “Flarendor arrenditi, puoi ancora tornare in dietro… sei in tempo a fermarti, non costringerci ad ucciderti” Sentenziò il guardiano del ghiaccio con aria
    allo stesso tempo mesta e solenne.
    “Stai scherzando vero Axius? Non penserai che sia disposto a fermarmi proprio ora che manca un passo alla realizzazione di molti dei miei sogni?” Si rivolse poi verso Siil, con lo sguardo più fiammeggiante delle sue viscere. “Le hai mostrato il cristallo vero? Le hai fatto conoscere l’origine del potere… credevo che tu fossi mio alleato”
    Axius guardò confuso l’amica, ancora intenta a proteggere Malefor, che dal canto suo se ne stava impassibile ad ascoltare quello che gli accadeva attorno.
    Neiry si accorse solo in quell’istante che gran parte delle uova erano state ridotte in un ammasso di gusci distrutti,ma il suo cuore non ne soffrì più di tanto, dato che Siil gli aveva anticipato cosa sarebbe potuto succedere se Axius non fosse riuscito a fermare Flarendor.
    Si limitò a grugnire di rabbia reprimendo un grido. Non poteva certo accusare l’amico, doveva piuttosto prepararsi al peggio consapevole di cosa Flarendor
    avrebbe cercato di fare, si mise sull’attenti e cinse Malefor con tutte le zampe, acquattandosi a sua protezione. Axius si lanciò verso le uova indifese, senza perdere d’occhio il malvagio drago che stava bramando il sangue di Siil, il quale avendo fatto appello a quell’invisibile barlume di coraggio del suo animo si era posizionato davanti a Neiry, senza però troppa convinzione.
    Flarendor rinunciò, se pur con rammarico, alle uova protette al momento da Axius e si concentrò sulla chiave che gli avrebbe aperto tutte le porte verso il potere a cui ambiva tanto avidamente.
    “siete un branco di poveri illusi…”
    Senza concedere il tempo di prevederlo si lanciò verso l’alto a velocità incredibile, facendo perdere le proprie tracce. I piccoli bagliori che zampillavano dal fuoco acceso dal drago si dissolsero in una fugace nuvoletta di fumo e il cratere sprofondò di nuovo nel buio più totale.
    Il draghetto non si spaventò. Sfiorò le zampe di Neiry con il musetto, sfregando le piccole e fragili scaglie viola su quelle della dragonessa che non sembrava molto tranquilla.
    “Siil…”
    “Non chiedermi di seguirlo, non avrei speranze contro di lui”
    Neiry sbuffò, stringendo quasi involontariamente il drago viola che aveva iniziato a giocherellare con i robusti artigli di quella che forse pensava essere sua madre.
    “Non dire sciocchezze… hai soltanto paura, tu stesso l’hai ammesso”
    “Si ho paura va bene? Dovreste averne anche voi… Flarendor non può raggiungere il potere ultimo ma può farne uso quanto basta per mandarci tutti all’altro mondo. Invece di perdere tempo a giudicare me, fareste meglio a nascondere il vostro draghetto… prima che Flarendor torni e nasconda voi sotto qualche metro di terra”
    Axius affondò gli artigli sulla morbida sabbia che sembrò ritirarsi sotto al suo peso. Teneva lo sguardo glaciale disteso verso l’alto, in attesa di qualche spiegazione.
    “Cristallo? È qualcosa di simile ai cristalli d’energia del tempio?”
    “Diciamo di si, anche se questo racchiude un potere molto più grande e pericoloso. È pura energia negativa… è talmente potente che è stato capace di curarci
    entrambi nel giro di due secondi. È un cristallo di luce violacea, da cui si può ricavare un grande potere”
    Axius si incupì.
    “Se è stato in grado di curarvi entrambi… che eravate conciati veramente male… sarà anche in grado di conferire a Flarendor un potere immenso”
    “Il problema non è Flarendor stesso, ma se quel cristallo fosse utilizzato su…” Disse Neiry, chinando il muso ad osservare il piccolo… “su di lui, le consequenze
    potrebbero essere catastrofiche. Come ti ho detto è un’energia oscura e incredibile”
    Sill si prese il permesso di intervenire.
    “Se posso…”
    “Siil sei veramente il peggior individuo che io abbia mai conosciuto. Ti ho sempre odiato ma Dopo quello che hai fatto a Neiry… se fosse per me faresti una brutta fine. Qui…”
    “No Axius non è nella tua natura uccidere senza un movente ben preciso, adesso che vi sto aiutando non prenderai neanche in considerazione l’idea di uccidermi. O sbaglio?”
    Axius avanzò deciso, facendo scricchiolare le zanne l’una sull’altra.
    “Senti Siil… potresti anche aver ragione, ma ti assicuro che dopo quello che ti ho visto fare potrei cambiare radicalmente idea. Sei sicuro di voler restare dalla nostra parte? Per convenienza è certo… sai che se ci tradirai ancora ti eliminerò seduta stante?”
    Axius non poté vederlo a causa dell’oscurità, ma sentì il drago dell’elettricità sputare a terra.
    “Come vi ho già detto, invece di preoccuparvi di me fareste meglio ad andarvene. Credo non ci sia molto tempo”
    Neiry, recepito il messaggio, creò dal sottosuolo delle piccole radici, che spuntando dalla sabbia scura andarono a formare una sorta di nido ramificato.
    “Axius… prendi quelle uova e vattene da quì” Disse la dragonessa, allontanandosi con riluttanza dal draghetto che stringeva fra le zampe. “E porta il cucciolo con te”
    Senza aspettare risposta, Si avvicinò alle uova e le dispose una ad una dentro a quella sorta di cesto naturale.
    “Non dire sciocchezze! Se è vero quello che dite non ti lascierò qui da sola”
    “Sono guarita è vero, ma il mio corpo ha risentito molto del combattimento e non sarei in grado di volare per molto, tanto meno di fuggire e Siil non è messo molto meglio di me. E poi appunto non sono sola…”
    “Ah certo… che compagnia…” Osservò Axius, rivolgendosi astiosamente a Siil che non si scompose.
    “Non ti lascierò con questo verme, preferirei che fossi da sola con Flarendor”
    “Quanta fiducia amico mio”
    “Noi nonsiamo amici Siil, eravamo soltanto legati dal nostro destino di guardiani che voi avete distrutto. È anche colpa tua se sta succedendo questo, ansi… è solo colpa tua. Flarendor non avrebbe mai potuto fare tutto da solo. se non ci fossi stato tu non ci avremmo pensato due volte a squamarlo scaglia
    dopo scaglia”
    “Axius…” Bisbigliò Neiry, notando la rabbia salire anche nell’amico.
    “ A quest’ora Lehr e Airack sarebbero ancora vivi, a quest’ora non avremo dovuto nascondere il loro figlio dalle grinfie del tuo compare la fuori. Non avrebbe avuto il coraggio di sfidarci tutti. E tu ti sei unito a lui solo per paura di affrontarlo? Sei vile e perfido fino a questo punto? Hai preferito
    salvaguardare la tua incolumità al prezzo di quella di una famiglia e di una generazione intera di cuccioli!”
    Siil scosse il capo pigramente.
    “Il mio iniziale intento era quello di seguire il progetto di Flarendor, un progetto molto allettante. Avreste fatto meglio a seguirlo anche voi. adesso però sono stato testimone del suo egoismo, non sono più interessato ad aiutarlo”
    “Sciocco… pensavi veramente che quel pazzo avrebbe condiviso il risultato delle sue follie con te?”
    “Axius!”
    Questa volta la voce di Neiry venne ascoltata.
    “Discuterete dopo, adesso vattene…” Continuò, porgendogli il nido ligneo.
    Malefor, ignaro di tutto, si era disteso sulla sabbia, saggiandone la consistenza con i artigli con cui si scavò una piccola buca dove poggiò la testolina. Raschiò i granelli freneticamente, senza uno scopo ben preciso, fino a quando il foro non fu abbastanza grande perché ci potesse infilare anche il resto del corpo.
    Neiry lo raggiunse, accortasi che si stava seppellendo completamente.
    “Che stai facendo piccolo? Non nasconderti, in questo buio poi non ti ritroviamo”
    Con una zampa lo tirò fuori dalla sabbia e se lo portò alla bocca, leccandogli con delicatezza il musetto, prima di metterlo con i suoi fratelli che ancora non si erano svegliati. Lo adagiò tra le uova e si rivolse di nuovo ad Axius, che non aveva nessuna intenzione di ascoltarla.
    “Per piacere… fallo per me…”
    “Cosa dovrei fare? Lasciarti qui per farti fare da esca? Andiamocene tutti”
    “No… Flarendor tornerà qui, se non ci troverà verrà a cercarci. Da solo riuscirai sicuramente a sfuggirgli, io non sono nelle condizioni di proteggere il draghetto, dovrai farlo tu”
    ”Ti ho detto di…”
    Axius venne interrotto dall’apparizione di un improvviso fascio di luce violacea che si iraddiò in tutto il cratere, squarciando il buio e originando una strana forza sovrannaturale che spinse tutti a qualche metro di distanza. Axius afferrò la gerla con le uova e il cucciolo appena un attimo prima di essere
    sbalzato via, impedendo per un soffio che cadessero.
    “Accidenti a te Axius te l’avevo detto di andartene!” Gridò Neiry, cercando di far presa sul terreno friabile per non rovinare a terra.
    Flarendor comparve dallo squarcio di luce formatosi di fronte a loro con le ali spalancate e le fauci pronte alla lotta.
    “Adesso ditemi… chi dovrò fare fuori per primo…? beh… Axius… se mi consegnassi il drago viola e le uova senza provare a darmi problemi, potrei anche lasciarvi
    stare… non avrei mai voluto far del male proprio a te, abbiamo vissuto tanti anni insieme… niente mi farebbe più felice che risparmiarti la vita oggi. Ora fatti da parte…”
    “Preferirei morire bastardo!”
    Come ad anticipare la mossa del drago, Axius fece da scudo con il corpo al piccolo nido e si erse in tutta la sua maestosità, spiegando le ali azzurre e snudando gli artigli.
    “La vostra ingenuità non ha limiti” Disse il drago cremisi, prima di gettarsi a tutta velocità verso Neiry che non riuscì a contrastare l’assalto. Era ancora troppo debole per reggere uno scontro del genere, il suo corpo era attraversato da continue fitte di dolore che cercava di nascondere agli altri,
    ma quando Flarendor le piombò addosso conficcandola nella sabbia, un urlo agghiacciante eruppe dalla sua gola. Axius cercò con difficoltà di non perdere la cognizione dello spazio e del tempo. Avrebbe corso un rischio troppo grande gettandosi contro Flarendor a cui sarebbe bastato poco per finire Neiry, danneggiata com’era.
    “Non costringermi a fare sciocchezze che potrei evitare. Dammi quel maledetto draghetto o guarda la tua amica morire”
    Il tempo si fermò, il bivio formatosi nella mente di Axius era troppo devastante per permettergli di scegliere senza pensare alle consequenze che avrebbe causato escludere l’altra opzione. Non avrebbe neanche osato sperare in un aiuto da parte di Siil, che non perse occasione per far mostra della sua viltà, indietreggiando di qualche passo.
    Axius ghermì con gli artigli il cucciolo, ora in piedi sopra al mucchietto di uova perlacee.
    Neiry urlò di nuovo, questa volta non provando neanche a trattenersi. Flarendor le stava torturando le scaglie, incrementando rapidamente e inesorabilmente la sua temperatura corporea, fino a raggiungere un calore elevatissimo, che la corazza della dragonessa non poté più sopportare.
    “Neiryyyy!” Urlò il guardiano del ghiaccio, in preda allo sconforto e all’orrore.
    Stava per gettarsi in aiuto della compagna, ma sentì anche le proprie zampe ricoprirsi di uno strano calore, di cui riuscì a comprendere la fonte solo quando Malefor gli schizzò via dagli artigli, correndo verso la madre in pericolo.
    Flarendor non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere e preso alla sprovvista lasciò libero il corpo di Neiry, che compresa la situazione provò a rialzarsi, senza successo.
    Il muso del draghetto si mosse in una specie di sorriso, da cui scaturì un fiotto di fuoco splendente che investì Flarendor.
    Nonostante la portata del colpo fosse anche solo inimmaginabile per un cucciolo appena nato, il getto non lese il corpo incandescente del guardiano che invece scoppiò a ridere.
    “Caspita! Che grinta… si sei proprio quello di cui ho bisogno drago viola”
    Senza pensarci due volte scattò verso Malefor e lo afferrò al volo, facendolo strillare di paura. Incredibilmente fu Siil questa volta a cercare di fermarlo, caricando due fulmini che da direzioni diverse si diressero contro il drago rosso. Nello stesso tempo anche Axius aveva impiegato un istante per rivestire il corpo di un etereo manto gelido che avrebbe dovuto annientare il fuoco di Flarendor, ma quando i colpi dei due draghi stavano per raggiungerlo, il suo corpo si dissolse sotto la stessa luce sinistra chel’aveva accompagnato al suo ritorno.
    I raggi di luce si espansero fino alle estremità del cratere, illuminando per l’ultima volta quel buio che in un istante ingoiò di nuovo tutti, lasciandoli
    in balia di un soffocante rammarico e una disperazione incommensurabile.
    Axius era riuscito, come Neiry del resto, a sentire Malefor implorare aiuto in un grido soffocato dall’oscura energia di cui anche lui sarebbe stato padrone.

    *qualche anno dopo*

    “Forza Terrador… raggiungi i tuoi compagni, ti stanno aspettando”
    Un cucciolo dalle scaglie verdi splendenti fissava il muso vigile e impassibile di Axius, preparandosi al suo primo giorno d’allenamento serio. Era in corso la prova che gli avrebbe dato l’opportunità di guadagnarsi il titolo di futuro guardiano della terra. Il giovane drago, come sempre allegro e vivace, si esibì in un piccolo inchino e si allontanò trotterellando, pregustando con frenesia la sfida che l’attendeva per la prima prova.
    “Terrador!”
    Il draghetto si voltò.
    “Si?”
    “Non c’è bisogno di inchinarsi di fronte a me” Rispose il guardiano del ghiaccio.
    “Va bene… a dopo!”
    Lanciò un ultima occhiata alla sala degli elementi nella quale era entrato in cerca di informazioni riguardo la prova, per poi dirigersi a passo svelto alle scale che davano verso il basso, che scese a grandi balzi. Dopo aver superato un dedalo di scalinate e corridoi si diresse all’esterno, verso l’arena
    che li attendeva a tergo del tempio. Ad attenderlo c’era una decina di esemplari circa della sua stessa taglia ma appartenenti ad elementi diversi, due cuccioli dalle scaglie azzurre come
    il cielo stavano conversando con un altro dal colore più scuro e dalla statura leggermente più robusta. I restanti draghetti erano ammassati di fronte
    a una delle colonne marmoree che circondavano il campo d’allenamento.
    Il selciato che realizzava l’arena era interamente levigato e dipinto e la figura di un drago a custodia di un uovo era stato scolpito su l’unica porzione
    di muro non costituita da colonne. le quattro statue degli attuali guardiani degli elementi si ergevano grandiose alle estremità dellenorme anfiteatro. Neiry e Siil erano seduti al fianco di un drago dal manto scarlatto, su una delle balaustre che davano sull’arena, in attesa che tutti i draghetti fossero pronti. Quando vide che anche Terrador si era aggiunto ai compagni, richiamò la loro attenzione con un rumoroso verso gutturale.
    “Guerrieri! Avvicinatevi…”
    Il gruppo di giovani raggiunse il centro del campo muovendosi in maniera quasi meccanica, prendendo posto l’uno accanto all’altro in linea retta. “Bene. Oggi siete qui… per mostrarci se siete in grado di prendere il nostro posto tra qualche anno. Purtroppo sapete della disgrazia che ha colpito i draghi che sarebbero dovuti essere quest’oggi con voi, quindi so che vi impegnerete a fondo per fare in modo che in seguito una disgrazia simile non si ripeta. Ho solo una cosa da dirvi prima di lasciare la parola a Ignitor… ricordatevi sempre che quello che di più importante ci resta siete voi, non deludeteci.
    Ma soprattutto… non lasciatevi mai corrompere dal male”
    I draghetti annuirono, scambiandosi occhiate fraterne tra di loro e iniziando a bisbigliare su quale fosse realmente il significato delle parole della dragonessa.
    “Ei Ignitus… secondo te che vuol dire?” Chiese uno dei due draghi azzurri.
    La draghetta aveva allungato il collo sopra al dorso del compagno alla sua destra, per rivolgersi ad un altro cucciolo rosso come il fuoco di un bracere, molto simile a quello che sedeva al fianco di Siil a qualche metro da loro.
    “Non so…”
    “Tuo padre però mi fa paura”
    “Hahaha non dirglielo se no si offende”
    Il drago blu che si trovava tra i due si scostò, facendoli trasalire.
    “la fate finita? Ci stanno guardando malissimo”
    “Non rompere Glaider, almeno noi smorziamo la tenzione”
    Neiry e Ignitor ringhiarono all’unisono, nel tentativo di riportare la quiete. I draghetti ammutolirono e si immobilizzarono, con lo sguardo fisso su i tre guardiani.
    “Ignitus, Solaris… parlerete dopo… se ne avrete ancora le forze. Adesso concentratevi, quello che vi aspetta non sarà piacevole. Dovrete sudarvi il vostro futuro!” Esordì Ignitor, esprimendo tutto il suo incombente e severo rigore.

    ***

    “Malefor. Questo è il nome che tuo padre ha sussurrato prima di morire per te. Forse prevedeva per te sofferenza… o forse sapeva che saresti tu ad aver
    portato il male. In ogni caso non ha importanza… farò di te il più forte dei guerrieri, il mondo si piegherà dinnansi al tuo passaggio. Darò forma al tuo destino… drago viola”
    ___

    Capitolo6: A caccia di se

    Sollevò lentamente le palpebre, non aspettandosi un oscurità meno buia di quella del sonno.
    Mosse quasi a fatica le zampe, portandosele sotto al muso come per farne un morbido cuscino, sicuramente più accoglienti della dura pietra su cui si era addormentato.
    I suoi muscoli, troppo sviluppati per appartenere naturalmente ad un cucciolo della sua età, gli dolevano profondamente e anche alzarsi non fu semplice come sarebbe potuto sembrare.
    Lo attendeva un’altra giornata colma di fatica, dolore e perché no… sangue. il suo fisico si era temprato a tal punto da permettergli di ignorare qualsiasi forma di fatica o sofferenza, si stava trasformando lentamente e inesorabilmente in una macchina da guerra inesauribile. Nonostante ciò, il suo spirito continuava a patire le pene della convinzione che all’esterno, un mondo esisteva. Fissò lo sguardo in un punto indecifrato dell’ampia grotta che lo circondava, scrutando nient’altro che il buio.
    “Sono qui…”
    La voce profonda e cavernosa del suo maestro lo fece voltare di scatto. I suoi occhi scuri, che mai parevano aver visto la vera luce, guizzarono verso l’unica macchia di colore all’interno di quello spoglio vano. Si mosse con cautela, come un servo a cui è stato dato l’incarico di porgere qualcosa al proprio sovrano. Era quello che era diventato, un servo capace solo di soddisfare i desideri del maestro, e di ciò ne era consapevole. Lo raggiunse e attese che gli venisse impartito qualche ordine, o comunque che fosse il drago a decidere per lui quale sarebbe stato l’inizio di quel nuovo giorno.
    “Cosa stai aspettando? Vai a fare colazione”
    Il draghetto chinò leggermente il capo in segno di assenso per poi dirigersi verso l’uscita della caverna, a cui non osò non rivolgere un’ultima occhiata prima di allontanarsi, come ingenuo rafforzamento del triste legame che aveva con quel posto, in cui era costretto a tornare. Si lanciò all’interno della foresta di abeti e pioppi che circondava quella che lui credeva la sua dimora, balzando sotto le fronde degli alberi, da cespuglio a cespuglio, in cerca di una colazione sostanziosa.
    La luce del sole filtrava dolce e carezzevole negli sprazzi di foresta più aperti, giocando ad inseguirsi con le ombre sul suolo erbaceo dipinto di mille tonalità di verde.
    Il vento muoveva senza il minimo rancore le foglie sui rami estivi degli alberi, sibilando sinuosamente e accompagnando il canto degli uccellini come un basso in una melodia.
    Scelse come punto d’osservazione un piccolo alberello oscurato dalle chiome di altre piante che lo circondavano. Si guardò avidamente attorno, cercando di concentrarsi anche sulla più piccola sensazione. Poteva percepire qualsiasi cosa, dai piccoli scoiattoli che zampettavano sull’erba, alle ali degli uccelli che sferzavano l’aria sopra di lui, a quelle che designò come succulente lepri che presto avrebbero dovuto far fronte al loro triste destino di prede.
    Con un movimento leggero e fluido scese dal fusto dell’albero e si diresse verso il punto da cui aveva sentito provenire la fonte di cibo. Il suo passo era quello di un’ombra, nessun suono, nessun filo d’erba di troppo veniva smosso dalla sua silenziosa avanzata. Come un assassino spietato e celato dalla sua stessa oscurità, piombò su una delle lepri che zigò spaventata e disorientata e la atterrò, schiacciandola al suolo nonostante avessero più o meno le stesse dimensioni. Con gli artigli di una delle zampe anteriori gli fracassò il collo, spezzandolo come se fosse stato un fragile ramoscello.
    Restò per qualche secondo a contemplare la sua opera, mentre il sangue sgorgava dal collo della povera bestia, ormai senza vita.
    Dedicò non molto tempo al pasto, cercando di sbrigarsi per non irrompere nelle ire del maestro che lo stava aspettando.
    Si mosse con l’intenzione di far ritorno a casa, quando qualcosa in mezzo agli alberi attirò fugacemente la sua attenzione. Si fermò d’innansi ad un piccolo ruscello da cui zampillava acqua pura e cristallina. Abbassò il capo, cercando di scrutare oltre la superficie come in cerca di qualcosa, ma ciò che trovò
    fu solo se stesso. In quel piccolo specchio d’acqua si rifletteva la sua immagine, quella di un cucciolo di drago viola sporco del sangue di un'altra creatura e dall’espressione fiera per il proprio operato. Si sentiva forte, invincibile, non c’era avversario che potesse opporsi a lui. Portò la zampa sinistra
    verso quella opposta per godere del contatto con la sua perfetta e sviluppata muscolatura, costruita con mesi di duro allenamento. Fissò il suo riflesso come se volesse studiarne il più piccolo particolare, rafforzando ogni secondo che passava la fiducia in se stesso, nella propria forza.
    Eppure c’era qualcosa che quella figura non possedeva, e il draghetto se ne accorse. Era orgoglioso di ciò che stava diventando, un guerriero impietoso, indipendente da ciò che lo circondava e sprezzante della paura, ma in quell’espressione imperturbabile risiedevano anche la più profonda solitudine e il
    più sconcertante dolore.
    Un anima che nonostante la giovane età conosceva già la più grande sofferenza, un cuore costretto a farsi carico di una profonda tristezza. Avvicinò il muso al pelo dell’acqua per sprofondare all’interno del suo stesso sguardo, che stava cercando di penetrare in lui come un raggio di stella nella notte più buia.
    “Chi sono io?”
    Un interrogativo a cui non era in grado di trovare, forse neanche cercare risposta.
    Alzò la testa e osservò per un attimo il cielo sconfinato sopra di lui, che lo osservava urlandogli in faccia l’oscurità del suo cammino. Immerse il muso nell’acqua per pulirsi dal sangue della lepre, poi Senza fare il più piccolo rumore si voltò e si incamminò verso la caverna, dove il suo
    maestro lo stava aspettando. Se avesse tardato ancora forse il supplizio quotidiano sarebbe diventata una vera e propria pena di morte. Con un balzo si sollevò in’aria, spalancando le ali come un’aquila fiera e maestosa. Durante quasi metà del tragitto tenne gli occhi chiusi, cercando conforto
    ai suoi dubbi nelle tenebre stesse che lo cullavano come un figlio.
    “Il figlio delle tenebre?”

    Mancavano pochi battiti d’ali alla grotta. Le palpebre ancora abbassate, le membra già affaticate ancor prima di cominciare a vivere la giornata, iniziò a scendere di quota, percependo attorno a se quel vuoto e quella folle ebbrezza che solo la dimora e la presenza del suo maestro sapevano trasmettergli.
    L’aria attorno a lui si fece improvvisamente più calda. Poteva avvertire chiaramente un’intenza fonte di calore provenire dalla sua sinistra, una vampa silenziosa, colma di ambizioni, ma priva di vita.
    Lo stesso fuoco che l’avrebbe travolto se solo non si fosse gettato in picchiata verso il basso, costretto a riaprire gli occhi.
    Ormai era abituato all’insistente e costante pressione che il suo mentore esercitava su di lui, non c’era momento in cui abbassasse veramente la guardia. Nonostante l’impeto atterrò con grazia, come se guidato da una forza meccanica. I suoi artigli stridettero contro la dura pietra che costituiva il terreno
    di quella piccola radura isolata dal resto del mondo.
    Era in quello sputo di terra che il draghetto era cresciuto, trasformandosi in risposta a quello che lo circondava. Adesso alle sue spalle si estendeva la foresta che aveva appena visitato, di fronte a lui il nero ingresso della sua dimora.
    “Ti vedo molto distratto… cosa ti prende? Hai già deciso di mollare? Il tuo sogno non si è ancora realizzato”
    Malefor si voltò a fissare il drago dal manto cremisi, il quale gli si stava avvicinando.
    “Il mio sogno…”
    “Si esatto. È questo il tuo sogno, diventare l’essere in cui ti sto generosamente permettendo di trasformarti”
    Malefor lo fissò, tentando di trovare le parole in quel tenue cono luminoso che cercava disperatamente di raggiungere la sua mente.
    “No. non è… il mio sogno”
    Flarendor mosse con fermezza la coda, per poi sedersi di fronte a lui.
    “E dimmi. Qual è il tuo sogno”
    Il cucciolo non seppe cosa rispondere. Si limitò ad osservare come anche il nulla nei dintorni potesse esistere. Il vento che serpeggiava sinuoso attorno alle pareti della grotta, le nuvole che passeggiavano stanche verso l’orizzonte, piccole creature non molto distanti che trascorrevano le loro innocenti vite… tutto si muoveva nonostante l’immobilità.
    Tutto tranne lui, che era sempre rimasto identico a se stesso da quando aveva memoria. Pensieri questi affatto comuni per un cucciolo della sua età, ma necessari perché si rendesse conto del mondo in cui si trovava.
    Alzò il musetto verso quello scuro e minaccioso del maestro, che trasmetteva fiammate incandescenti anche solo con lo sguardo.
    “Il mio sogno è scoprire…”
    Si bloccò. Non temeva la possibile reazione a ciò che avrebbe dovuto dire, la paura costante di vivere gli stava permettendo di ignorare la paura stessa; Temette soltanto il suo cuore.
    Si chiese se quella domanda avesse veramente un significato per lui.
    “È scoprire se posso scegliere”
    L’espressione di Flarendor non mutò, ansi si fece, se possibile, ancora più vaqua.
    “E sentiamo… quali scelte vorresti compiere?”
    “Voglio sapere se come dice lei maestro… un drago viola deve per forza portare distruzione”
    Il drago allora parve esibirsi in un sorriso freddo e meschino, contorcendo le labbra per mostrare un arsenale di zanne acuminate come il male.
    “Hai bisogno di conferme, Malefor?”
    “No”
    “E di cosa allora”
    il draghetto mosse placidamente le ali, come se quella situazione non lo turbasse minimamente, e si sedette sulla superfice ruvida e rocciosa del –giardino- di casa.
    “Vorrei conoscere il tuo di sogno”
    Come se un colpo più potente degli altri si fosse abbattuto sul suo corpo, il drago questa volta sembrò bacillare per un istante.
    “E a te… perché interessa?” Chiese, scrutando ferocemente il cucciolo.
    “Perché in questo momento io mi sto allenando e sto crescendo per il tuo sogno”
    Flarendor perse un attimo il controllo delle sue emozioni impassibili, che non gli permisero di nascondere un geiser di odio verso quella creatura che lui stesso stava formando e che era convinto non avrebbe dominato per sempre.
    “Questo è il destino di ogni drago viola! Sei nato per dominare il mondo, quando tutto sarà sotto di te potrai fare degli altri ciò che più ti piace… realizzerai qualsiasi tuo sogno, perché il creato sarà tuo! Quindi adesso piantala di dire sciocchezze e preparati”
    Il draghetto avvolse la piccola coda attorno a una delle zampe posteriori e si grattò il ventre con gli artigli.
    “Sono pronto”
    una linea rossa si mosse fulminea di fronte a lui, accompagnata da un sibilo agghiacciante. Evitò la frustata di coda con non curanza, ritenendolo pericolo di ben poco conto.
    L’atteggiamento del draghetto stimolava Flarendor ad essere sempre più severo e spietato con l’allievo.
    Cercò con uno scatto di afferrarlo per la testa, ma Malefor schizzò via prima che i suoi artigli potessero chiuderglisi attorno.
    Provò a ghermirlo di nuovo mentre il draghetto gli passava a pochi centimetri dal collo, muovendosi agilmente in’aria come una libellula, ma non fu in grado neanche di sfiorarlo.
    Quando Malefor atterrò tranquillamente dietro di lui dovette portarsi una zampa al collo per tastare un rigagnolo di sangue rosso come le sue scaglie che gli stava scivolando verso la spalla sinistra.
    “Molto bene…”
    ruotando rapidamente su se stesso il drago scagliò una fiammata purpurea addosso a Malefor, il quale non si aspettava una reazione così istantanea e repentina. Il corpo del draghetto venne circondato da un alone di energia gelida su cui il fuoco di Flarendor si infranse, perdendo quasi completamente calore e consistenza. Le fiamme lo circondarono, ma quando ne riemerse sul suo corpo erano presenti solo lievissime scottature di insignificante entità.
    Sapendo che era quello che il maestro voleva, Malefor gli si gettò addosso con rabbia e brama del suo sangue. sfrecciò come una macchia scura e indistinta verso il suo addome scoperto, mancando però il bersaglio per un soffio, in quanto Flarendor fece in tempo a librarsi verso l’alto un attimo prima dell’impatto.
    Il draghetto non perse un istante di tempo e seguì il suo esempio, alzandosi in volo e volteggiandogli attorno come un rapace fa con la propria preda.
    Attese il momento giusto per attaccare, finché non si ritrovò senza neanche volerlo aldisopra del dorso dell’avversario, che sembrava così gustosamente desideroso di essere squartato.
    Snudò i piccoli ma già letali artigli e Con uno slancio gli si gettò incontro per affondarli tra le sue scaglie, fino alla carne.
    Flarendor emise un ruggito di dolore che riecheggiò nello spazio circostante e si scrollò di dosso il draghetto. Malefor non riuscì a mantenere la presa né ha trovare un appiglio solido e venne scaraventato direttamente al suolo.
    “Per questa mattina ritengo sia sufficiente”
    Il cucciolo si alzò da terra dolorante, cercando di ignorare le fitte alle zampe che avevano sicuramente risentito del colpo e senza neanche voltarsi a
    guardarlo si diresse all’interno della caverna, dove il buio lo inghiottì di nuovo. quell’oscurità che non lo abbandonava mai e nella quale era sempre costretto a rintanarsi.
    Osservò le nude pareti dell’antro, barriera invalicabile che sperava non l’avrebbe intrappolato ancora per molto. La sua mente non impiegò chi sa quanto a scovare la soluzione a tutti i suoi problemi. Questa si trovava lì, a pochi metri da lui, e lo stava fissando con una punta di orgoglio e una di disprezzo.
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    Capitolo7: Verso lo stesso destino

    “Ahah… hai abbassato la guardia!”
    Solaris fissò il compagno, steso a terra di fronte a lei, sorridente e soddisfatto del combattimento a cui aveva appena partecipato.
    “Non succederà mai più, goditi questo momento di gloria cucciola”
    “Ei cucciola a chi?”
    Ignitus Terrador e gli altri si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi il maschio dal manto scarlatto si avvicinò ai due draghetti che avevano cominciato a darsele di santa ragione.
    “Sei solo un…”
    Ignitus si piantò loro in mezzo.
    “Ei! Fatela finita, credo che sia giunto il momento”
    I due draghetti osservarono l’amico ancora distesi a terra a pancia all’aria, senza smetterla di punzecchiarsi con le code.
    “Sicuro?”
    “Mio padre dice che dovremo essere in grado di raggiungerlo in meno di un giorno se ci impegnamo”
    “Una giornata di volo? Mi mancano le energie solo a pensarci” Rispose Solaris, mentre aiutava l’amico a rialzarsi con una delle zampe anteriori.
    “Ma è possibile che tu ti lamenti sempre di tutto?”
    “Zitto Glaider… tu sei come me”
    “Ma non è vero!”
    Ignitus anticipò i due draghetti che stavano per riazzuffarsi e con un movimento fulmineo li scaraventò a terra in direzioni opposte.
    “Non costringetemi ad usare la forza”
    Glaider si alzò sulle quattro zampe. Dispiegò le ali, e con il muso puntato verso Ignitus e le zanne snudate ringhiò rumorosamente.
    “Perché, pensi di avere speranza?”
    “Devo dimostrartelo?”
    “Non vedo l’ora guerriero del fuoco!”
    Senza neanche lasciargli il tempo di terminare la frase Ignitus gli era già balzato addosso, pronto per colpire. Glaider non si fece cogliere impreparato
    e balzò agilmente di lato,, afferrandolo per un ala e torcendogliela per farlo precipitare. Prima di finire al tappeto Ignitus fu in grado di scagliargli contro una fiammata incandescente, che non riuscì a ferire l’avversario ma lo distrasse abbastanza da permettergli di rialzarsi e riprendere quota. Glaider
    era circondato da un’aura gelida che irradiava aria fredda verso ogni angolo del campo d’addestramento, impenetrabile per le fiamme di Ignitus che fu
    costretto a ricorrere a uno dei drastici metodi di cui si serviva quando il suo semplice fuoco si rivelava inutile: scagliò un getto infuocato verso l’alto,
    dove Glaider concentrò l’attenzione per un istante, senza abbassare la guardia.
    Da questo fuoriuscirono altre fiamme, che presero la forma di frecce scintillanti e dall’alto puntarono il drago blu come predatori danzanti e inferociti. Glaider, non riuscendo a comprendere cosa passasse per la testa all’altro, si limitò a spegnerle con un ondata gelida che scagliò verso l’alto per far in modo che nessuna freccia potesse raggiungere il suo corpo. Ignitus approfittò del momento e lo caricò a testa bassa, con le aguzze corna puntate al suo ventre. La risposta fu immediata ma non del tutto efficace:
    Glaider afferrò Ignitus prima che potesse colpirlo, per bloccare la sua corsa impetuosa, ma questo gli costò alcune scaglie delle zampe anteriori che si staccarono dai palmi all’impatto con le cuspidi dell’avversario .
    Ignitus, riuscito nell’intento di renderlo inoffensivo per qualche istante, gli saltò addosso e portò gli artigli sulle sue zampe, immobilizzandolo al suolo.
    “Adesso non fai più lo spaccone vero?”
    “Ignitus… togliti o ti farai male”
    Il draghetto rosso ridacchiò, facendo schioccare la lingua.
    “Voglio proprio vedere come”
    Non ebbe un istante per rendersi conto del pericolo che una coda irta di punte gli frustò violentemente la testa, impedendogli di mantenere la presa su Glaider, che lo spinse via e lo scrutò sorridendo.
    Si massaggiò il cranio squamoso e sbuffò due zampilli di fumo dalle narici.
    “Bene! niente male drago”
    Solaris si avvicinò a Glaider, il quale, nonostante la sua spavalderia, ansimava vistosamente.
    “Si… molto bene. quindi chi è il migliore?”
    Ignitus gli si avvicinò a sua volta.
    “Non hai vinto”
    “Lo farò la prossima volta. Non vorrei che le tue belle scaglie si rovinassero proprio oggi che dobbiamo far visita al grande saggio”
    I restanti cuccioli li attorniarono, pronti per la loro importante missione.
    “Ma sei davvero sicuro che potremo avere questo privilegio?”
    Ignitus si voltò a fissare un altro draghetto molto simile a lui, che all’apparenza sarebbe potuto sembrare suo fratello.
    “Possibile Kiriax che tu non ti fidi una santa volta?”
    “Non è che non mi fido, ma…”
    L’altro mosse un ala pigramente.
    “Hai paura per caso?”
    “Certo che no ma… mi sembra un’impresa tutt’altro che semplice, non lo raggiungeremo mai in un giorno, voleremo senza sapere dove dirigerci”
    “Discorsi di chi ha paura”
    “Vuoi prenderle anche da me Ignitus?”
    Gli altri sorrisero, lanciandosi brevi occhiate l’un l’altro, godendosi quei momenti di quiete fraterna, che li vedeva uniti sotto lo stesso cammino.
    Cuccioli in cui risiedeva la speranza di un futuro prospero e rigoglioso.
    All’interno della sala principale del tempio, i guardiani osservavano un bagliore violaceo provenire da un cristallo dalla superfice prismatica, che si irradiava tutto attorno come un minuscolo sole.
    Neiry, Axius Siil e Ignitor erano consapevoli del potere che quell’oggetto racchiudeva, se pur incompleto. temevano ciò che sarebbe potuto accadere nel momento in cui le due fonti di energia si sarebbero ricongiunte, dando origine al più tremendo dei poteri.
    “Siete sicuri che sia una buona idea mandare i cuccioli alla ricerca del saggio così presto” Chiese Neiry, al fianco di Axius che continuava a tenere lo sguardo fisso sul cristallo, come temesse che sarebbe esploso da un momento all’altro.
    “Devono pur conoscere la loro strada…”
    La voce cupa e profonda del guardiano del fuoco contrastò con quella della dragonessa, che ogni volta che aveva a che fare con quel drago si sentiva oppressa.
    “Non è questo il punto. È una missione pericolosa, un viaggio privo di meta potrebbe condurli alla perdizione”
    Ignitor emise un lungo respiro, che emanò aria calda per tutto il vano.
    “Non è questo il loro futuro. Riusciranno in quest’impresa. Riusciranno dove noi abbiamo fallito”
    Neiry abbassò la testa, fissando senza un preciso scopo lo scuro pavimento sotto le sue zampe.
    “Hai ragione. in fondo… se le foglie d’autunno cadono, saranno quelle di primavera a prendere il loro posto. E con loro avrà inizio la nuova stagione”
    Axius sorrise, sbuffando una nuvoletta di brina.
    “La nuova era”
    Seguì un religioso silenzio, attenuato solo dalla vivida e pulsante presenza del cristallo al centro della stanza, la cui energia poteva essere palpabile anche a qualche metro di distanza. Axius tese una zampa, portando gli artigli sulla superfice vitrea di quel piccolo mondo di luce.
    “Siil… tu conosci bene quest’oggetto giusto? Sai di cosa è capace”
    Il drago dell’elettricità, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare passivamente gli altri, si voltò verso Axius con un’espressione di indifferenza.
    “Non ho conosciuto niente di quel cristallo, l’unico che penso vi possa spiegare gentilmente il suofunzionamento è lo stesso drago che volete eliminare. Quindi… temo di non potervi aiutare più di molto”
    “C’è almeno qualcosa che sai?”
    Siil sollevò una zampa, da cui fuoriuscirono lapilli elettrici che si mossero in ogni direzione, scontrandosi con le pareti e annientandosi tra di loro, come in una pioggia di piccole saette.
    “So che Flarendor ha un cristallo identico a questo, ma non so come sia riuscito ad utilizzarne il potere. Mi spiegò che il suo potere sarebbe diventato
    illimitato… possedeva un oggetto in cui convergevano le forze del creato e presto ne sarebbe diventato il padrone”
    “Ma lui non sa che noi siamo in possesso dell’altra metà di quel potere?” Chiese Neiry.
    “E come pensi che io possa saperlo. Una cosa è certa, se dovesse riuscire a riunirle… non credo vivremo a lungo”
    “Non ci riuscirà!” Esclamò Axius, sbattendo la lunga coda a terra. “Abbiamo celato questo potere al mondo proprio perché non venisse utilizzato in maniere
    sconsiderate… e non dovrà mai più accadere che qualcuno intacchi il nostro compito. Purtroppo Flarendor è entrato in possesso di parte di questa energia, ma dobbiamo impedirgli di completare la sua opera”
    Gli altri assentirono, anche se Siil non voleva dar segno di molto interesse per la situazione. In quegli anni il guardiano dell’elettricità non era cambiato
    il suo comportamento ambiguo e meschino non aveva trovato ancora pace in una sola dimenzione, il suo unico scopo era rimasto quello di saper prendere ciò
    che più gli faceva comodo per sopravvivere nel migliore dei modi. La sua era un’esistenza priva di scopo, paralizzata dal triste giogo della paura della morte.
    Nonostante ciò allontanarsi da Flarendor gli aveva permesso di imboccare un sentiero opposto alla distruzione. Richiuse istantaneamente gli artigli da cui continuavano a schizzare saette luminose e queste cessarono di muoversi, tornando a convergere sul suo palmo,
    da cui ricominciarono a far parte della sua energia.
    “Axius perché invece di blaterare non vai ad avvertire i nostri guerrieri che è ora di andare?”
    Il drago azzurro gli lanciò un’occhiata stizzita, anche se una volta tanto Siil aveva detto qualcosa da poter prendere come un giusto consiglio.
    Si mosse lentamente, poggiando un’ala sul dorso di Neiry per invitarla a seguirlo.
    Lei si lasciò guidare dall’amico e insieme uscirono dal tempio, entrambi assorti nei propri pensieri.
    Quando i draghetti li videro arrivare, concentrarono i loro occhietti e le loro anime in quello che a breve sarebbe stato proposto loro di attuare. Specialmente i cuccioli più temerari, che ancora non avevano avuto l’occasione di scrutare l’immenzo mondo esterno al loro tempio se non per perlustrazioni e voli di
    poco conto, non vedevano l’ora di mettere in pratica gli insegnamenti dei loro maestri e di sollevare i veli che celavano il loro destino.
    “Guerrieri del domani… questo è l’appellativo che vi è stato attribuito. È in voi che noi riponiamo la nostra fiducia. Nonostante la vostra giovane età avete dimostrato coraggio da vendere e vi siete già trasformati in guerrieri dall’indubbio valore. Adesso io sono qui… per assegnarvi un’importante missione, a nome di tutto il tempio e di noi guardiani degli elementi”
    Axius era circondato da sguardi di stupore, di gioia e di speranza. I draghetti attesero che il drago aprisse di nuovo bocca, mentre Neiry restò immobile accanto a lui.
    “Dovete incontrare il saggio eremita, il drago che tutto conosce e niente ignora. Sarà lui a guidarvi verso il vostro destino. Noi dobbiamo proteggere
    il tempio da eventuali assalti del nemico che come temiamo non tarderanno ad arrivare, quindi vi prego di non fallire e riponiamo in voi le nostre più profonde speranze, siate la luce del futuro!”
    I cuccioli si scambiarono occhiate fraterne, di sincero affetto reciproco, poi sorrisero al guardiano del ghiaccio.
    “D’accordo… non vi deluderemo” Rispose Ignitus, facendo un passo avanti.
    Glaider si voltò a fissarlo, non perdendo l’occasione per accentuare la loro rivalità. “Ti sembra questo il modo di dimostrarsi superiore agli altri? Non c’era bisogno che fossi tu a rispondere” Quasi tutti gli altri cuccioli risero , compiaciuti e felici di intraprendere il loro primo vero viaggio. Anche Axius rivolse un sorriso ai due draghetti, i quali si stavano fissando con evidente odio reciproco.
    “E voi due non fate sciocchezze, la missione è di vitale importanza”
    Glaider poggiò una zampa sulla spalla di Ignitus, rivolgendosi ad Axius.
    “Tranquillo… se farà lo sciocco ci penserò io a rimetterlo il riga”
    Ignitus scattò in avanti, facendolo rovinare a terra. Glaider si alzò ridacchiando, mentre i compagni alle loro spalle avevano assunto una sorta di assetto di guerra, pronti per spiccare il volo.
    “Bene. potete andare. Lasciate che sia il cuore a indicarvi la meta. E ricordate… il destino del nostro mondo è nelle vostre zampe!”
    Come una nube colorata, un arcobaleno bagnato di splendenti bagliori di speranza, i draghetti si lanciarono in cielo dispiegando le ali verso la loro gloriosa meta.

    ***

    Malefor stava giocherellando oziosamente con la ruvida corteccia di un pioppo in mezzo alla foresta, graffiandone la superficie con i robusti artigli. Trascorse molti minuti a incidere strane figure sul legno dell’enorme albero, sfregando più e più volte tralle scalanature i solchi che lui stesso aveva
    creato. Sembrava che con quel gesto volesse esprimere senza parole ciò che il suo cuore desiderava. Dopo un bel po’ di lavoro sul tronco era comparsa la figura approssimata di molte coppie di ali che danzavano unite in un unico volo, in mezzo al quale si trovava l’autore dell’insolito disegno.
    Aveva iniziato a disprezzare la solitudine, ma allo stesso tempo temeva la compagnia di individui che non fossero Flarendor.
    Udì rumore di zampe che calpestavano il fogliame alle sue spalle, ma non si preoccupò neanche di voltarsi. Non c’era nessuno in quel luogo eccetto lui e il suo maestro.
    Il drago del fuoco restò a fissare l’allievo per qualche secondo, mentre il cucciolo non lo degnò neanche della sua minima attenzione.
    L’indifferenza di Malefor non dovette piacergli.
    Senza il minimo preavviso, lanciò una vampata incandescente in direzione dell’albero, colpendo sia questo che il draghetto. Il pioppo divenne tristemente una colonna di fiamme e fumo. Dal rosso del fuoco ricomparve Malefor, con il suo solito sguardo distaccato e freddo che Flarendor non sopportava, ma adorava. Era stato lui ad imprimerglielo come un marchio indelebile.
    Con un getto d’aria gelida Malefor ridusse istantaneamente le fiamme ad una soffice folata di vento; dell’albero non era rimasta alcuna traccia, se non basse radici sporgenti dal terreno coperte di ghiaccio.
    “Maestro…”
    Non riuscì a concludere la frase; Qualcosa gli suggerì di scrutare l’orizzonte.
    Lo stesso orizzonte che bramava da sempre e che in quel momento lo stava chiamando. Non vide nient’altro che nuvole candide e smussate che si divertivano a mutare continuamente forma, come in un puzzle di casuale soluzione su uno sfondo limpido e azzurro.
    “Malefor…”
    Il draghetto tacque.
    “Torniamo a casa, ti aspetta una giornata d’allenamento molto dura domani, ti conviene riposare oggi”
    Malefor scosse il capo, rivolgendosi di nuovo alla volta cieleste.
    “No, non voglio riposare. Voglio il permesso di volare via da qui, almeno fino a stasera”
    “Non dire assurdità, questo permesso non ti è concesso”
    I loro sguardi si incrociarono di nuovo. questa volta nel draghetto splendeva una nuova luce di consapevolezza.
    “Non lo voglio da te, ma dalla mia anima. Voglio non temere più il mio destino e voglio scoprire cosa vive al di fuori di questo mondo” Così dicendo, Malefor si sollevò dolcemente in volo e si diresse verso quel nuovo mondo che lo stava aspettando.

    ***

    Ignitus, Terrador, Glaider, Solaris e tutti gli altri volavano ad alta quota, sopra le terre del loro meraviglioso e insidioso mondo. Di tanto in tanto si scambiavano occhiate fiere e vivaci, divertendosi a stabilire chi dovesse guidare lo stormo per qualche minuto, litigando assurdamente come solo i cuccioli sanno fare e prendendo quella dura missione con la moderata semplicità che era loro concessa.
    “Ignitus, tu che sai sempre tutto, hai una pallida idea di dove si possa trovare questo eremita?” Chiese Glaider, al fianco del suo compagno rivale.
    “Purtroppo no, so quello che sapete voi”
    Solaris, Terrador e un altro draghetto dal manto giallo splendente accelerarono, per raggiungere i due.
    “Axius ha detto… di seguire il nostro cuore” Disse la draghetta, neanche troppo convinta.
    Glaider si voltò verso di lei e le sorrise.
    “Bell’aiuto si…”
    “Che devo farci! Comunque credo che non troveremo niente in cielo”
    “Beh… non si sa mai” Le rispose Terrador, mentre Glaider e alcuni membri del gruppo avevano già iniziato a scendere verso il basso. Atterrarono uno dopo l’altro in cima ad un alto pendio da cui la natura regalava un panorama mozzafiato, stupendo anche per creature capaci di scrutare il mondo da sotto le nuvole.

    Attorno a loro si apriva un volto paradisiaco del pianeta: da una parte si estendeva un’immensa foresta di latifogli, dall’altra lo sconfinato azzurro dell’oceano.
    “Mitico!” Urlò il draghetto del fulmine che si trovava al fianco di Glaider e Solaris, zampettando allegro sul quel nuovo terreno.
    “Zell, se non fai arrivare l’eco anche ad Avalar sarebbe…”
    Ignitus, che stava cercando di rimproverare l’amico, ruppe le sue stesse parole con un espressione degna di un illuminato.
    “Avalar! È lì che potremo andare. Ho sentito che…”
    Glaider scoppiò a ridere, stroncando sul nascere l’idea.
    “Certo… pensi che non ci avesse ancora pensato nessuno? Sbaglierò, ma non penso possa essere così scontato”
    Ignitus spinse la punta della coda nella pietra che componeva la superficie del pendio di quel piccolo monte, cercando di non rispondere come avrebbe voluto.
    “Oh nostro sommo consigliere, sai che lì abita un eremita… di cui teoricamente nessuno dovrebbe conoscere l’esistenza, ma che si trova proprio nella valle di Avalar? Magari non sarà un bersaglio valido come il nostro, ma forse potrebbe esserci d’aiu…”
    Improvvisamente si voltò alla sua destra, dove le cime di alberi secolari incorniciavano la scura foresta in cui il male aveva deciso di nidificare. Drizzò le zampe, facendo guizzare gli occhi verso un punto indecifrato del cielo.
    “Scusate un attimo…” Disse, sferzando l’aria con le ali e salendo di nuovo in volo. “Credo di aver visto qualcosa che…”
    I draghetti alle sue spalle erano troppo impegnati a discutere del più e del meno, a scambiare opinioni per opinioni e a perdere tempo, per rendersi conto che Ignitus stava già puntando qualcosa.
    Solo Glaider e Solaris se ne accorsero.
    “Cosa hai visto” Chiese la cucciola al suo fianco, cercando di seguire la linea del suo sguardo.
    “Non lo so, qualcosa si è mosso la in aria, qualcosa di piccolo… e…”
    Glaider si portò una zampa al muso.
    “E?”
    “E potente”
    I due lo fissarono spaesati, accontentandosi della sua convinzione.
    “Aspettatemi qui, vado e torno”
    “No ma aspetta… veniamo anche noi”
    “No Solaris tranquilla, non mi caccio nei guai inutilmente. Restate a spiegare a questi casinisti che abbiamo una missione da compiere”
    La draghetta gli sorrise, voltandosi poi verso la massa di cuccioli che avevano preso gusto ad inseguire Zell e un altro draghetto dalle scaglie verdi
    come le foglie di primavera.
    “Va bene… stai attento” Disse Glaider, sorridendogli.
    “Non sono imbranato come te”
    I draghetti si scambiarono un’artigliata amichevole e Ignitus si lanciò verso le ombre della foresta, intento a far luce su quella sensazione di disagio provata qualche momento prima.
    Planò verso un gruppo di alberi alti e silenziosi su cui si appostò per potersi guardare meglio attorno, rendendosi conto di quanto fosse tetro quel luogo.
    Niente sembrava realmente vivere, tutto era come rinchiuso in una foschia illusoria in cui pochi raggi di luce facevano timidamente capolino tra le fronde degli alberi.
    Udì un movimento a pochi metri di distanza; senza perdere troppo tempo si gettò verso la fonte del suono, pronto a qualsiasi sviluppo. Si fermò sull’erba all’ombra di una massiccia farnia.
    Ombra… troppa ombra.
    Qualcosa gli sfrecciò rapidissimo alle spalle, ma Ignitus non riuscì a fare altro che distinguere quello che poteva essere scambiato con il sibilo di una freccia. Si voltò di scatto e vide che in cielo stava volando a gran velocità un altro cucciolo di drago, circa delle sue stesse dimenzioni.
    Non fu in grado di distinguere immediatamente il colore delle sue scaglie, ma quando i suoi occhi forarono il velo di opacità causato dalla distanza il suo cuore perse un battito.
    “Quello è…”
    Non disse altro. Con una piccola rincorsa prese velocità, per poi schizzare al suo inseguimento, incapace di restarsene immobile ad assistere a quell’evento
    straordinario.
    “Ei fermati!”
    Il draghetto capì immediatamente che non stava inseguendo uno sprovveduto: sicuramente doveva avere molte più ore di allenamento alle spalle, vista la semplicità con cui lo aveva distanziato.
    Il suo primo pensiero finì agli altri cuccioli, ormai abbastanza distanti da non permettergli di tornare a chiedere loro aiuto.
    Gli avrebbe fatto comodo la velocità di Zell o di uno dei draghetti del fulmine.
    Si fermò a mezz’aria, limitandosi a muovere lentamente le ali e a fissare l’altro allontanarsi, finché accadde qualcosa che Ignitus certo non poteva aspettarsi.
    Il cucciolo viola invertì la rotta, come minimo dimezzando la velocità di volo e si diresse verso il draghetto del fuoco a cui sembrava che le parti si
    fossero invertite.
    Ignitus sentì il bisogno di scendere a terra, se il drago avesse avuto intenzioni ostili forse non valeva la pena di rischiare contro un avversario così esperto nel volo.
    Atterrarono all’unisono, a meno di venti metri di distanza.
    Mentre Ignitus si dimostrava timoroso e indeciso come il fuoco di fronte al mare , attendendo che fosse l’altro a compiere la prima mossa, il draghetto
    dalle scaglie viola mosse alcuni passi decisi e risoluti. In breve i loro musetti si trovarono l’uno di fronte all’altro.
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    Il drago azzurro che puzza di pesce

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    Quattro acuminati artigli neri stringevano la superficie trasparente di un cristallo luminescente che sprigionava baleni violacei all’interno della grotta.
    Flarendor cercò di percepire quell’estranea energia come sua, saggiandone l’essenza e assaporando quel potere che non era in grado di sfruttare a pieno. La sua limitata natura di drago del fuoco non gli concedeva il privilegio di una tale forza, il suo spirito come quello di tutti gli altri draghi non avrebbe mai potuto rivestirsi di quell’infinito e opaco potere. Solo una creatura ne sarebbe stata in grado. La stessa che Flarendor temeva avrebbe perduto se non avesse estratto tutto il male che in essa risiedeva. Le ruvide e smembrate pareti della caverna, maculate da qualche piccolo strato di muschio, venivano monotonamente illuminate dal cristallo incastonato in un ampio foro sul pavimento, mentre il soffitto grondava brandelli di roccia sgretolata.
    Il drago osservò il flusso energetico che sgorgava dal cristallo per concentrarsi all’interno del suo corpo, che ne assorbiva la potenza.
    Era ancora molto fragile il potere che ghermiva tra i propri artigli, ma quella forza gli avrebbe conferito la possibilità di schiacciare il mondo sotto le sue fiamme, che avrebbero divampato per mezzo di Malefor, in cui non vedeva altro che lo strumento per raggiungere il dominio assoluto.
    Eppure quel potere restava incompleto, oltre che instabile. Sembrava che il suo controllo sul cucciolo si stesse affievolendo e dell’altro cristallo,necessario per completare il potere assoluto, non vi era ancora traccia.
    Qualcosa in lui sapeva dove avrebbe dovuto cercare, ma qualcos’altro gli suggeriva di tenersi alla larga dal tempio, almeno finché non si fosse rafforzato abbastanza da poter dominare Malefor e scagliarlo contro i suoi avversari.
    C’era già qualcosa che però avrebbe potuto fare.
    Abbassò lo sguardo sul cristallo viola e ghignò perfidamente.

    ***

    Terrador Zell e gli altri avevano deciso che la missione sarebbe stata al quanto noiosa, quindi avevano intavolato una caotica discussione su quanto le scaglie di un draghetto del gruppo fossero splendenti.
    Il diretto interessato se ne stava immobile al centro di un cerchio di cuccioli che gli chiudevano ogni via di fuga, costringendolo a sorbirsi tutti i commenti insensati che gli venivano indirizzati.
    Il draghetto, un esemplare dalle scaglie azzurre e argentee che rilucevano sotto i candori mattutini, teneva gli occhi smeraldini fissi verso l’alto,
    nella speranza della venuta di un “salvatore”, forse più per gli altri che per se stesso. Stava pensando seriamente di far ricorso al suo elemento per spazzarli via e farli precipitare giù dal monte sottoforma di ghiaccioli, ma la saggia decisione di aggregarsi alle loro spensierate e innocenti angherie salvò molte delle loro scaglie.
    “Ei che ne dici? Potremmo squamarlo dalla testa alla coda, così la smette di pavoneggiarsi”
    “No non ci sarebbe gusto, sarebbe più divertente vederlo schiacciato da una frana e poi ridotto in cenere dal suo stesso ghiaccio”
    “Questa è buona, però come può il ghiaccio ridurlo in cenere?”
    “Beh le sue scaglie troppo luminose potrebbero riflettere il sole e incendiarsi”
    I cuccioli osservavano la preda dei loro insulti, aspettando che se la prendesse per azzuffarsi allegramente.
    Quello rivolse loro occhiatacce feroci, pronto per perdere la pazienza e dar sfogo al desiderio di vendetta.
    Solo Zell si era allontanato, resosi conto che qualcosa non era al suo posto.
    Raggiunse Glaider e Solaris, che osservavano seri l’orizzonte sbarrato dai rami degli alberi, sperando di veder tornare al più presto Ignitus.
    “Glaider dov’è il tuo amicone?”
    Il draghetto si voltò verso Zell a cui fu grato per aver trovato qualcosa che potesse distrarlo dai suoi sospetti.
    “Non so, sicuramente starà dando la caccia a qualunque cosa abbia visto prima. Non preoccuparti, È un po’ arrogante ma di lui possiamo fidarci”
    “Di me vi fidate?”
    Il draghetto blu sorrise, passando la punta della coda sull’ala sinistra, sfregandola tra le scaglie della robusta membrana.
    “È di quegli sconclusionati là che non mi fido, cosa accidenti stanno facendo?”
    Zell scoppiò a ridere, grattando il terreno con gli artigli.
    “Si stanno divertendo a prendere in giro Dorim…”
    Glaider sospirò.
    “Ti dispiace dare una raddrizzata alla situazione?”
    “Nessun problema capo”
    Il draghetto finse un inchino scherzoso, puntando verso il drago le piccole corna color del verde di bosco e mostrando fieramente il dorso di una zampa, su cui un fulmine blu esprimeva orgogliosamente la sua appartenenza all’elettricità.
    I due draghetti del ghiaccio lo osservarono allontanarsi trotterellando, per poi rivolgere l’attenzione a una strana vibrazione del terreno che li mise in allerta.
    Qualcosa si stava muovendo e lo stava facendo sotto di loro. L’aria iniziò improvvisamente a saturarsi di elettricità e di tenzione, fino al punto di diventare palpabile.
    Un suono dalla fonte occulta e dall’agghiacciante entità si propagò attorno a loro, come se le viscere della terra si stessero rivoltando per svelare l’incubo celato al loro interno.
    I cuccioli si guardarono negli occhi attoniti, cercando poi l’origine di quell’orrore che da un momento all’altro si sarebbe manifestato in tutta la sua
    terribile potenza.
    “Glaider…”
    Solaris si avvicinò all’amico, stringendo le ali sui suoi stessi fianchi e cercando il contatto fisico con il draghetto.
    “Tranquilla…”
    La roccia sotto i loro artigli iniziò a vibrare. Di fronte a loro un profondo solco si materializzò sulla solida superficie del terreno, scossa da continui fremiti. Sembrava che la stessa terra palpitasse in preda al terrore.
    Dal buio squarcio emerse un’alta coltre di fiamme che venne seguita da un’enorme massa rocciosa dalla forma pericolosamente insolita.
    Acuminate guglie spuntavano irregolarmente da essa, come le corna di quella che si rivelò essere la testa di una colossale creatura interamente coperta di pietra.
    Si fece strada verso l’esterno a suon di percosse e onde sismiche, lasciando credere che sia cielo che terra in quel momento stessero ruggendo per annunciare la sua venuta.
    Glaider e Solaris, trasformati in statue di marmo dal panico, non riuscirono a far altro che osservare l’immenzo corpo del mostro che si ergeva di fronte a loro in tutta la sua straordinaria interezza.
    Non molto distante, Ignitus e il leggendario drago viola continuavano a studiarsi, ognuno con le proprie curiosità e con le proprie domande da rivolgere all’altro.
    Il drago del fuoco avrebbe voluto legittimamente chiedergli se fosse veramente lui il cucciolo di cui spesso parlavano al tempio e che un giorno forse sarebbe diventato il loro più pericoloso nemico. D’altro canto Malefor, non conoscendo nientaltro che il suo piccolo mondo, aveva un infinità di quesiti
    a cui sperava che Ignitus potesse avere risposta.
    Entrambi stavano per aprire bocca, ma ogni volta che provavano ad iniziare la conversazione qualcosa glielo impediva; forse il dubbio, forse la paura. Ignitus distese le ali e cercò di rilassare le membra, continuando a restare mentalmente teso e vigile in vista di un’improvvisa minaccia.
    “Tu… tu sei il drago viola dell’antica profezia… giusto?”
    Il suo interlocutore, apparentemente assorto nei suoi lontani pensieri, teneva con difficoltà il pieno contatto con quel nuovo mondo di cui anche le più semplici forme d’esistenza gli erano ignote.
    Quella innocente domanda non fece altro che confonderlo ulteriormente.
    “Il drago viola di che cosa? Perché… cos’hanno le mie scaglie viola di strano”
    Ignitus sorrise, altrettanto stupito dalla risposta di Malefor.
    “Oh niente, le tue scaglie non hanno niente di strano… è il tuo potere che a quanto dicono è incredibile. Ma non mi sembri pericoloso”
    “Pericoloso? a chi ti riferisci quando dici… dicono?”
    “Ai guardiani degli elementi. A quanto pare non ti conoscono, girano strane voci sulle tue origini e su un drago di nome Flarendor. Ah comunque perdonami
    non mi sono presentato, io sono Ignitus”
    “Io Malefor…” Sussurrò il drago viola, cercando poi di rispondere con una sola frase sia ai propri dubbi che a quelli di Ignitus. “Flarendor è il mio maestro,
    ma chiunque siano i guardiani degli elementi non conoscono niente di me. Ma… anch’io so di avere qualcosa che non va”
    Ignitus distorse il muso in una strana smorfia e la sua espressione mutò.
    “Non intendevo dire questo, non mi faccio influenzare da ciò che gli altri dicono. Solo che…”
    “Ma non hai detto niente di falso o sbagliato. Però nessuno può conoscermi visto che io non conosco nessuno”
    Ignitus cercò di ragionare sotto lo stesso percorso mentale di Malefor, rendendosi conto che non era un draghetto come gli altri e anche capirlo non sarebbe stato semplice.
    “Hai ragione. Ma cosa ne dirresti…”
    Non riuscì a concludere la frase, perché un boato proveniente dal luogo in cui si trovavano ancora gli altri lo fece sussultare.
    Attraverso l’aria si propagavano invisibili ma potenti onde d’energia che raggiunsero entrambi, deviando la loro attenzione sulla provenienza di quell’occulta forza.
    Malefor percepiva distintamente quel potere come molto familiare.
    “Ma cosa sta succedendo…” Chiese Ignitus atono, senza rivolgere la domanda a qualcuno in particolare se non a se stesso. Si voltò di nuovo verso Malefor, lanciandogli un’occhiata sfuggevole mentre iniziava a muovere le zampe in direzione dei compagni, che sentiva essere in pericolo.
    “Scusami, torno subito… vado a vedere cos’è successo…”
    Malefor se ne stava immobile con lo sguardo rivolto alle proprie spalle, tristemente assorto in un buio vortice di pensieri rivolti al suo maestro. Mosse lentamente la coda, sfregandola sull’erba nervosamente e drizzando le scaglie quando una dubbia idea gli balenò in mente come un lampo in una notte liscia e placida.

    Solaris schizzò verso l’alto, cercando in ogni modo di evitare l’enorme pugno dell’immonda creatura, che provava a ghermirla con le possenti dita deformate. Glaider volava al suo fianco, pronto a difenderla da un successivo attacco del mostro, il quale li fissava con un paio di pupille giallastre prive di qualsiasi segno di razionalità, lo mancò per pochi centimetri. Ogni sua azione era guidata da puro istinto, da folle desiderio di distruzione, unicamente finalizzata
    a devastare qualsiasi cosa lo circondasse e qualunque forma di vita gli si parasse davanti. Il corpo della creatura effondeva fiamme da le crepe sul suo corpo come crateri in continua eruzione.
    Glaider prese quota e si allontanò dalla creatura quanto bastava per essere al sicuro e ragionare in maniera sensata. Ftava sottovalutando il gigante
    , a cui bastò sollevare una delle due braccia sconfinate per raggiungerlo. Evitò il colpo anche grazie ad una buona dose di fortuna, non aspettando si muovesse così rapidamente.
    L’emanazione di energia e il caos creato dalla sua apparizione erano giunti anche agli altri draghetti, che raggiunsero i due compagni già impegnati nello scontro.
    Il primo a comparire fu Zell, che afferrò Solaris un istante prima che venisse brutalmente schiacciata dalla forza del mostro e la “teletrasportò” a un paio di metri di distanza grazie alla sua velocità.
    Ogni movimento della creatura squoteva il terreno che si sfagliava sotto la sua tremenda forza, accentuata dall’irrazionale desiderio di ridurre in poltiglia
    i cuccioli. Solaris si divincolò dalla leggera presa diZell, fissandolo negli occhi.
    “Grazie infinite… non fosse stato per…”
    “Di niente. Ma… cos’è quella cosa!”
    “Credimi, mi farebbe molto piacere saperlo”
    “Ma… è mastodontico!” Esclamò Zell, sconvolto.”
    “È comparso all’improvviso, dal sottosuolo” Continuò Solaris, voltando poi lo sguardo verso l’alto per cercare Glaider, ancora sotto le omicide attenzioni del possente essere che non sembrava volergli concedere tregua.
    Zell e Solaris continuarono a battere le ali per restare sospesi in aria, abbastanza distanti da quella forza della natura.
    “Non è ancora tornato Ignitus?”
    Solaris si sentì presa alla sprovvista.
    “In effetti…”
    “Ma non era stato lui a dirci di restare uniti? Perché se n’è andato”
    “Non è andato via, ha semplicemente seguito qualcosa, ci ha detto di aspettarlo e mentre eravamo lì ad attendere il suo ritorno è arrivata quella roba”
    Glaider passò loro davanti, avvicinandosi a Zell che lo salutò sorridendo e agitando i sei artigli di una delle zampe.
    “Zell, lascia stare Solaris… devo proteggerla io”
    Il draghetto del fulmine sbuffò divertito, allontanandosi gradualmente da Solaris.
    “Va bene eroe, allora torna qui, ci penso io a buttare giù quell’albero secolare”
    “Zell, non per sminuire il tuo amore per gli alberi, ma quello è più alto di un albero secolare” Rispose Glaider, avvicinandosi di nuovo.
    “Noo… non è vero”
    Coprendosi di un manto elettrificato Zell si lanciò verso la creatura, caricando il suo potere sugli artigli, che sguainò ruggendo.
    I suoi movimenti erano troppo rapidi per la mole del mostro, ma non sarebbero bastate due saette per sconfiggerlo, quindi gli altri due draghetti, concentrata a loro volta tutta l’energia a disposizione, lo seguirono pronti per combattere.
    Alle loro spalle gli altri draghi parevano talmente spaventati che le loro ali non volevano saperne di aiutarli neppure a fuggire. Furono un numero esiguo
    quelli che ebbero il coraggio di gettarsi in aiuto dei compagni e furono ancora meno quelli a farlo senza timore.
    Terrador e Dorim si trovavano in testa al piccolo stormo.
    “Hai visto?” Chiese il draghetto dal manto verde come la primavera.
    “Si Terrador, ma posso pensarci io… tu puoi startene con quegli altri vigliacchi che non hanno neanche il coraggio di affrontare il pericolo”
    Dorim venne trafitto da una furiosa occhiataccia.
    “Sei uno stupido. Non sono tutti preparati per cose del genere! E poi… penso non ci sia tempo per le tue bravate, qualunque cosa sia è pericolosa”
    Dorim continuò a fissare a qualche centinaio di metri di fronte a se dove la potenza della creatura infuriava priva di controllo.
    “Adesso ti faccio vedere io…”
    Terrador gli si parò davanti, cercando di sbarrargli la strada, ma dagli artigli del drago si materializzarono due lame di ghiaccio che gli vennero puntate
    contro.
    “Togliti o farai la fine di quella creatura” Terrador si scostò, innervosito dal suo comportamento.
    “Non insisto se no ti farei male… vai a farti ammazzare, non sarà una grave perdita”
    “Non mi fai paura, né tu ne lui”
    Detto questo Dorim raggiunse gli altri, pronto per affrontare a testa alta il mostro.
    Si posizionò alla destra di Solaris che era indietreggiata di qualche metro per lasciare campo libero a Glaider e Zell che stavano tentando ogni mezzo per liberarsi di quella pericolosa minaccia.
    “Scusa Glaider, non faremo meglio ad aspettare Ignitus? Insieme siamo più forti”
    “No, faremo meglio ad andarcene, non è avversario alla nostra portata questo” Rispose il draghetto blu, seriamente preoccupato che qualcuno dei compagni
    potesse rimanere ferito.
    Improvvisamente Dorim si librò al loro fianco, portandosi davanti al mostro e mettendosi prepotentemente in mostra. Scagliò un soffio gelido verso il suo ciclopico ventre, che neanche considerò quella folata d’aria fredda come un tentativo d’attacco.
    Alle spalle di Dorim, Glaider e Zell erano sfrecciati verso l’alto per combinare i loro poteri in una tecnica dalla forza smisurata, ma che probabilmente
    non sarebbe stata sufficiente neanche per scalfirlo.
    Improvvisamente il mostro allungò una mano verso Glaider e lo afferrò per l’ala sinistra, torcendogliela con violenza.
    Il draghetto trattenne a stento un ruggito e provò a divincolarsi, ma le robuste dita dell’essere lo chiusero in una morsa quasi meccanica e strinsero
    le sue piccole ossa da cucciolo, che nonostante la loro robustezza vennero in parte maciullate. Non riuscì neanche ad urlare tanto era il dolore, ma i presenti si resero immediatamente conto dell’estremo pericolo in cui si trovava.
    “Glaideer!”
    Solaris si avvicinò a Zell e senza neanche comunicare capirono che entrambi dovevano concentrare tutte le proprie energie sull’altro, unendo le forze per
    liberare l’amico dalla mano del mostro. Le loro fauci si colmarono di energia elementale. Solaris attirò a se più gelo possibile dai d’intorni e dall’interno del suo corpo, concentrandolo in una sola sfera bianco-azzurra che si generò tra le sue zanne, mentre il draghetto del fulmine permise al suo potere di confluire in una saetta azzurra che si materializzò sulla sua zampa sinistra.
    La creatura portò la sua preda ormai agli sgoccioli di fronte alle immenze fauci, mostrando un brutale arzenale di zanne simili a stalattiti.
    Glaider si rassegnò, socchiudendo le palpebre e aspettando l’improvvisa e imminente fine della sua esistenza.
    Non si concesse neanche di sperare che i suoi amici potessero fare qualcosa per salvarlo, un avversario del genere era troppo per dei cuccioli.
    Solo pochi metri lo dividevano dalla sconfinata gola della creatura, quando una spirale d’energia luminosa impattò contro il braccio di questa, scuotendolo vigorosamente.
    L’attacco ebbe l’esito sperato, infatti la stretta che imprigionava Glaider si alleggerì e il draghetto precipitò inerme al suolo.
    Solaris gli si gettò subito in contro, spaventata dalla consapevolezza che i danni si sarebbero potuti rivelare irreparabili.
    “Glaider! Glaid alzati…”
    Osservò come il cucciolo giaceva disteso a terra con le ali e le zampe aflosciate, apparentemente privo di soffio vitale.
    “Ei… non fare lo scemo, alzati!”
    Mentre l’idea di averlo perso per sempre gli annebbiava la vista, si chinò su di lui e poggiò le proprie zampe anteriori sulle sue e lo scosse leggermente.
    “Solaris… mi fanno male le ossa, non sbriciolarmele ancora di più!” Riuscì a risponderle Glaider, facendole riaffiorare un piccolo sorriso sulle labbra.
    “S… scusa”
    Si distanziò di qualche centimetro, continuando a fissarlo senza degnare di una minima attenzione tutto ciò che la circondava. “Riesci ad alzarti?”
    Glaider compì un movimento impercettibile con le zampe, digrignando i denti per il dolore.
    “No…”
    La draghetta gli si avvicinò di nuovo, portando le zampe sotto quelle dell’amico per aiutarlo.
    “Solaris, lascia stare…”
    Seguì un breve istante di silenzio, in cui Solaris avrebbe replicato se Glaider non avesse sollevato la testa di scatto e non le avesse urlato in faccia, allontanandola con il capo…
    “Attenta!”
    Un mastodontico piede li stava prendendo di mira come formiche da schiacciare senza pietà. La sua distrazione le sarebbe stata fatale, se qualcosa non
    avesse impedito all’arto del mostro di raggiungerli .
    Un paio di ali si mosse tra loro e la creatura, che dopo qualche istante venne messa alla prova da una sequenza rapidissima di fulmini splendenti e sfere infuocate.
    Il colpo non ebbe un esito estremamente positivo, ma l’impenetrabile armatura di pietra si fendé in più punti, a dimostrazione dell’incredibile forza della
    fonte di quello straordinario potere.
    Ignitus planò al fianco di Glaider, sollevando un ala sul suo dorso.
    “Cosa ci fai li per terra? Non dirmi che ti sei fatto annientare come una femminuccia…”
    Glaider sorrise.
    “No, peggio… visto che è stata una femminuccia a salvarmi”
    Ignitus rivolse un’occhiata a Solaris, per poi tornare a fissarlo.
    “Beh c’era da aspettarselo da un imbranato come te”
    L’altro non si curò delle sue parole, concentrato piuttosto su ciò che stava tenendo a bada il mostro mentre loro conversavano beatamente.
    “Ignitus, cos’è… quello”
    “Dovrei chiederlo io a voi! Avete fatto talmente tanta confusione da svegliare quella creatura?”
    “Non parlavo della creatura, ma di quel drago viola che… caspita, riesce a tenergli testa”
    Ignitus si voltò, scorgendo come i colpi del mostro si scontravano con il vuoto e come il draghetto riusciva allo stesso tempo ad evitarli e a contrattaccare.
    “Lui… è Malefor, il drago di cui abbiamo sentito parlare”

    ***

    I suoi artigli e le sue corna non erano ancora abbastanza robusti da poter infrangere le difese del mostro e il suo soffio non era sufficiente per metterlo in difficoltà.
    Osservava di fronte a se i pugni di pietra muoversi rapidamente nel tentativo di distruggerlo, cercando di elaborare una soluzione contro quell’avversario con cui non aveva mai dovuto confrontarsi.
    Le battaglie erano sempre state la sua unica ragione di vita fin dalla nascita, tra un addestramento e l’altro in cui era costretto ad attingere a tutte le sue risorse per sopravvivere.
    In quel momento se lo sentiva, il suo cuore lo incitava ad aiutare Ignitus e tutti quei draghetti che aveva capito essere suoi compagni. Squadrò l’enorme mole del suo nemico, puntando immediatamente a quello che era convinto fosse il suo punto debole.
    Una delle tante lezioni impartitegli dal maestro era quella di cercare anche nell’avversario più ostico la peculiarità che lo avrebbe portato alla sconfitta.
    In quel caso, la smisurata altezza sarebbe potuta essere la rovina della creatura se l’avessero colpita nella maniera giusta.
    “Ignitus…”
    Malefor scese di fronte a Ignitus e Glaider, cercando l’attenzione del drago del fuoco.
    “Dobbiamo utilizzare il potere della terra all’unisono, solo più energie convergenti nello stesso punto possono farlo crollare. Non reggerà se gli togliamo la base su cui sta in piedi”
    “Allora dobbiamo chiedere a terrador e agli altri…”
    Malefor tese i muscoli delle zampe, concentrando le forze sull’elemento della terra.
    “Perché non puoi farlo tu?”
    “Malefor, io sono un drago del fuoco, non posso aiutarti con altri elementi”
    “Quindi… non ti hanno insegnato ad utilizzare energie esterne al fuoco?”
    “No, io non posso dominare nient’altro che il fuoco”
    Malefor sembrò quasi deluso da quella rivelazione, credendo scontato che ogni drago potesse utilizzare più di un elemento, anche se effettivamente sapeva che il suo maestro non aveva mai fatto ricorso ad un potere che non fosse il fuoco.
    “D’accordo…”
    Il drago viola spalancò le ali e si diresse verso la creatura, sperando di riuscire nel suo intento. Il suo corpo venne avvolto da un iridescente bagliore
    verde, mentre attingeva a tutta la forza che il mondo attorno a lui poteva conferirgli.
    Ignitus si allontanò momentaneamente da Glaider, volendo chiamare a raccolta i draghi della terra affinché potessero attuare il piano di Malefor, che si
    trovava nuovamente faccia a faccia con il mostro.
    In breve la creatura fu attorniata da una decina di cuccioli.
    “Colpite il terreno sotto di lui!”
    Senza lasciar spazio a inutili domande, senza alcuna esitazione, tutti ascoltarono l’ordine di Malefor e bersagliarono il terreno all’ombra della creatura con tutta la forza di cui erano a disposizione.
    Questa da principio non ne risentì, ma quando il suolo si sfaldò compresso dal suo peso un infinitesimale scintilla di intelligenza gli suggerì che stava per cadere.
    Con una forza e una resistenza impensabili il mostro recuperò l’equilibrio e assunse una posizione stabile nonostante la grossa crepa sul terreno.
    I draghetti indietreggiarono, spaventati dal fallimento che stava per costare loro la vita: il mostro scagliò un improvviso getto d’energia incandescente dalle fauci, che li avrebbe indiscutibilmente ridotti in un ammasso di cenere se Solaris Dorim e Malefor non l’avessero contrastato con il ghiaccio.
    L’enorme essere, infastidito dalla tenue resistenza che i suoi avversari gli stavano disperatamente opponendo, emise un tremendo ruggito che sconvolse radicalmente l’atmosfera del luogo rendendola un insieme di vibrazioni e spasmi dell’aria.
    Tutti gli altri, nonostante il timore e l’insicurezza che cercavano di trattenerli, non potettero fare a meno di unirsi ai compagni in pericolo.
    La zona venne ricoperta da uno stormo di draghi. La mente di Malefor trasmise al suo sguardo l’immagine del desiderio che aveva persino inciso sulla corteccia
    di un albero, Quel sogno a cui sperava di poter un giorno realmente partecipare.
    Attorno a lui miriadi di ali danzavano unite in una sola ascesa; le loro forze congiunte in un’unica energia, di cui anche lui era parte.
    Gli occhi del mostro brillarono, le sue zanne si mostrarono minacciose. Dall’oscurità delle sue viscere emerse un'altra onda di fuoco, che si riversò impietosa su i draghetti.
    Un lampo di luce bianca li investì.
    Un istante dopo ebbero appena il tempo di vedere la creatura deflagrarsi in tanti piccoli brandelli di pietra, che si ritrovarono avvolti dal buio abbraccio
    del vuoto. Attorno a loro l’esistenza stessa pareva essersi spenta, una coltre di irreale oscurità si prendeva gioco del loro contatto con la realtà.
    Stavano fluttuando in quella che interpretarono come una spaventosa dimensione totalmente separata dal mondo reale, qualcosa di inquietante e allo stesso tempo mistico e curioso.
    Di fronte al gruppo di cuccioli un globo di luce azzurrina illuminava,anche se fievolmente, quel piccolo fascio di infinito, come una stella ai confini dell’universo.
    Ignitus si guardò attorno, cercando di capire se fosse caduto in una sorta di sogno o di qualsiasi cosa si trattasse, comprendendo che stava accadendo seriamente. Si mosse, spostandosi nello spazio circostante senza la benché minima fatica, come se fosse sorretto dal nulla, come se nessuna forza di gravità o di attrito fosse presente in quel luogo.
    Scivolò verso Glaider, che come lui se ne stava immobile ad osservare quell’incredibile fenomeno di cui sarebbero stati i primi testimoni.
    “Glaider… tutto a posto?”
    “Ignitus… tu che ti preoccupi per me?”
    “Se tornassi a casa senza un membro del gruppo i guardiani se la prenderebbero con me, perché sono l’unico capace di gestirvi tutti”
    “Ah si certo, il lider ultraterreno”
    “Non ultraterreno, ma anche se non mi si addice il ruolo del lider devo pur fare voi da guida, non posso certo lasciarvi nelle tue zampe”
    Glaider sbuffò, colpendo l’amico con la punta di un’ala che notò con enorme piacere non provocargli più fitte lancinanti. Furono costretti ad interrompere il loro battibecco, perché la sfera luminosa aumentò di dimenzioni, divenendo un piccolo sole pieno d’energia viva e pulsante, come un cuore in procinto di esplodere.
    “Dove siamo finiti… e che è quel coso?”
    La domanda che Solaris espresse a voce alta ronzava nella testa di tutti, ma nessuno aveva la ben che minima idea di quale fosse la risposta.
    “Avvicinatevi… guerrieri del domani…”


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    Capitolo9: Petali di un fiore

    La sfera d’energia azzurra splendeva di fronte al suo ingenuo sguardo indagatore, conferendo al nulla un debole barlume d’esistenza. Da quel piccolo punto, insignificante se paragonato all’infinito che lo inglobava, si sprigionava la forza di un universo.
    Malefor chinò il muso osservando sotto di se, dove i raggi di luce scaturenti dal globo indicavano Un lontano orizzonte. Ascoltò le parole dello spirito che risiedeva in quel frammento di stella.
    “Malefor… leggendario drago dai poteri illimitati…”
    Il drago non rispose, attendendo che la voce pronunciasse il seguito della frase.
    Rilassò il corpo e le zampe, lasciandosi andare a quell’indefinito dolce tepore che lo avvolgeva, diffondendosi da ogni centimetro di quella dimenzione.
    “La tua anima viaggia in un conflitto di bivi inestricabili. L’insicurezza di una giusta scelta impossibile da prendere gioco della tua mente, divertendosi a sconvolgerla e ad insinuare in essa il gelido abbraccio del dubbio”
    “Chi sei” Chiese atono, con le iridi scure incollate alla luce che non era neanche sufficiente per ferirle.
    “Sono? Io non sono… io posso essere come non essere, posso esistere secondo la tua percezione come posso non essere presente di fronte a te”
    Malefor mosse debolmente un ala per muoversi attorno alla fonte di luce e aggirarla lentamente, come a volerla studiare.
    “Quella che potresti considerare la mia essenza si sta manifestando a te sottoforma di spirito. Lo spirito della saggezza dell’Aedo”
    “Senti. Qualunque cosa stia succedendo… il mio scopo è quello di scoprire il mondo per farne parte, così non sto capendo niente”
    Un’acuta e allo stesso tempo rauca risata si diffuse per tutto lo spazio circostante, riecheggiando nel vuoto.
    Improvvisamente sotto le zampe di Malefor prese forma una solida piattaforma di pietra scura, mentre attorno a lui un colonnato di monti si scagliava verso un cielo spento e inespressivo, carico di nuvole inesistenti.
    Di fronte a Malefor, una pozza d’acqua immobile sprofondava nella pietra, sorgente dell’ingresso di un mondo illimitato e privo di forma o colore. Attorno
    ad esso, agli estremi del basamento, una decina di pilastri marmorei ricurvi costituivano un colonnato quasi circolare che si incontrava a qualche metro sopra la testa di malefor, in un oculo nero su cui era scolpita un’immagine bianca che risaltava con lo sfondo. Essa riportava il rilievo di una zampa di drago che poggiava su un oggetto dalla forma prismatica e irregolare.
    “Dove siamo…” Disse il draghetto, indietreggiando appena le acque del lago si mossero, increspandosi sul liscio perimetro di pietra con volute prive di
    luce in cui niente era riflesso. Il liquido si dilatò, oltrepassando i confini della pozza e da essa emerse la testa di un drago dalle scaglie grigio opaco. Gli arcani occhi della creatura incrociarono quelli di Malefor, indifferenti all’assenza in lui di un qualche timore.
    Come un cucciolo ignaro del mondo qualsiasi esperienza poteva apparirgli assurda quanto nuova, ma la sua storia non gli aveva insegnato a distinguere la paura.
    “Tu sei l’Aedo?”
    “La sua manifestazione spirituale”
    “Dove sono gli altri?”
    “Tranquillo, li rincontrerai”
    Malefor ticchettò con un artiglio sulla pietra sotto le sue zampe, che non restituì nessun suono.
    “Sai cos’era la creatura che avete abbattuto?”
    “No” Rispose Malefor con semplicità.
    “Era un Golem. Uno dei mostri sepolti nelle viscere della terra dopo un attacco avvenuto qualche tempo fa. Sono colossi privi di ragione, intenzionati
    a distruggere tutto quello che ritengono distruttibile. Ora stanno tornando… e sai a causa di chi?”
    L’Aedo osservò Malefor sollevare la testa e drizzare il collo mentre la consapevolezza di quello che stava succedendo lo spinse a rispondere.
    “A causa mia”
    “Non è del tutto vero. Non è giusto addossarti colpe che non hai”
    “Se la mancanza di coraggio non è una colpa…”
    Attorno alla testa del drago l’acqua si mosse impercettibilmente. Piccole onde concentriche si propagarono verso l’esterno, raggiungendo quasi gli artigli di Malefor.
    “Parli del coraggio che non hai avuto fino ad ora di reagire?”
    “Non posso dire se la mia sia paura o meno, visto che non conosco il significato di questo termine. Ma qualcosa mi ha sempre frenato”
    “Ma adesso non ti frena più. quindi non obbligarti a vivere nel dolore. Ciò che è stato ieri non sarà domani, ciò che si crede giusto non sempre lo è,
    ciò che è ombra non sempre rispecchia la sua essenza nel male”
    Entrambi restarono in silenzio, mentre la zona si faceva sempre più consistente e verosimile ai sensi del draghetto. Attese alcuni momenti, poi sfiorò con una zampa l’acqua di fronte a se e parlò.
    “Flarendor ha risvegliato il Golem. Lui sta pianificando qualcosa di devastante”
    “Si”
    “E io cosa ci faccio qui?”
    “Sei qui per avere risposte a domande che forse neanche ti saresti mai posto”
    “Se non me le sarei mai poste… a che mi serve sapere le risposte?”
    Sul senile muso del drago si dipinse una sorta di sorriso di zanne biancastre.
    “Sono risposte che non interessano solo te. Tutto il regno dei draghi e le terre del vostro mondo potrebbero essere influenzate dalle tue scelte”
    “Questo significa… che posso scegliere?”
    L’aedo tacque per un istante, poi sporse il muso lontano dalla superficie del piccolo lago e lo avvicinò a quello di Malefor, che sostenne il suo sguardo
    come se stesse analizzando tutto ciò che esprimeva.
    “Tutti possono scegliere, Malefor. Chi non può farlo sono semplicemente coloro che non lo desiderano. Tu vuoi separarti dal tuo passato per poter iniziare a vivere?”
    Malefor pensò al suo maestro, immaginandolo in piedi di fronte al cristallo che gli aveva mostrato qualche giorno prima. Pensò a quante sofferenze aveva patito a causa sua e a quanto era diventato forte grazie a lui.
    Le fiamme di Flarendor erano state il suo passato, la sua casa. Nonostante desiderasse lasciarsi quell’orrore alle spalle non poteva riuscire a ignorare
    le impronte lasciate dal suo falso affetto paterno.
    “No. Non voglio lasciarmelo alle spalle, voglio che scompaia”
    “Il tuo desiderio quindi è quello di avvolgere nel buio della nebbia ciò che è stato?”
    “Il mio desiderio è quello di essere libero, indipendentemente dai giorni trascorsi sotto il controllo di Flarendor”
    “Sai quindi di essere stato manipolato”
    Malefor chinò il capo in segno di assenso.
    “E sai che il fine di quello che consideri tuo maestro è far uso della tua forza per stringere tutto tra le sue zampe”
    Malefor annuì di nuovo.
    “E sai anche… come è riuscito ad arrivare fino a questo punto?”
    Il draghetto alzò il muso, lanciando all’Aedo un’occhiata confusa.
    “In che senso? Lui ha usato me, ma…”
    “Come è arrivato a te. Non lo sai questo… vero?”
    Malefor si voltò verso l’orizzonte alle sue spalle, dove un’aria d’infinito lo avvolse. Il suo cuore venne stretto saldamente da una strana morsa di cui
    non comprese la causa e per un breve istante l’intero suo corpo venne attraversato da un brivido gelido che gli impedì di restare a contatto con la surreale realtà che lo circondava.
    Tornò a fissare il drago ancora per metà immerso nell’acqua; questo portò una zampa artigliata in superfice, poggiandola sull’orlo del lago e facendo leva su di essa con una spinta tanto fluida da sembrare meccanica.
    “No. Non so come sia arrivato a me”
    Le fauci del drago emisero uno strano verso gutturale che Malefor non cercò neanche di interpretare.
    “E allora… credo sia arrivato il momento…”
    “No!”
    Malefor alzò di scatto la testa, divampando con lo sguardo e gonfiando i muscoli come per attutire un suo stesso sfogo di forza.
    Puntò le zampe sulla pietra, distendendo le ali come per apparire più pericoloso ad un nemico inesistente, se non riflesso in se stesso.
    “Non voglio saperne niente” Sussurrò, abbassando le palpebre. Dimenò la coda scagliosa senza neanche rendersene conto. Non capiva perché si stava rifiutando di conoscere le soluzioni di tanti dei dubbi che lo tormentavano.
    “Perché… drago viola?”
    “Perché… se scoprissi in questo modo il mio passato… ho paura di cosa potrebbe succedermi”
    Per la prima volta nel corso della sua avveduta saggezza, sul muso dell’Aedo comparve una sfumatura interrogativa. Uscì completamente dal lago, posizionandosi
    in piedi di fronte al cucciolo. Dalle sue scaglie non scivolò nessuna goccia d’acqua; il suo esile corpo non mostrava la smaniosa fame del tempo.
    “Malefor… questa tua risposta e di consequenza questa tua scelta… mi hanno stupito. se il tuo destino è quello di scoprire senza il mio aiuto quali sono le risposte che cerchi… io non mi intrometterò”
    Le grige ali della leggendaria creatura si spalancarono, senza proiettare ombre attorno a se. Malefor percepì l’ambiente riempirsi di aria più solida,
    come se un vento immobile lo stesse avvolgendo.
    “Sii tu allora la luce che abbaglierà la tua ombra”
    All’interno della bocca del drago si generò un’intensa luce dorata, che travolse Malefor in un raggio abbagliante di spire d’energia. Il draghetto si ritrovò catapultato in una coltre di bianco e infinito e fu costretto a chiudere gli occhi per sopportarne l’impatto.
    Planò per un tempo indefinito, sospinto da forze impalpabili che lo guidarono attraverso lo spazio e il tempo, finché non percepì di nuovo la fresca aria
    del suo mondo baciargli il corpo e le funzioni sensoriali riattivarsi. Le sue acute narici e il suo udito formidabile captarono qualcosa di nuovo, sia
    per il luogo da cui era appena riemerso sia per la desolata landa in cui aveva trascorso i primi anni della sua vita.
    Uno scintillante manto verde lo circondava, mentre l’erba umettata gli conferiva un senso di piacevole tranquillità e il placido suono di un fiume in movimento cullava la sua mente tormentata dall’insicurezza.
    Si accorse subito di non essere solo. Ignitus e Zell gli corsero incontro, comparendo alle sue spalle da una volta di alberi coperti di così tante sfumature
    di verde e arancione che pareva riflettere i raggi solari del meriggio.
    “Malefor!” Esclamò il drago del fuoco, portandosi di fronte a lui come per constatare che stesse bene.
    “Ignitus…”
    “Da quando siamo stati colpiti dal Golem sono successe cose assurde!”
    “Lo so. Ma non le considererei così assurde”
    “In effetti hai ragione, noi abbiamo compiuto la missione che ci era stata assegnata con una facilità incredibile. Anche se ha detta dell’Aedo…”
    Zell avvicinò il muso a quello di Ignitus, imitando una goffa espressione saggia e il profondo tono di voce del drago misterioso.
    “Se siete quììì… non è stato per niente facile inveceee… aansi… aviete adempiito egregiamente ai vostri compiti…”
    Ignitus scoppiò a ridere, gettandosi a terra e coinvolgendo anche Zell che si unì a lui, mischiandosi a quella risata spensierata tipica dei cuccioli.
    “Già…” Bisbigliò Malefor, voltandosi alla sua destra dove vide Glaider e Solaris dirigersi verso di loro con una strana vena di sospetto disegnata sul
    muso. Le corna scure incorniciavano le ombre smussate dei loro occhi che velavano qualcosa che non avrebbero dovuto palesare.
    Anche Ignitus si voltò nella loro direzione, riservandogli un’incomprensibile occhiataccia di dissenso.
    Malefor non faticò a distinguere quello strano scambio di sguardi, ma si limitò a sollevare il proprio verso il cielo che appariva più limpido di quanto
    non fosse mai stato. La magia di quel luogo risplendeva nello sconfinato sussurro del firmamento, infondendo in quella valle un guizzante alito di pace e solennità. Nuvole rosee sormontavano l’orizzonte, costituito da lontane e immense montagne che si affacciavano su un mondo completamente coperto di natura.
    “Dove siamo?” Chiese, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
    “Non lo so… dove siamo Ignitus?” Chiese Zell, ancora disteso sull’erba con le ali e le zampe abbandonate su loro stesse.
    “Non posso dirlo con certezza… ma credo che questa sia la valle di Avalar”
    “Davvero?”
    “Penso di si”
    Zell a quella scoperta balzò agilmente in piedi e si allontanò dall’amico, dirigendosi verso i meandri di quel luogo straordinario.
    Solaris affrettò il passo, raggiungendo Malefor un momento prima di Glaider e fermandosi solo quando a dividerli non vi erano meno di una decina di centimetri.
    Lo fissò con i suoi occhi ambrati, aspettando una qualche risposta da parte sua a quel contatto visivo, che però si rivelò molto timida a manifestarsi.
    “Tu sei Malefor giusto?”
    Lui annuì.
    “Sei un po’ silenzioso… ma anche molto carino”
    Le zampe di Glaider affondarono tra i morbidi fili d’erba, strappandone involontariamente una discreta quantità. Ebbe l’impulso di afferrare la compagna e trascinarla via, ma qualcosa gli suggerì di non esagerare.
    Malefor si concentrò infatti su di lui, abituato a percepire e a decifrare qualsiasi suono o percezione che potesse rivelarsi una forma di pericolo.
    Glaider volse il muso altrove, cercando un diversivo che potesse distrarlo.
    “In questo caso… dovrei ringraziare?” Rispose Malefor, nuovamente rivolto a Solaris.
    Lei sorrise.
    “Non è necessario…”
    Malefor cercò di contraccambiare al sorriso, rendendosi conto che non si era mai cimentato prima in quell’ardua impresa.
    Gli rimaneva più facile e spontaneo uccidere che sorridere.
    “Scusa… l’unica volta che ho ringraziato sono stato punito”
    Solaris fece appello a tutta la sua forza di volontà per non chiedersi quali ripugnanze l’avessero ridotto in quel modo e gli sferrò un’amichevole pacca sulla spalla destra.
    “Tranquillo. Nessuno ti punirà più”
    Malefor, indeciso su quale fosse la risposta giusta, iniziò a contemplare i petali sgargianti di un fiore che gli stava solleticando le scaglie di un fianco.
    Portò gli artigli di una delle zampe sul fragile stelo che lo sorreggeva e sprofondò in quel gioco di giallo e porpora, paragonando quel soffice colore
    a quello del suo corpo.
    “Cos’è questo?” Bisbigliò, rubando il fiore alla distesa di verde e mostrandolo a Solaris.
    Lei lo prese dai suoi artigli con delicatezza.
    “Questo… siamo noi”
    Malefor restò con la zampa sollevata, concentrandosi sulle sue parole.
    “Noi…”
    “Si. Lo stelo sono le nostre speranze, che ci sorreggono e ci permettono di crescere e vivere. I petali sono le nostre ali che si aprono nobili contro
    la volta cieleste. Mentre il pistillo è il punto in cui tutti i petali convergono per unirsi in una sola anima”

    ***

    Il cielo iniziava ad oscurarsi, mentre la sera si srotolava silenziosa e minacciosa sul regno dei draghi. Eterei e irraggiungibili bagliori risplendevano
    come petali di camelia su una scura volta senza confini. Axius e Neiry volavano uno a fianco all’altra, in direzione dell’ombra di cui avrebbero estirpato le radici. Non quell’ombra che serpeggiava attorno a loro, prodotta dall’avidità dell’imbrunire che rendeva gli alberi sotto di loro scure masse indistinte, ma ombra fitta e tagliente, l’elsa di una lama che una volta completa sarebbe stata troppo pericolosa da affrontare.
    Sapevano dove dirigersi, dove avrebbero incontrato la loro preda.
    Abbandonare il tempio non era presente tra i compiti di un guardiano, piuttosto avrebbero dovuto proteggere il potere dei loro elementi e la pericolosa
    energia del cristallo che doveva essere custodito per impedire il compiersi di un tragico futuro.
    Nonostante questo i due draghi sferzavano il gelido avvento della notte come frecce, incuranti delle forze che avrebbero incontrato a contrastarli.
    Dopo minuti di silenzio, colmato solo dall’assordante rombo del vento che si abbatteva sulle loro scaglie impenetrabili, Neiry accennò ai suoi dubbi.
    “Drago… pensi che sia la cosa giusta? Sicuro che… non ci sia un altro modo?”
    Axius inclinò il capo da un lato, piegando le ali azzurre per scendere dolcemente di quota.
    Volarono entrambi a pochi centimetri dal suolo, quasi rasoterra, mentre Axius elaborava una risposta che avrebbe convinto anche la compagna dei suoi propositi.
    “Neiry. So che quello che stiamo per fare va contro qualsiasi legge di noi guardiani, qualsiasi razionale scelta o principio, ma ogni tanto siamo costretti a far fronte a decisioni che non avremo mai preso se non per uno scopo che va oltre noi stessi”
    “Non può trattarsi di scelte o principi quando c’è in gioco la vita. Forse non ti rendi conto… di ciò a cui stai mirando”
    Il drago socchuse gli occhi, continuando a volare dritto e parallelo al terreno.
    “Ciò a cui io sto mirando? È il mio volere questo?”
    Neiry non rispose.
    Si librarono all’unisono verso l’alto, tristemente accompagnati da una scia di vento tinto di sangue.
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    Capitolo10: Rottura con il passato

    Dorim se ne stava immobile ad osservare il fluire del corso d’acqua che si muoveva di fronte a lui, indifferente a quello che il suo sguardo incontrava.
    Era imperdonabile non riuscire ad apprezzare la meraviglia di quel piccolo mondo che nonostante i confini naturali sembrava infinito. Zell gli comparve di soppiatto alle spalle, come il fulmine che si scatena senza preavviso.
    “Bu!”
    Con un balzo gli piombò addosso e lo spinse a terra. Innervosito dalle “inutili perdite di tempo” del drago del fulmine, Dorim lo spinse via grugnendo.
    “La prossima volta ti faccio finire nel fiume”
    Zell, conscio del temperamento ribelle e scorbutico di Dorim, si limitò a sorridere e a fingere un’espressione spaventata.
    “Nooo l’acqua del fiume no ti prego no… ho pauraaa!”
    Dorim sospirò, poi un ghigno pericolosamente perfido gli increspò le labbra scagliose.
    “Zell… che ne dici di superare la tua paura dell’acqua?”
    Il draghetto sollevò le ali e le portò sul muso a difesa.
    “Mai!”
    “Ma… il ghiaccio ti piace no?”
    Zell scoprì di nuovo il volto e fissò incuriosito l’altro.
    “Che vuoi fare?”
    “Una bella gara di scivoli sul fiume, ovviamente dopo che lo avrò congelato”
    “Ma…”
    “Che c’è? Non ti fidi?”
    “In effetti no, ma pensavo più che altro che… non sei in grado di congelare un intero fiume”
    Dorim divaricò le ali e sollevò il capo in segno di superiorità.
    “Mi sottovaluti?”
    “No, tu ti sopravvaluti” Rispose con estrema semplicità, insinuandosi silenziosamente tra i vicoli del fragile autocontrollo di Dorim.
    Si voltò verso le acque del fiume, realizzando che effettivamente trasformare l’intero corso in ghiaccio era impossibile. Terrador, cogliendolo in difficoltà, gli si avvicinò con un’espressione derisoria e vide in quel momento la possibilità di rinfacciargli la sua spavalderia.
    “Che c’è piccolo drago del ghiaccio, non riesci neanche a usare il tuo elemento? Dai! Non hai appena detto di poter congelare il fiume?”
    Dorim non gli restituì nessuna attenzione, si concentrò piuttosto sul suo potere, cercando di far fluire più energia possibile all’interno dei polmoni per convogliarla in un getto di dimenzioni molto più estese del solito. Terrador, per offrire il tocco finale, sollevò il livello del suolo all’interno del fiume, oltrepassando la superficie dell’acqua e sbarrandone l’impeto.
    Quella sorta di diga naturale non avrebbe retto per molto, quindi Dorim si vide costretto ad approfittarne immediatamente e scagliò l’energia accumulata sulla metà immobile del fiume, che venne coperta da un lineare tratto di strato ghiacciato.
    “Con il mio aiuto è stato facile a quanto vedo”
    Il drago dalle scaglie azzurre e argentee decise di utilizzare come arma più letale una rinnovata gentilezza e una preoccupante indifferenza alle provocazioni.
    “Dai vieni a divertirti invece di vantarti” Disse al drago della terra, che ruzzolò vergognosamente e con troppa facilità nella perfidia del compagno.
    Osservò Zell avvicinarsi alla banda di ghiaccio che ora solcava il verde della valle e slittarvi sopra con le zampe, esultando allegro come il più giocherellone
    dei cuccioli.
    Si lasciò influenzare dalla sua spensieratezza e lo seguì, ignaro del maligno sorriso di Dorim alle sue spalle, che attendeva l’istante giusto per attuare il suo piano.
    Finse di raggiungerli per unirsi a loro, ma si bloccò con gli artigli a contatto con la solida superficie del ghiaccio e attraverso essi trasmise la sua energia esattamente sotto le zampe di Terrador e Zell, dove il ghiaccio si crepò istantaneamente e li fece sprofondare nell’acqua gelida.
    Convinto che sarebbero facilmente riusciti a tornare all’esterno per iniziare una furiosa azzuffata, tolse le zampe dal ghiaccio e le fratture si rimarginarono, seppellendoli sotto il robusto strato trasparente.
    Ridacchiando si allontanò a rapide falcate, aspettandosi una reazione fin troppo violenta. Non che avrebbe mai concesso loro un segno di vigliaccheria o debolezza; la sua fuga sarebbe servita solo a “garantire la loro incolumità”.
    Terrador, nonostante la resistenza esercitata dall’acqua, con uno schiocco di coda riuscì a fratturare il ghiaccio quanto bastava per ampliare la fenditura con la forza delle zampe e portare la testa in superficie.
    Consapevole del terrore che impediva a Zell di affrontare l’acqua. Si immerse di nuovo, notando che l’amico si stava agitando a pochi metri da lui, cercando di rompere il ghiaccio in preda al panico.
    Vedendolo in difficoltà e incapace di ragionare, lo raggiunse e lo afferrò per la coda per trascinarlo all’esterno, mentre ancora si dimenava furiosamente in cerca di salvezza.
    Quando entrambi si trovarono distesi sull’erba, zuppi d’acqua gelata che aveva pensato bene di incunearsi tra le loro scaglie, Zell cessò di agitarsi e
    lanciò un’occhiataccia nei dintorni, in cerca del suo prossimo pranzo, che si sarebbe concluso con l’ultima scaglia di Dorim.
    “Quell…”
    “Dai lascia stare, sai che è sempre così” Disse Terrador, cercando di sedare i suoi istinti assassini.
    “Ma i… io… lo squarto!”
    Intanto che Zell si era gettato alla ricerca del suo avversario all’interno della ragnatela di fronde che si intrecciavano nella valle sotto a un cielo di giada, Malefor e Solaris si erano seduti con il dorso poggiato oziosamente sul liscio manto di calcare che rivestiva una roccia. Le loro ombre si proiettavano sul fresco verde dell’erba, illuminato ad incorniciare le due scure figure eteree.
    Il drago viola puntò il culmine acuminato della coda al suolo, affondandola a qualche centimetro sotto la superficie.
    “E quindi siete cresciuti nel tempio” Disse a voce leggermente calante.
    “Si. Dobbiamo essere addestrati per diventare futuri guardiani o essere affidati a uno dei tanti ruoli che la natura del mondo ci propone”
    “E quale sarà il tuo posto Solaris?”
    Lei lo fissò da prima intensamente, poi con un’espressione intenerita.
    “Non avrebbe senso saperlo adesso”
    Malefor abbozzò un sorriso.
    “Si giusto”
    Il cucciolo alzò il musetto verso le nubi che rivestivano l’orizzonte, fiutando qualcosa di strano attraverso l’infinito.
    “E tu? Quale sarà il tuo destino?” Chiese Solaris,.
    Fece quella domanda forse con troppa leggerezza, ignorando l’ingenuità del draghetto.
    A Malefor ci volse qualche secondo per distogliere l’attenzione da quello che aveva captato e incamerare la domanda. Socchiuse gli occhi, passando la lingua tra le piccole zanne e espirò uno sbuffo d’aria calda che salì verso l’alto.
    “Un domani lo scoprirò”
    “Certo. E questo credo sia il nostro punto di partenza. Questa splendida valle, questa energia sarà l’origine della nostra forza. l’Aedo sicuramente ha scelto di mandarci qui per un motivo preciso” Rispose, mentre Glaider le si avvicinò spuntando dalle spalle del masso a cui erano poggiati.
    “E il motivo è che i nostri cammini sono sicuramente intrecciati. Siamo andati via dal tempio con l’intento di scoprire il nostro destino e ecco che incontriamo
    Malefor e… insieme finiamo qui”
    Entrambi si voltarono verso di lui, il quale si portò tra i due e si sedette in modo da distanziarli, con fare apertamente geloso che fece sorridere la draghetta.
    “Sono d’accordo. Sono felice di avervi incontrati… ma purtroppo non posso fuggire per sempre dal mio
    passato e non posso da un giorno all’altro… beh, trasformarmi”
    “Senti, non so quale sia il tuo passato ma ci sono due scelte che è possibile compiere in risposta a ogni passato. O prendi ciò che di questo è servito a formarti o ti lasci alle spalle gli errori e le tristezze”
    Malefor si alzò sulle zampe, distendendo le ali violacee verso l’esterno.
    “Credo che sceglierò entrambe, ma non prima di aver fatto ciò che è giusto fare”
    Non diede loro tempo per chiedere spiegazioni. Piegò gli arti posteriori e li sfruttò per darsi una poderosa spinta e librarsi in aria, ascendendo verso
    il rosso scarlatto dei suoi ricordi. Maestro e allievo volarono uno in contro all’altro, entrambi con intenzioni ignote.
    Il ritmico e rapido battito d’ali del cucciolo contrastava con quello profondo di Flarendor, tranquillo e pacifico esteriormente, un inferno nelle viscere. Lo stesso inferno che aveva spesso scatenato contro Malefor, che adesso lo stava raggiungendo velocemente, deciso una volta per tutte a fronteggiare il fuoco che non poteva ferire le sue scaglie, ma aveva potuto ustionare gli anfratti più reconditi della sua anima.
    “Cosa stai facendo…”
    Flarendor compì un gesto quasi impulsivo e spalancò gli artigli di una zampa anteriore, che richiuse un attimo dopo stringendo il vuoto.
    “Come hai fatto a trovarmi”
    Flarendor mostrò i denti, soffiando fumo dalle narici.
    La sua coda fendeva l’aria alle sue spalle, mentre i muscoli di tutto il corpo lavoravano spasmodicamente per mantenere il controllo.
    “Ti ho chiesto… che cosa stai facendo. Cosa ci fai in questo luogo insieme a quei draghi”
    Malefor batté le ali più rapidamente e scivolò fluido alla sua destra, con corna e artigli pronti ad accoglierlo in caso si fosse comportato come sapeva
    avrebbe fatto.
    “Faccio quello che non ho fatto per tutti questi anni… vivo”
    “Ah. Vivi”
    “Si. E se anche tu vuoi continuare a fingere di farlo ti consiglio di tornare nella grotta in cui mi hai cresciuto, qui non hai niente da fare”
    Tutti i nervi del drago del fuoco si tesero oltre il limite consentito e le sue pupille si tinsero di quell’inferno.
    “D’accordo piccolo draghetto impertinente. Me ne tornerò a casa, ma tu mi seguirai. Sono stato abbastanza chiaro?”
    Malefor sollevò il capo, rendendosi conto che aveva il pieno controllo della situazione, mentre il suo maestro era prossimo a bacillare.
    “Chiaro come i bagliori di quel fuoco con cui mi hai torturato e con cui hai forgiato queste scaglie”
    Rincarò la pressione esercitata sul drago avvicinando il muso al suo. “E con cui mi hai condannato alla solitudine”
    “Malefor…”
    “Si mio maestro?”
    “Non sfidare la mia pazienza”
    “Cosa dovrei temere…”
    “Te stesso”
    Una vena di perfidia spuntò sul muso del drago quando vide Malefor sgranare impercettibilmente gli occhi, ma Il cucciolo estrasse la lama della ferita
    in maniera rapida e indolore per poi conficcarla dritta nel petto di Flarendor.
    “Preferisco affrontare me stesso come drago libero che come tua arma”
    Fu la scintilla che fece divampare l’incendio. Si scagliò con violenza contro il suo allievo, snudando le zanne e puntandolo alla gola.
    Con una cabrata istantanea Malefor si alzò di quota e si mosse in modo che il suo avversario seguisse i suoi movimenti e si concentrasse unicamente su
    di lui. Sfrecciò in picchiata verso le montagne che si gettavano sulla valle, tenendo attivo il contatto mentale con ciò che lo circondava: non poteva lasciarsi cogliere di sorpresa.
    “Se non potrai essere mio… non sarai di nessun altro drago viola!”
    Malefor lo ignorò, sperando solo che gli altri draghetti non decidessero di seguirlo o magari non si fossero neanche resi conto dell’accaduto.
    Non potette però preoccuparsene più di molto: Flarendor era saturo di una strana energia che lo stava piuttosto allarmando.
    Cercò di tenersi a debita distanza finché non fu abbastanza lontano, ma qualcos’altro aveva catturato l’attenzione dei suoi sensi tanto sviluppati da permettergli di individuare altre due creature non molto distanti che si stavano avvicinando. Non era il momento per fare nuove conoscienze.
    Nonostante il suo maestro fosse sempre vissuto solo non voleva rischiare di trovarsi di fronte a troppi avversari.
    In quel momento sorse il suo io oscuro e chiunque si fosse trovato davanti intenzionato ad ucciderlo non avrebbe visto la nuova alba.
    Tra una virata e un’altra i due iniziarono a tracciare una sorta di spirale d’energia che li seguiva in un turbinoso vorticare di volute concentriche.
    Stranamente Malefor si sentiva a disagio. C’era qualcosa nell’ira di Flarendor mai vista prima, un potere ancora più terrificante del drago stesso.
    Una folata d’energia violacea si propagò attorno al corpo del drago del fuoco, che scomparve nel nulla come per capriccio divino per materializzarsi nuovamente a meno di un metro dal dorso del cucciolo, che alzò lo sguardo incredulo, del tutto colto alla sprovvista.
    Un fendente dei suoi artigli e l’ala sinistra di Malefor si ritrovò squarciata a metà da un solco vermiglio su cui zampillò un fiotto di sangue.
    Il draghetto spalancò le fauci istintivamente, ma nessun guaito di dolore ne uscì; segno di ciò che era diventato, della resistenza acquisita nel tempo.
    Lanciò un’occhiata al mondo sotto di se dove un monotono ammasso di rocce copriva il terreno e assaggiò il soffice alito di vento che gli abbracciava le membra mentre planava dolcemente. La ferita appena infertagli dalla rabbia dell’avversario non lo turbava minimamente, anche se capì subito che volare a grande velocità sarebbe stata l’ultima risorsa sfruttabile. Cercò di recuperare quota senza perdere stabilità, concentrandosi anche sulla più piccola articolazione del corpo.
    Adesso Flarendor si trovava di fronte a lui con un ringhio di sfida stampato sul muso. Non era il solito Flarendor, nelle sue vene scorreva sangue ed energia oscura.
    “Cosa ti è successo maestro… anche il piccolo barlume di purezza che esisteva in te è scomparso ?”
    Le fauci del drago vomitarono una fiammata purpurea intenta a divorare Malefor, che guizzò di lato grazie al potere del fulmine per poi lanciarsi verso il suo fianco scoperto su cui sferrò una scarica di artigliate, ferendo più volte il manto di scaglie che proteggeva le costole.
    Una buona dose di fortuna gli servì per evitare la frustata di coda che un attimo dopo gli sfiorò il collo, portandosi sotto Flarendor per sfruttare l’occasione a suo vantaggio.
    Una fitta di dolore gli stilettò l’ala ferita quando mise tutte le sue forze in uno scatto diretto al ventre del drago, su cui abbatté tutta la forza delle
    sue corna. Sentì il corpo del drago schizzare verso l’alto all’impatto. Appena fu in grado di mantenersi in aria ad altezza e velocità costanti puntò gli
    occhi al suo operato, rimanendone allo stesso tempo compiaciuto e disgustato.
    Nell’unica regione dell’addome vestita di scaglie più friabili era comparso un foro di considerevoli dimenzioni, da cui sgorgava un fiumiciattolo vermiglio, Ma il draghetto notò che nonostante le profonde ferite che solcavano il corpo di Flarendor questo non pareva ne affaticato ne in difficoltà.
    Quello che successe in seguito a nessun drago era mai stato concesso di assistere: l’ex guardiano del fuoco venne circondato da un’aura di quell’ignota
    energia di cui Malefor aveva da subito percepito la presenza e dei bagliori più intenzi in prossimità degli squarci sulla pelle andarono a rimarginare
    le zone offese, conferendo al drago più potenza di quanta ne avesse avuta prima.
    “Allora è questo che mi nascondevi” Sussurrò il draghetto, affatto preoccupato dalla piega che la situazione stava prendendo.
    Non riuscì a rendersi conto del pericolo che Flarendor in un lampo gli fu addosso, le zampe protese per trafiggerlo.
    Per puro riflesso di reazione evitò la prima zampata, ma quando provò a reagire quattro artigli lo afferrarono per la testa e lo bloccarono a mezz’aria.
    Tentò in ogni modo di divincolarsi, non riuscendo però a sgusciare via dalla presa. Non desisté neanche quando il drago se lo portò di fronte alle fauci, come a volerlo sbranare.
    “Non fai più il gradasso ora… vero stupido drago viola?”
    Malefor divaricò la bocca e sputò una sfera d’energia naturale che assunse un colore verde splendente appena entrò a contatto con l’aria. Il colpo si schiantò
    sul muso di Flarendor, che sogghignò, soddisfatto della forza acquisita.
    “Mi fai il solletico”
    Malefor cercò di sfruttare anche l’elemento del ghiaccio, ma la morsa si serrò ancora di più sulla sua testa e uno degli artigli iniziò a puntellargli
    il cranio.
    “Se dovessi trafiggerti proprio qui… chi sa cosa uscirebbe. Sicuramente molta purezza… vero draghetto? In te non c’è posto per l’oscurità… per le ombre”
    “No, non c’è. Come per te non ci sarà futuro… anche se mi uccidi quì, oggi, non avrai mai quello che cerchi”
    “Tu dici?”
    La pressione aumentò ancora, a tal punto che Malefor potette sentire le proprie ossa scricchiolare pericolosamente.
    “Stai per distruggere quello che hai creato maestro? Come pensi di poter sopravvivere tu che attingi a una forza non tua per vincere. Questo perché sei debole e non sono sufficienti le tue sole energie per far fronte alla vita. Sei solo e hai bisogno del potere di un cristallo per sovrastare chi è migl…”
    Un pugno tremendo gli colpì il muso, facendogli perdere per un istante il contatto con la realtà.
    Sagome grigiastre e appannate gli annebbiarono la vista, fin quando non si sentì precipitare a picco attraverso l’aria. Le scariche lancinanti che gli
    massacravano la testa non gli impedirono di capire che stava scendendo in caduta libera immerso nella semi incoscienza, andando incontro a una morte certa. A quella velocità, nonostante la robustezza delle sue scaglie, non sarebbe chiaramente sopravvissuto.
    Un accenno di razionalità gli suggerì di spiegare le ali e provare a rallentare la discesa, ma i muscoli rispondevano come se fossero scoordinati dal cervello
    e ogni impulso che veniva trasmesso alle fibre del corpo veniva deviato dal dolore.
    Ancora le immagini erano confuse e quasi indistinte, ma sentì il bisogno di chiudere gli occhi. Non per paura, ma per andarsene come era giunto, tra le tenebre.
    Qualcosa di caldo e delicato lo avvolse, adagiandolo al suolo come l’abbraccio di una madre che si scioglie per far distendere il proprio cucciolo.
    Stava per scivolare in un vuoto sonno senza sogni, quando sentì pronunciare il suo nome.
    Qualcuno lo stava chiamando; gli parlava con delicatezza, come se anche il tono troppo alto della voce potesse infrangere il sottile guscio dell’uovo viola.
    “Malefor...”
    A chi apparteneva il dolce suono di quella voce?
    Attorno a lui non esisteva niente, solo una morbida sostanza dentro cui il suo corpo stava formandosi.
    “Malefor…”
    Poteva percepire il calore infondersi attraverso gli strati del guscio che lo proteggeva, poteva assimilare quel tepore trasmessogli dall’esterno.
    Poi improvvisamente la voce si affievolì, fino a scomparire. Il calore venne sostituito da una stretta più gelida, che emanava solo buio e vuoto.
    Lo schizzo di luce si spense e con un brivido affondò nell’oblio.

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    Capitolo11: Ghiaccio e fuoco

    Un cerchio di luce bianca si diffondeva nell’ambiente circostante attraverso un gruppo di bagliori provenienti dal suolo. Un’irregolare superficie vitrea e trasparente costituiva La pavimentazione di quello strano vano, di cui le pareti non erano mai state costruite. L’essenza luminosa del luogo veniva conferita da degli strani cristalli disposti a formare un’ampia circonferenza, costruiti per abbagliare anche il più
    piccolo centimetro di quel mondo sconfinato.
    Dove avrebbe dovuto stagliarsi maestoso l’azzurro del cielo vi era invece un’ammasso luminoso di forma sferica, la quale effondeva una luce più intenza di quella del sole, che però non feriva i suoi occhi.
    Si mosse con cautela, come se non si fidasse di tutto quello splendore, troppo puro perché le tenebre potessero assimilarlo.
    Si rese conto solo in quel momento che qualcuno era seduto proprio dietro di lui. Sentiva sulle suescaglie il monotono soffio di un caldo respiro che
    sembrava volerlo risucchiare, come il respiro dei più inconfessati anfratti infernali.
    Le sue zampe opposero una solida resistenza, nonostante la superficie liscia a contatto con i suoi artigli gli impedisse di far presa su qualcosa. Si voltò di scatto, pronto a fronteggiare qualsiasi nemico lo stesse invitando alla battaglia. Si ritrovò faccia a faccia con un drago molto simile a lui nell’aspetto, non fosse per alcune caratteristiche che lo accomunavano più ad un demonio che
    ad un drago.
    Le sue scaglie apparivano di un viola più scuro di quello del suo corpo, I suoi artigli erano tinti del rosso del sangue come le corna emergenti dal capo, mentre le sue zanne grondavano dolore e sofferenza.
    Ciò che veramente lo distingueva da lui però erano le pozze giallastre dei suoi occhi, incapaci di trapelare una qualunque emozione, come fossero per sempre
    sprofondate nel vuoto. Una crepa del suolo lo costrinse ad avvicinarsi a quella creatura, che non indietreggiò ma si dimostrò del tutto eterea, permettendogli di passargli attraverso.
    La cosa non lo turbò, ansi lo incuriosì a tal punto che si protese di nuovo verso l’essenza immateriale del drago e si sporse per controllare cosa ci fosse
    aldilà della spaccatura appena formatasi.
    Questa volta la sua mente riuscì a stupirlo: dalle acuminate fenditure di quella pavimentazione simile a ghiaccio si issò un drago totalmente identico a lui. Le sue ali erano quelle di un potente predatore del cielo, i suoi arti quelli di un guerriero più che formato e il suo sguardo quello di un cucciolo
    vivace e curioso.
    Sul suo musetto raggiante comparve un sorriso di zanne candide come la luce emessa dai cristalli.
    Il draghetto lo stava fissando come a volerlo studiare, mentre i suoi occhi cercavano qualcosa al suo interno; o forse, alle sue spalle.
    Quando comprese che quello sguardo indagatore non era rivolto a lui ma al drago dalle fattezze arcane, sentì di doverlo imitare e con un balzo tanto leggiadro quanto fluido gli si mise affianco, contemplando l’altra strana creatura che non pareva degnarlo di troppa attenzione. Il cucciolo appena giunto indietreggiò, facendo di nuovo sì che si trovasse in mezzo a quell’intreccio di sguardi, che per qualche strana ragione non lo convinceva affatto. A pochi centimetri dietro di lui il drago dolce e spensierato, dinnanzi a lui il drago dagli occhi gelidi.
    una sensazione mai provata prima si fece strada nella sua testa.
    Qualcosa che nessun avversario gli avrebbe mai potuto infondere, un brivido oscuro che nessun mondo gli avrebbe mai potuto far conoscere. Qualcosa che solo in se poteva trovare.
    La paura.
    Vide il drago di fronte a lui avvicinarsi, sentendo che anche l’altro stava per raggiungerlo. Si voltò verso l’esterno, temendo di incontrare le pupille di entrambe le creature.
    Poteva percepire i loro pacati respiri sul suo corpo, anche se si rese conto che questi lo stavano attraversando. Ne ebbe la conferma quando il cucciolo alla sua destra alzò una zampa verso il drago infernale, non incontrando alcuna resistenza fisica nonostante quello che credeva il suo corpo si trovasse in mezzo a loro.
    Quando anche l’altro fece lo stesso i loro artigli si sfiorarono, producendo un suono più sottile di un’ala di libellula.
    Era il suo corpo a non essere tangibile.
    Era la sua mente a non far parte di nessun mondo.
    Era la sua anima, ad essere in bilico tra luce e tenebre.
    Cercò di concentrare l’attenzione sui cristalli luminescenti, che a pochi istanti dal contatto con il suo sguardo iniziarono a sgretolarsi e a frantumarsi come se qualcosa di violento li avesse colpiti. Con loro cominciò ad andarsene anche la perpetua luce che inondava il luogo, lasciandolo inabissare lentamente
    nell’oscurità più impenetrabile.
    In breve si ritrovò circondato dal buio e dal vuoto. Cercò conforto nella presenza del draghetto sorridente che fino ad un momento prima si trovava al suo fianco, non incontrando altro che il nulla.
    Alle sue spalle risplendevano due occhi gialli d’inferno, spenti e famelici d’ombra.
    Scattò in piedi come se una scossa elettrica gli avesse pervaso ogni millimetro delle ossa, capendo immediatamente che movimenti troppo bruschi non gli erano concessi. ricadde atterra con le zampe prive di forza, sentendosi in balia del dolore, mentre le sue funzioni vitali iniziavano a riattivarsi e il
    contatto con l’aria fresca e le pietre del suolo gli restituivano sensibilità.
    Provò allora a sollevare il capo, constatando che in fondo non era conciato troppo male.
    Davanti a lui, una dragonessa dalle scaglie verdi e rilucenti come smeraldi lo fissava con un’espressione mista di stupore e gioia.
    “Allora sei ancora vivo! Piano, non muoverti, adesso ci penso io”
    Non dandogli neppure un attimo per rendersi conto della situazione, Neiry estrasse un fascio d’energia verde e azzurra dal suolo sotto i suoi artigli, puntandolo con essi verso Malefor, che venne investito completamente.
    “Non è granché ma dovrebbe restituirti le energie”
    Appena il draghetto ne emerse, assaporò una sensazione di pace mai provata prima. Era come se il calore dell’energia che fluiva attorno a lui lo stesse permeando fino alla punta delle scaglie.
    Alzò una zampa e se la portò sul muso, massaggiandoselo delicatamente per controllare se avesse riportato lesioni serie, ma non lo ferì nient’altro che una lieve fitta di dolore sulla mascella, che doveva essersi fracassata durante il violento scontro con il suo maestro.
    Il suo maestro, che scorse in cielo a molti metri sopra di lui, attorniato dalle figure di un altro drago dal manto glaciali e da uno stormo di draghetti
    agguerriti e furenti.
    “no!” Gridò nella loro direzione, non venendo neanche considerato a causa della distanza.
    Fece per spalancare le ali e prendere la rincorsa, ma Neiry gli si avvicinò con apprensione e gli poggiò una zampa sul dorso, cercando di trasmettergli
    sicurezza.
    “Ci penseranno loro, non preoccuparti”
    “No loro… non possono…”
    I suoi occhi non si staccarono un attimo da quello che stava avvenendo in aria: i due draghi volteggiavano in cerchio bramando l’uno la vita dell’altro, mentre gli altri draghi si erano disposti sopra ai due, attendendo il momento giusto per attaccare.
    Qualcosa dovette succedere, perché Axius rivolse loro alcune parole che Malefor non riuscì a distinguere e la torma di draghi si dissolse in un fruscio d’ali che si espanse fino ad allontanarsi dalla tremenda battaglia che di lì a poco avrebbe sconvolto il firmamento.
    Nonostante la tenzione, il calore trasmesso da Neiry finì in prima linea tra i suoi pensieri.
    Cosa stava succedendo? Poteva appartenere anche a lui una tale sensazione di piacere?
    Da quanti anni ormai qualcuno non cercava di trasmettergli affetto?
    Il suo spirito trovò pace in quel lieve ma potente contato fisico.
    Si voltò, sprofondando nel volto della dragonessa.
    “Mi ricordo di te”
    Gli occhi di Neiry si accesero di una profonda emozione, che conferì al suo muso un’espressione allo stesso tempo austera e soddisfatta. Allungò il collo verso il draghetto,, arrivando quasi a sfiorarlo.
    “Ti ricordi… di me?”
    “Ricordo il tuo calore, deve esserci stato un giorno in cui mi hai strinto contro il tuo ventre”
    Neiry sollevò il capo, senza distogliere lo sguardo da quello del draghetto.
    “Il giorno in cui sei nato…”
    La mente di Malefor schizzò a quella risposta, sprofondandolo in un tumultuoso turbinare di sensazioni e emozioni che si infransero su un’unica domanda.
    “Eri con me… quando sono nato?”
    “Si. Ma non sono riuscita a proteggerti e ad evitarti indicibili sofferenze, non esistono parole per descrivere il mio dispiacere”
    “Di qualsiasi cosa tu stia parlando non importa, ti ringrazio per avermi permesso di sognare le tue zampe che… mi proteggevano”
    A quelle parole la dragonessa non seppe come controbattere, ma Malefor non gliene diede comunque il tempo.
    “C’è però una domanda che mi tormenta da quando ho memoria”
    Lei si rabbuiò, temeva di conoscere quella domanda e avrebbe desiderato non essere lei a narrargli quella verità.
    “Come sono nato… è vero che sono il figlio delle ombre?”
    Neiry tirò un lungo sospiro, poi rispose con una calma innaturale.
    “Tu non sei assolutamente il figlio delle ombre, anche se così hanno voluto farti credere. Tu saresti stato figlio di due grandi draghi coraggiosi che
    per te hanno dato la vita. Purtroppo il destino è stato molto crudele con loro”
    Malefor non si rabbuiò a quella notizia, furono invece la consapevolezza e la gioia di non doversi arrendere all’oscurità che lo spinsero ad avvicinarsi alla dragonessa e a porle un ultimo quesito.
    “Flarendor li ha uccisi vero?”
    La dragonessa annuì leggermente, aspettandosi una reazione violenta e furiosa a quella rivelazione. Si stupì nel vedere le labbra del cucciolo distorcersi in un mesto sorriso.
    “Perfetto”
    “Posso chiederti… perché?”
    Malefor le diede le spalle, alzando il muso e lanciando un’occhiata in direzione del drago delle fiamme.
    “Perché così ho la possibilità di vendicarli”
    La sua determinazione non lasciava posto a nessuna replica.
    Questa volta non ci sarebbe stato drago in grado di fermarlo, adesso aveva un valido motivo per dare tutto se stesso e sfidare a testa alta sia Flarendor
    che il giogo che affliggeva la sua anima.
    Finalmente conosceva la verità, il suo posto non era tra le tristi braccia del buio.

    ***

    Axius fissava il suo avversario, concentrato anche sul suo più piccolo movimento. Un solo errore sarebbe potuto costargli la vita, non doveva abbassare la guardia per nessuna ragione.
    I nervi tesi fino al limite e ogni fibra del corpo pronta a saettare, cercava di prevedere la prima mossa del drago che sembrava tutt’altro che agitato.
    “Devo confessartelo Axius. Battermi contro di te non è la scelta che prenderei più volentieri. Sei un drago di enorme talento e domini le energie fredde come nessun altro, è un vero peccato che la tua vita deba finire per un tuo capriccio”
    “Capriccio Flarendor? Non sai neanche di cosa stai parlando”
    “Sarebbe stato tutto più semplice se ti fossi unito alla mia causa. Hai voluto sfidarmi e il risultato sarà catastrofico, che gli antichi guardiani possano
    proteggerti dai miei artigli”
    “non ho bisogno di protezione. Vorrei un posto nel paradiso dei draghi per te, ma ho paura che non ci sia più posto per le tue malefatte”
    “Malefatte… sei tu che non sai di cosa parli. Grazie a me il mondo conoscerà una nuova era, indipendentemente dalla mia morte. Queste terre forse non si ricorderanno di me, ma si ricorderanno del dolore e della sofferenza portata dal drago più potente che sia mai esistito”
    “Illuso. Non crescerà come tu speravi”
    Flarendor proruppe in una cavernosa risata che rimbombò tutt’attorno.
    “E sarai tu ad impedirglielo… Axius?”
    Il guardiano del ghiaccio non distolse l’attenzione dal combattimento, nonostante l’altro cercasse in ogni modo di provocarlo e di spingerlo a qualche azione avventata.
    “Saprà da solo cos’è giusto fare. Sei malvagio e il tuo cuore non vede da tempo la luce, ma non sei abbastanza potente da poter portare il mondo alla distruzione”
    “Per questo mi servirò di lui”
    “Non sei in grado neanche di questo Flarendor”
    “D’accordo. Dimostrami di essere più forte di me. Fammi vedere fin dove tu sia in grado di arrivare”
    Come due squarci dell’universo i loro ruggiti si scontrarono e i draghi si avventarono l’uno contro l’altro pronti a dilaniarsi come fiere selvagge.
    Non era nei loro pensieri la difesa o il contrattacco, si limitavano a colpire con tutta la forza di cui erano capaci. Si intrecciarono in un groviglio di artigli e zanne che niente aveva a che fare con una vera battaglia; li spingeva solo la pura brama di eliminare l’avversario.
    Da un lato l’ambizione di dominare un mondo che mai a nessuno sarebbe appartenuto, dall’altra il desiderio di proteggerlo con ogni mezzo possibile. Fiamme serpeggianti danzavano attorno a getti gelidi, sulle quali andavano a dissolversi senza raggiungere il bersaglio.
    D’altro canto, le sferzate congelanti di Axius si scontravano con sfere infuocate di immane potenza, annientandosi all’impatto.
    Nessuno dei due riusciva a raggiungere l’altro e a ferirlo in modo critico, le loro energie elementali si eguagliavano.
    “in forma come sempre… vero Axius?” Lo incalzò Flarendor, emettendo rapidi e intervallati respiri d’aria calda. “Ma non è sufficiente per sconfiggermi!”
    Tra le sue fauci si generò una stella di luce violacea diretta verso Axius, che fu costretto a gettarsi verso il basso per evitare di essere centrato in pieno muso.
    Non gli ci volse molto per capire che quello non era un potere come tutti gli altri, arrivando subito ad ipotizzare che una tale fonte d’energia potesse derivare solo dall’altra metà del cristallo che Siil e Ignitor stavano custodendo nel tempio.
    “Visto Axius? Hai visto cosa significa avere il potere?”
    Con un’improvvisa torzione del busto Axius evitò un altro getto d’energia che gli sfiorò il collo, non perdendo l’equilibrio di volo per puro miracolo. Batté più volte le ali per distanziarsi di qualche metro da Flarendor, che lo fissava spavaldo e sicuro di se.
    “cosa fai… fuggi? Non è qualcosa che si attribuirebbe all’indomito guardiano del ghiaccio”
    “Tu combatti con gli artigli, non con il cuore. Questo finirà per essere la tua rovina”
    “Sagge parole… peccato che siano del tutto prive di senso!”
    Axius capì che quello scontro non poteva essere affrontato con la sua semplice energia elementale, per quanto grande il suo potere non era sufficiente per contrastare quello ottenuto da Flarendor.
    Sapeva anche che altre parole sarebbero state inutili, ormai il drago era corrotto fino alle ossa da qualcosa fuori dalla portata di entrambi.
    Sprigionò quanta più energia possibile dal corpo, avrebbe tentato ogni mezzo prima di cedere. Nel momento in cui l’emanazione del gelo e delle fuoco ormai divenute inferno si incontrarono, anche la volta cieleste si mosse in risposta al preannunciarsi
    di uno scontro mai visto prima.
    L’azzurro si tinse di grigio e le nuvole iniziarono a piangere lampi di dimenzioni incredibili. I due draghi vennero circondati da un immenzo ammasso di vapore, che ne oscurò le figure, isolandoli in un opaco cumulo di spirali eteree.
    Nessuno dei due parlò, erano concentrati sulla propria energia interiore che avrebbero scagliato a piena potenza.
    Una sagoma piccola e veloce attraversò la foschia che li inglobava.

    Il loro ruggito lacerò il cielo, mentre un’esplosione di bagliori bianco-azzurri si generava all’impatto delle loro energie. Zampilli di luce schizzarono in ogni direzione, mentre fasci splendenti si intersecavano in un moto apparentemente infinito, incoronati da un alone di
    fiamme gelide e incandescenti.
    Quando i boati iniziarono a ritirarsi, Flarendor comparve poco al disopra del punto dell’impatto, il corpoquasi comple tamente illeso.
    A pochi metri da lui Malefor stava planando verso il basso con Axius abbandonato sul suo dorso. Nonostante la grande differenza di dimenzioni, il cucciolo sembrava non esercitare alcuno sforzo per scendere senza precipitare.
    In lui si era risvegliata la forza del destino.
    Raggiunto il suolo lasciò che il drago si distendesse di fronte a Neiry, per poi concentrarsi di nuovo sul maestro, il quale era rimasto allibito da ciò che era successo, non aspettandosi quel comportamento da parte di Malefor.
    ”Restituisci anche a lui l’energia” Disse rivolto alla dragonessa, prima di puntare gli arti al suolo e lanciarsi in volo.
    Lei lo osservò salire rapidamente di quota, sorridendo.
    “Grazie”
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    Capitolo12: Tramonto di stelle

    Il cielo, finalmente rasserenato, pareva sorridere tra un candido manto di nuvole e alcuni deboli raggi solari che filtravano attraverso i bagliori rossastri di un tramonto ormai prossimo.
    Quella valle avrebbe assistito al concludersi di un lungo ciclo di sofferenze, insieme al giorno sarebbe tramontata un’era che avrebbe lasciato il posto ad una nuova alba.
    Ogni influenza negativa generata dal precedente scontro pareva essersi dissolta nella luce nata nel cuore di Malefor, che se ne stava immobile a fissare il suo maestro, limitandosi a battere debolmente le ali per restare in volo.
    Flarendor ringhiò sommessamente, snudando le zanne e dimostrandosi pronto a chiudere una volta per tutte quel conflitto, avrebbe annientato ciò che aveva creato se questo era l’unico modo per non lasciarlo tra le zampe dei guardiani.
    Sarebbe stato suo o di nessun altro.
    Nessuno questa volta li avrebbe interrotti, qualsiasi cosa fosse successa da quel momento sarebbe significata l’epilogo del suo viaggio attraverso le tenebre. Il suo epilogo. Il commiato del guardiano del fuoco al termine del suo oscuro cammino.
    “D’accordo Malefor. Preparati”
    Il cucciolo lo osservò inespressivo, cercando le parole giuste.
    “Hai ucciso tu i miei genitori?”
    Il drago non si scompose a quella domanda che alle sue orecchie risultò soltanto assurda e fuori luogo.
    “Se così fosse stato?”
    “Non avrei voluto combattere contro di te. Ma oltre che a una giusta causa… ora ho anche un buon motivo per farlo”
    Flarendor ghignò.
    “Come pensi di poter parlare di giusta causa tu che sei appena uscito dall’uovo?”
    “Da quale uovo? Da quello che hai rubato? Quello che conteneva un drago come me… un drago diverso da tutti gli altri? Lo stesso che hai forgiato e che
    ti distruggerà?”
    “Vieni… ti aspetto” Rispose il drago del fuoco, digrignando le zanne e muovendo più rapidamente e con più energia le ali.
    “Non sono come te, non voglio uccidere”
    “L’hai già fatto… quante volte ti sei cibato della tua preda dopo averla dilaniata? Il mondo ci ha creati perché potessimo prevalare sugli altri e ergersi al di sopra di chi non può farlo”
    “Non puoi paragonare la sopravvivenza al desiderio di ucciderle per il puro piacere di farlo e per dimostrarsi superiore” Disse il draghetto, mantenendo la calma
    “Non voglio dimostrare niente a nessuno. Voglio solo… il potere”
    La potenza di Flarendor si concentrò in una fiammata di proporzioni gigantesche, che Malefor ignorò totalmente. Il getto incandescente lo travolse, ma un’aura gelida protesse il suo corpo, dissolvendo la minaccia nel nulla.
    Restò immobile, sospeso a mezz’aria. Flarendor gli si scagliò contro, divaricando artigli e fauci. Puntava alla morte del suo allievo.
    Qualcosa lo ferì nel costato che costituiva il fianco sinistro. Qualcosa che lo pugnalò dall’interno, come la lama della spada più feroce. Non percepì nessun dolore fisico, ma lo colse improvvisamente un attimo di esitazione.
    Quell’esitazione che compromise tutti i suoi sogni, tutte le sue egoistiche speranze e il suo desiderio di raggiungere il potere.
    “Me lo hai ripetuto più volte maestro…”
    Malefor si portò di fronte al suo muso a velocità incredibile, concentrando le sue forze all’interno della gola. “Nessuna pietà” Un onda di luce viola investì in pieno Flarendor, che non ebbe neppure il tempo di gridare.
    L’impatto con il suo corpo che tentava di opporre resistenza provocò un’esplosione inimmaginabile, che irradiò tutt’attorno energia appartenente a nessuno degli elementi mai conosciuti prima. Un energia che solo un drago viola era in grado di dominare. Il corpo inerte del drago cadde verso il suolo, mentre Malefor scese delicatamente verso terra sfruttando l’attrito con il vento che tutt’ad un tratto
    era aumentato di intenzità per qualche istante.
    La folata di vento che rappresentò il saluto del cielo ad un anima oscura.
    Flarendor cadde steso sul ventre, scontrandosi violentemente con le pietre che lo accolsero come boia pronti a compiere il loro dovere.
    Malefor atterrò di fronte a lui, fissando le ali che giacevano sul suo dorso, ormai inutili.
    “Il tuo cuore batte ancora, hai tempo per rispondere ad un’ultima domanda”
    Il drago sollevò le palpebre, fissandolo con disprezzo, senza alzare il muso da terra. Mosse lentamente una delle zampe anteriori fino a portarla di fronte al volto.
    “Maledetto ingrato… ponimi la tua ultima domanda”
    Malefor non dimostrò alcuna benevolenza neanche nel vederlo sputare un fiotto di sangue, ormai in bilico tra la vita e la morte.
    “Adesso… dove finiranno tutti gli anni che hai trascorso a trasformarmi in quello che sono adesso”
    Flarendor sorrise, capendo fin dove voleva portarlo.
    “No il mio sogno non morirà con me… tu non sarai mio forse… ma non potrai sfuggire anche alle ombre… al tuo destino”
    Malefor gli si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo muso.
    “Ti sbagli. Il mio destino lo scriverò io”
    “Oh si che lo scriverai tu… e no non mi sbaglio affatto. Ma ora non c’è più tempo per me”
    La testa e le membra si afflosciarono nuovamente, abbandonate ad un corpo esanime.
    “Addio Malefor. In fondo… ti ho voluto bene”
    Quell’ultima frase lo accompagnò tra le braccia dell’unica vera signora dell’oscurità eterna.
    Seguì un breve attimo di silensio, poi la stessa luce violacea con cui Flarendor aveva cercato di annientare l’allievo avvolse la carcassa del drago. Il terreno circostante fremette, mentre la crudeltà di quel potere consumava ogni singolo centimetro del suo corpo. Malefor non indietreggiò, si limitò ad osservare quanta oscurità si celasse dietro a quell’energia, che aveva lentamente corrotto la mente già oscura del maestro.
    Improvvisamente una corona di raggi luminosi si propagò da Flarendor, che lentamente si dissolse nel nulla, mentre i bagliori si scagliavano verso l’alto, senza più un contenitore in cui risiedere.
    Neiry osservò quello spettacolo apparentemente straordinario, comprendendo immediatamente la gravità della situazione. Al suo fianco Axius si stava alzando da terra, riuscendo a malapena a reggersi sulle zampe indolensite.
    “Allora come ti senti”
    “Ci vuole altro per mettermi fuori gioco Neiry. Comunque grazie”
    “Non è me che devi ringraziare e entrambi lo sappiamo”
    Axius la fissò dritto negli occhi, piegando le zampe posteriori e sedendosi sulla pietra.
    “Non cambierò idea… e entrambi sappiamo anche questo”
    “Axius… c’è qualcosa di più importante adesso di cui preoccuparsi”
    I due draghi si voltarono verso la colonna di luce che si stava inesorabilmente diffondendo tutt’attorno, convogliandosi in una zona indecifrata del cielo, protendendo a ciò che era in origine.
    “Dobbiamo fermare il flusso d’energia, altrimenti saranno guai”
    “E molto seri” Assentì il guardiano del ghiaccio, sconvolto da quell’ammasso di potere che prima l’aveva quasi ucciso.
    “Sta cercando di ricongiungersi con l’energia racchiusa nell’altro cristallo”
    Axius annuì, mentre osservava i draghetti suoi allievi avvicinarsi da tutte le direzioni, confusi ma allo stesso tempo rincuorati dalla loro incolumità.
    Fu Ignitus ad avvicinarsi ai due per primo, indeciso su quale fosse la domanda che voleva loro porre. Neiry chinò il muso fino quasi a sfiorare il suo, sussurrando parole che al cucciolo furono più che sufficenti.
    “Missione compiuta, complimenti”
    Ignitus sorrise, mentre la sua coda si dimenava in ogni direzione per la gioia. Dopo qualche istante assunse di nuovo un aria seria, quasi ingenuamente autorevole.
    “Si ma… cosa sta succedendo”
    “Non preoccuparti, adesso ci pensiamo noi” Rispose la dragonessa, mentre con l’ala sinistra incitava Axius a sbrigarsi, punzecchiandolo sul collo con l’artiglio al termine della membrana alare.
    Le sue cuspidi argentee risplendettero quando si alzò e il suo corpo venne interamente a contatto con la luce solare del crepuscolo, mentre Axius impiegò
    qualche istante per decidere se sarebbe veramente voluto o meno trasformare in un assassino.

    Zell, Dorim e gli altri si erano nel frattempo diretti verso Malefor, tempestandolo di domande fino a fargli perdere la cognizione di cosa stava succedendo; era effettivamente felice di constatare che qualcuno si preoccupasse per lui, interessandosi di sue eventuali ferite o delle sue condizioni fisiche, ma dovette ammettere che non essendone abituato, quelle attenzioni lo mettevano abbondantemente a disagio. Mentre qualcuno si offriva di analizzare ferite che neanche si era mai procurato e altri si spingevano per farsi spiegare l’origine della sua smisurata forza, i suoi occhi scuri erano piantati sui fasci di luce che minacciavano di non voler porre la parola fine a quella faccenda.
    Anche gli altri degnarono di attenzione il nuovo pericolo solo quando si resero conto che Malefor era troppo inpensierito da altro per ascoltarli. I loro maestri si erano già scagliati senza ripensamenti verso i getti d’energia violacei per respingerli e annientarli, impedendo la riconciliazione di un antico potere troppo grande per essere domato nella sua interezza.
    I loro soffi elementali si scontrarono con la profonda essenza di quella energia, che non si arrestò neanche di fronte all’unione delle loro forze. Axius non era in condizioni ottimali e Neiry aveva già utilizzato la propria energia e quella della natura per restituirla al compagno e a Malefor, quindi
    entrambi non furono in grado di attingere al culmine del loro potere.
    Concentrarono tutte le energie residue al centro del loro “avversario”, facendolo esplodere in un vortice di mille colori e volute luminose che nonostante si fossero disgregate continuavano a gettarsi sull’ambiente circostante, abbagliando ogni centimetro di quell’area rocciosa che aveva ospitato un’ultima triste battaglia.
    I raggi si agglomerarono in una sfera di proporsioni inimmaginabili, dirigendosi di nuovo verso il tempio in cui avrebbe raggiunto la sua altra metà. Una miriade di frecce infuocate, saette, dardi di ghiaccio e rocce piovvero implacabili verso l’enorme globo, tempestandolo di colpi da ogni direzione, finché, dopo un definitivo fascio d’energia schizzato dalle fauci di Malefor, questo non implose a causa dell’eccessiva pressione e potenza esercitata
    all’unisono dai draghetti.
    Come innoque stelle filanti luminose ciò che restava di quell’oscuro potere scomparve nelle profondità più recondite del cielo.
    Finalmente nessuno sarebbe stato più vittima di quell’oscurità e nessuno se ne sarebbe potuto servire per scopi ignobili, ormai era divenuto puro e irraggiungibile
    ammasso stellare assieme al vuoto dell’universo.
    Axius e Neiry distesero i nervi, osservando come l’intervento degli allievi fosse stato provvidenziale. Planarono verso i draghetti, molti dei quali ansimanti per lo sforzo, mentre il tramonto assorbiva quello spettacolo splendente.
    Dorim e Zell si scrutavano astiosi alle spalle di Glaider e Solaris, i quali come molte volte prima di allora avevano unito le forze per aiutare i compagni. Malefor se ne restava immobile al fianco di Ignitus.
    Avevano manifestato un potere immenso grazie alla loro unione, persino più grande delle tenebre che avevano attanagliato il cuore di Flarendor, ormai solo ricordo. I guardiani atterrarono proprio di fronte ai due giovani draghi dal manto notturno, rivolgendosi sia a loro che a tutti gli altri.
    “La vostra impresa resterà impressa in noi per sempre. Vi siete comportati in maniera impeccabile. Siete sicuramente degni di prendere il nostro posto
    quando arriverà il momento” Tutti i draghetti imitarono una sorta di inchino, mormorando qualche ringraziamento.
    Lo sguardo di Axius cozzò con quello di Malefor per un istante, trasmettendo molta ammirazione e apprezzamento per il modo in cui si era comportato, nonostante quello che aveva passato. Quella lode però aveva un avversario troppo prepotente per essere ignorato, unsentimento che andava ben oltre la paura provata in quegli anni e l’incapacità di prevedere le sorti del suo mondo. con il muso gli fece cenno di avvicinarsi, mentre il suo cuore continuava a vagare nell’indecisione. Il drago viola non si mosse, restituì piuttosto una vaqua occhiata di luce enigmatica che Axius non riuscì ad interpretare. Dopo qualche istante di esitazione, Malefor decise di distanziarsi dagli altri e raggiungerlo.
    “Tu mi odi non è vero?”
    Il guardiano del ghiaccio restò basito all’udire le parole del cucciolo, maledicendosi mentalmente.
    “Lo sento, lo percepisco. Il tuo sguardo per un attimo
    mi ha ricordato quello di Flarendor”
    Si. Lo odiava. Solo in quel momento se ne rese conto.
    “Flarendor ti odiava?”
    “Mi odiava come si odia qualcosa per cui hai sofferto molto… solo per vederla volare via”
    Axius piantò gli artigli al suolo, drizzando il collo come per sembrare più imponente, nonostante in quel momento si sentisse lui il cucciolo.
    “Il mio odio è diverso. Non posso odiare te, non hai colpe. Odio la leggenda che ti porti sulle scaglie, una realtà che ha sprofondato nel caos il nostro
    mondo”
    Malefor abbassò il muso, socchiudendo le palpebre.
    “Come Flarendor anche tu vuoi la mia morte quindi” Axius restò immobile, come se il suo stesso elemento avesse agito su di lui, come se il ghiaccio avesse congelato ogni molecola del suo corpo e della sua anima. Niente infranse quel silensio tombale, finché riuscì a fatica a rispondere, temendo che le parole potessero morirgli in gola.
    “Si è quello che voglio. Tuttavia nessuno può scegliere per la vita degli altri, non commetterò lo stesso errore di Flarendor” Malefor non disse altro, si limitò a riaprire gli occhi e a voltarsi verso Ignitus.
    “Posso… vivere con voi?”
    In quel “Vivere” mise tutta la sua anima. Lo credeva fermamente, da quel momento avrebbe vissuto.
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    In cerca del tempo in un buio anfratto
    Su petali di un fiore a cui manca lo stelo.
    Come una piccola macchia di blu scarlatto.
    A caccia del suo nome, del suo io
    Immerso in un oceano di pallido oblio.
    Sprazzi di luce giunti nel cuore
    Freschi di dubbi, poveri d’amore.
    Ciò che sarà è già dentro di se
    Al culmine di un altro perché
    dai soffi d’anima di un triste cammino,
    faccia a faccia con un oscuro destino.

    Capitolo13: Figlio

    Ormai molte volte l’alba aveva abbracciato la notte in seguito al ritorno della pace e della quiete in un mondo corrotto dal male. Ormai la storia del leggendario drago viola era divenuta realtà nelle terre di tutti i popoli del regno dei draghi, ad Avalar, fino a raggiungere anche il villaggio più celato al mondo. Non si faceva altro che raccontare la storia dei draghi guardiani degli elementi che erano stati protagonisti di una leggenda mai dimenticata.
    Flarendor era stato sconfitto e il cristallo custodito nel tempio, privato della sua altra metà, venne distrutto per evitare future minacce che avrebbero messo nuovamente in pericolo le sorti del regno.
    Al tempio la vita aveva ricominciato a trascorrere tranquilla e pacifica, tra un susseguirsi di allenamenti e missioni di piccola entità. I draghetti, divenuti adolescenti sotto i saggi insegnamenti dei guardiani, si godevano la vita che era stata loro donata dalla natura, assaporandone ogni istante a pieno, come se il giorno seguente avessero potuto perderla in battaglia per ascoltare il loro onore o per proteggere un compagno.
    Neanche Malefor aveva avuto nessun problema a relazionarsi con tutte quelle nuove amicizie, di cui non sembrava mai stancarsi. Per il suo cuore abituato alla solitudine ogni minimo gesto d’affetto si trasformava in un attimo di gioia e gli fu facile inumare il suo passato. Avrebbe velato la sua infanzia come un ricordo da cui rifugiarsi per sopravvivere.
    Velato, non rimosso.

    “Cosa state facendo!”
    Glaider e Ignitus, che nel corso degli anni avevano accentuato la loro rivalità invece di sedarla, non erano mai soddisfatti delle ferite riportate dopo uno dei loro duelli e continuavano a darsele anche quando le forze venivano meno.
    Solaris, disperata dalle condizioni con cui uscivano da quegli innocenti scontri, si offriva sempre di aiutarli a rimettersi in forze in cambio della rinuncia ad altre battaglie, promessa che veniva infranta nei seguenti cinque minuti.
    Anche l’astio tra Zell e Dorim non aveva mai visto una tregua; il drago del fulmine non aveva mai perdonato l’affronto subito qualche anno addietro e cercava vendetta ogni volta che ne aveva l’occasione, scatenando le ire di Dorim che provava immenso piacere nel ricambiare il favore a sua volta.
    Tutto sembrava perfetto, nessun’ombra avrebbe più potuto insinuarsi nel calore dell’amicizia e dell’amore che i draghi ormai maturi… o quasi, si trasmettevano l’un l’altro.

    “Questo è ciò che volevamo Axius, perché non vuoi fartene una ragione”
    Il guardiano del ghiaccio se ne stava oziosamente steso su un giaciglio di fogliame liscio e fresco al di fuori del tempio, cercando nella ripetività e monotonia del suo ruolo uno spiraglio di semplicità.
    Teneva il muso poggiato fra le zampe come un cucciolo in procinto di addormentarsi, mentre il suo sguardo glaciale fissava la dragonessa in piedi di fronte a lui. Neiry aveva avvolto un ala attorno al tronco di un albero, lasciandosi andare contro di esso e sfidando lo a sorreggere il suo peso.
    Sopra di loro un abile pittore celeste aveva dipinto una chioma di soffici nuvole bianche su uno sfondo che lasciava intravedere l’infinito azzurro dell’universo.
    Il sole abbracciava tiepidamente le scaglie delle due creature senza troppa insistenza, portando i loro manti rilucenti ad assumere un aspetto quasi divino; come statue di bellezza incomparabile, come diamanti pianti dal cielo.
    “Neiry…”
    La dragonessa non si mosse, attendendo nel suo sguardo la risposta. “Non penso sia così semplice”
    “Se uno zuccone come te non vuol farlo essere tale”
    “Ti sbagli. Non è finita, non è ancora il momento di abbassare la guardia”
    “Perché qualcun altro dovrebbe seguire le orme di Flarendor”
    “Non ho detto questo. Se mai accadrà comprenderai i miei timori”
    Neiry lasciò la presa sull’albero e gli si avvicinò con passi incredibilmente leggeri per la sua mole, distendendosi al suo fianco.
    “Tuttavia finché non sarà strettamente necessario… ti impedirò di agire. Anche a costo di fracassarti quel duro cranio spinoso che ti ritrovi”
    Il drago le sorrise, per poi sferrarle una frustata di coda sul dorso.
    “Cosa fai?” Disse corrucciata mentre si drizzava sulle zampe e gli puntava gli artigli alla gola. “Non si toccano le dolci femmine indifese!”
    Axius nascose di nuovo il volto tra gli artigli, socchiudendo gli occhi.
    “Tu mi sembri tutt’altro che indifesa”
    Neiry sbuffò, ritirando le lame affilate che minacciavano di decapitare Axius.

    ***

    La notte ormai era calata totalmente, rivestendo il tempio di un cupo alone di solennità sprigionata dalle mura imponenti come castelli. Qualche tenue raggio lunare filtrava attraverso le colonne che circondavano parte della costruzione, disegnando sul terreno piccoli coni di colori sfumati.
    Malefor aveva deciso di riposare lì, assieme a Ignitus e Zell, mentre gran parte degli altri dormivano all’interno del tempio o alle spalle di esso, in prossimità dell’arena d’allenamento.
    Con gli occhi socchiusi, restava in ascolto del mondo circostante, colmato dal frivolo canto dei grilli e da un soffice vento notturno che non poteva penetrare le sue scaglie, ma gli regalava un piacevole sonno.
    Quella notte capì che non sarebbe riuscito ad addormentarsi molto facilmente, visto che ad ogni minima sensazione la sua coscienza si riattivavano completamente. Era stato abituato inizialmente a un’esigua quantità di ore di sonno e i ritmi quotidiani gli sembravano piuttosto lenti, o almeno non in grado di spossarlo.
    Percepì Ignitus muoversi a qualche metro da lui. Attese un istante, poi si voltò per incrociare i caldi occhi dell’amico che lo fissavano vivacemente.
    “Niente sonno?” Chiese il drago del fuoco, sedendosi.
    “Forse non mi sono impegnato abbastanza oggi”
    “Hai soltanto affrontato 3 draghi del fulmine e ne sei uscito illeso, che vuoi che sia”
    Malefor distese le zampe e sorrise.
    “Non ho voluto io questa forza”
    “Nessuno te ne farà mai una colpa, finché la userai a fin di bene”
    Il drago viola si voltò verso l’esterno della struttura, dove milioni di sciami stellari disegnavano figure luminose attorno a basse nuvole notturne.
    “Grazie…”
    Ignitus sorrise. Mosse le zampe per alzarsi e avvicinarsi al compagno, ma qualcosa lo trattenne. Si voltò di scatto e vide che Zell aveva avvinghiato la propria coda attorno alla sua, mentre il resto del corpo era ancora abbandonato alle culle dei sogni.
    “Zell…”
    “No il mare no! No… non l’ho perso io…”
    Il draghetto cercò di sfilare la coda senza svegliarlo, ma Zell continuava a farfugliare frasi sommesse e prive di senso, serrando sempre più forte Ignitus che si chiese quanta forza ancora potesse esercitare.
    “Zell stai sognando…”
    “L’acqua noo!” Gridò, sferzando una codata involontaria che spedì l’altro addosso ad una colonna marmorea. Ignitus ci mise qualche secondo prima di potersi rialzare, colto alla sprovvista e semi stordito dalla botta.
    Zell lo fissava preoccupato, mentre ancora i suoi occhi si abituavano alla realtà.
    “Che… che succede Ignitus?” Chiese spaesato, venendo fulminato da un’occhiataccia incandescente.
    “Zell…”
    I tre si fissarono l’uno con l’altro, indecisi su quale fosse l’esatta prossima mossa da fare.
    Zell passò lo sguardo su Malefor, che a sua volta sorrise a ignitus. Il drago del fuoco però era di tutt’altro avviso e sorridere fu l’ultima cosa che gli venne in mente.
    “Ora io e Malefor dormiamo qui… e tu laggiù” Fu l’unica cosa che disse, indicando il fitto insieme di alberi all’esterno del tempio.
    Malefor non riuscì a trattenere le risate nel constatare che ancora Zell non sapeva per quale motivo Ignitus lo stesse aggredendo.
    “Ma cosa ho fatto?”
    “Mi hai schiantato contro questa colonna se non l’hai notato”
    “Io? Em… sicuro? Ah… scusa… ma Dorim mi voleva gettare nel fiume!”
    “Dorim non voleva gettarti da nessuna parte, torna a dormire”
    Senza aver ancora compreso lo svolgersi della vicenda Zell si rannicchiò di nuovo su se stesso, coprendosi ilmuso con un’ala per proteggersi dall’acqua.
    Malefor non aveva ancora smesso di ridacchiare, sia per l’ingenuità di Zell sia per la triste sorte capitata ad Ignitus, il quale gli fece notare che non gradiva essere preso in giro con una zampata.
    “Avrei voluto vedere te al mio posto”
    “Povero Ignitus… ti fa male la testolina?” Lo schernì Malefor, ghignando. L’amico gli saltò addosso e i due iniziarono ad azzuffarsi scherzosamente, mentre Zell si rendeva conto che non era più possibile prendere sonno.
    “Come faccio a riaddormentarmi se fate tutto questo chiasso!”
    Ignitus, che senza neanche sapere come si era ritrovato sopra al dorso di Malefor schiacciato a terra, si voltò appena in tempo per vederlo gettarsi nella mischia.
    Per alcuni minuti i tre si divertirono a spingersi a terra e a scambiarsi artigliate in zone occulte del corpo.
    Quando furono sazi di lividi tornarono a distendersi tranquillamente, come se niente fosse accaduto.
    Ignitus osservò Malefor accucciarsi sotto le proprie ali e non potette far a meno di notare la differenza che si era accentuata con lo scorrere del tempo, tra il cucciolo di qualche anno prima e il drago di allora.
    Finalmente sembrava uno di loro, finalmente le ombre non annebbiavano più i suoi pensieri.
    O quasi.
    Le sue ali lo spingevano attraverso un’atmosfera fin troppo palpabile, in cui gli sembrava di nuotare piuttosto che volare. Accanto a lui si ergevano le solide colonne del tempio, che il suo corpo ignorava totalmente. Non cercò neanche di cambiare direzione quando il suo muso si trovò a pochi centimetri da essa, poiché sapeva di poterla attraversare come se di fattezza eterea.
    Oltrepassò diverse pareti di pietra invalicabile, ritrovandosi in un remoto e angusto antro all’interno del tempio. Il suo sguardo non cercava, i suoi sensi erano come disattivati: veniva guidato da qualcosa di innaturale nel suo subconscio che lo conduceva attraverso gli strati del sogno.
    Si arrestò solo quando di fronte a lui comparve un buio spazio circolare, con al centro qualcosa di indefinito. Qualsiasi cosa fosse lo attraeva, lo induceva a raggiungerlo. Sapeva di dover comprendere di cosa si trattasse, ma la sua mente riemerse dal sonno, riportandolo al fresco abbraccio della notte.

    Il mattino seguente i tre vennero svegliati dai gruppi di voci che iniziavano ad ammucchiarsi quand’era ora di alzarsi. Zell e Ignitus, presi dall’euforia del divertimento, si erano dimenticati che l’indomani si sarebbero dovuti cimentare nelle prove che li avrebbero trasformati nei futuri guardiani del regno, in competizione con tutti gli altri.
    Malefor, che durante quegli anni aveva appreso come sviluppare ognuno dei suoi poteri ai quali sapeva di poterne addirittura aggiungere altri, aveva deciso di non partecipare a quella gara nonostante Neiry avesse tentato più volte di convincerlo. I suoi poteri andavano ben oltre la media e sia nelle esibizioni di potenza sia negli scontri sarebbe stato notevolmente avvantaggiato. In oltre l’idea di trascorrere il giorno con l’unico avvilente incarico di proteggere un elemento in tempo di pace non lo allettava affatto.
    In fondo, non era quello il suo destino.
    I quattro guardiani, dopo essersi disposti in piedi ai lati dell’arena, ruggirono all’unisono per interrompere i chiassosi schiamazzi degli allievi che si erano ammucchiati a insistere su inutili autovalutazioni e deboli preamboli, decisamente inadatti ai guardiani degli elementi.
    “Che nessuno di voi fiati da adesso fino all’inizio delle prove!” Gridò Ignitor, mentre il potente tuono della sua voce rimbombava tutt’attorno.
    Come pietrificato da potenze superiori, il gruppo di giovani si concentrò unicamente sul guardiano del fuoco, pronti a qualsiasi sfida.
    “Sembra di tornare indietro nel tempo vero Glaider?” Bisbigliò Ignitus rivolto al suo più grande rivale.
    “Già… ma questa volta saremo l’uno contro l’altro… non insieme. Quindi preparati a prenderle!”
    “Ce le diamo tutti i giorni… Magari saremo entrambi guardiani”
    “Tu un guardiano? Tuo padre preferirebbe lasciare il posto ad un golem”
    Per fortuna il dialogo si concluse rapidamente, evitando a entrambi di incorrere nelle oscure ire del padre di Ignitus.
    Neiry percepì Malefor avvicinarglisi alle spalle e nonostante il suo sguardo fosse ancora impassibile sugli allievi fu felice di accoglierlo.
    “Mi dispiace che tu non abbia voluto partecipare”
    Malefor le si sedette affianco, sfiorando una delle sue grandi ali con la propria.
    “Non sarebbe stato corretto. E poi dovrei fare il guardiano di tutti gli elementi… che senso avrebbe assegnarmene uno”
    La dragonessa si voltò a fissarlo sorridente, con un’espressione al contempo fiera e felice.
    “Questo ti fa onore drago viola. Hai ragione, non avrebbe alcun senso destinarti il ruolo di guardiano. Tu puoi puntare molto più in alto e lo sai”
    Malefor chinò il muso, squotendo placidamente un’ala.
    “Non penso di volere più di questo. Non c’è nient’altro che vorrei”
    Neiry aveva trascorso molte ore in compagnia del draghetto in quell’ultimo periodo e gli si era oltremodo affezionata, imparando a capirlo meglio degli altri in quanto a sentimenti. D’altro canto Malefor non desiderava nasconderle niente, ma non era del tutto convinto della veridicità della sua stessa ultima affermazione.
    “Posso capire che tu sia felice dei tuoi amici ma… sei sicuro che qualcosa non ti tormenti?”
    Lui tornò a fissarla, con una nuova strana e confusa luce negli occhi.
    “Non capisco perché da molti giorni faccio sempre lo stesso strano sogno” Ammise con semplicità, certo che la dragonessa l’avrebbe saputo ascoltare.
    “Sogno?”
    “Si. Non è un incubo, ma se devo dire la verità non è neanche molto piacevole. Per il semplice fatto che mi sveglio sempre prima che il sogno si concluda”
    “Bene potresti spiegarmi di cosa si tratta se vuoi”
    Malefor gettò un’occhiata ai compagni in cerchio al centro dell’arena, intenti a fissarsi con reciproca stima e ammirazione, testimonianza della loro amicizia nonostante stessero per scontrarsi come avversari.
    “Penso di poter aspettare, adesso voglio proprio vedere quali prove vi siete inventati per quei poveretti”
    “Tranquillo ne usciranno tutti interi. Considerando che la maggior parte passano le giornate a tentare di uccidersi a vicenda non credo che qualche prova di competizione possa preoccuparli. Comunque… puoi raccontarmi intanto” Rispose inclinando il collo. “Non insisterei se non mi fossi resa conto che la cosa ti inquieta”
    “In realtà non mi preoccupa il sogno, ma il fatto di vivere sempre la stessa identica scena. In quei momenti sono cosciente di sognare e so dove dirigermi, ma non riesco mai a raggiungere la meta”
    Neiry si fece lievemente scura in volto, interpretando immediatamente la faccenda come qualcosa che non quadrava.
    “Continua…”
    “Il… il sogno inizia sempre dal punto in cui mi addormento e poi è come se… se una parte di me uscisse dal corpo e si dirigesse all’interno del tempio. Tutto è immateriale o forse io lo sono… e riesco ad attraversarlo come se niente fosse e dopo aver oltrepassato alcune stanze arrivo… beh non so cosa sia”
    La dragonessa attese trepidante, sempre più ombrosa.
    “Un piccolo vano con al centro un qualcosa che non riesco mai a decifrare. L’unica cosa che vedo è una pioggerella azzurra che esce dal pavimento e si dirige verso l’alto”
    A quella notizia Neiry trasalì. Cercò di mantenere la calma più impenetrabile per non destare sospetti, ma farlo le costò un buon quantitativo di autocontrollo.
    Non le balenò in mente altra soluzione che sviare la discussione come Malefor stesso aveva suggerito.
    “Effettivamente è strano. poi me ne riparlerai, ora goditi lo spettacolo” Disse, fingendo la più completa disinvoltura.
    Malefor le diede ascolto senza replicare, ma non era certo stupido e capì che aveva smosso l’animo di Neiry.
    Le prove iniziarono con uno scontro elementale tra Ignitus e un altro drago del fuoco, i quali si scambiavano vampate incandescenti in volo, in un’esplosiva danza di scintille luminose.
    Malefor sapeva che quella per Ignitus era una sfida più che ardua, si era allenato molto per non arrivare impreparato a quel genere di battaglia e avrebbe dovuto sopraffare il fuoco avversario senza farsi colpire da esso. Il primo che veniva colpito dalla fiammata nemica sarebbe stato eliminato.
    Entrambi se la stavano cavando egregiamente e Malefor sperava che il suo compagno ne uscisse vincitore, ma non riusciva a distogliere del tutto la mente dall’espressione sconvolta di Neiry qualche secondo prima.
    Non dovettero trascorrere molti minuti perché Ignitus mettesse a segno un colpo, avvolgendo l’altro nelle fiamme. Dopo di lui altri draghetti si sfidarono, sempre più agguerriti, sempre più desiderosi di presiedere l’indomani a protezione del loro elemento di appartenenza, raggiungendo così un ruolo quasi ultraterreno. Tra di loro emerse subito l’abilità di alcuni draghi quali Glaider, Solaris, Zell e Terrador, che si distinsero dalla massa per capacità fisiche e coraggio in battaglia.
    Fu dopo qualche ora trascorsa tra artigliate e vincitori che Malefor ebbe una spiacevole sorpresa: due dei suoi più cari amici, gli stessi Solaris e Glaider, dovettero vedersela faccia a faccia in battaglia.
    Gli altri, in quel momento spettatori, gridavano esortazioni e incitamenti da ogni direzione e ruggivano per preannunciare quello scontro che sapevano sarebbe stato epico, dato il livello di entrambi.
    “Pronto a prenderle?”
    “Non mi impegnerò con te cuccioletta… non voglio rischiare di farti male”
    “Vedremo”
    Soltanto loro erano rimasti appartenenti all’elemento del ghiaccio, quindi chi dei due fosse riuscito a prevalere si sarebbe guadagnato il ruolo di guardiano della futura generazione. Entrambi molto amici, forse anche qualcosa di più, ma entrambi intenzionati a vincere.
    Quando Axius diede il permesso di iniziare, i due scattarono rapidamente uno contro l’altra, devastandosi di colpi su tutto il corpo in un infinito susseguirsi di acrobazie, sferzate e incornate.
    A Malefor sfuggì un piccolo ghigno divertito nel notare che i due praticamente non si stavano cimentando in niente di nuovo, ma solo in una delle loro solite violente zuffe che ogni tanto riempivano i minuti di pausa durante le giornate d’allenamento.
    Purtroppo però i suoi pensieri erano occupati da ben altro e avrebbe quasi voluto potersi addormentare per finire di nuovo tra le spire di quello strano sogno, troppo consistente e insolito per essere fine a se stesso.
    Più cercava di allontanare i pensieri più questi si facevano invadenti e insistevano con prepotenza per non essere ignorati. Avrebbe potuto rimandare ad un altro momento, eppure qualcosa gli suggeriva che se non si fosse sbrigato ad assecondare quelle preoccupazioni se ne sarebbe pentito.
    Le sue zampe si mossero quasi indipendenti dalla mente, portandolo d’istinto verso il tempio, in cui ora vedeva qualcosa di nuovo e misterioso. Un appello chiamava il suo nome fuori dallo spazio e dal tempo, riuscendo a occultare tutto il resto, dalle grida dei draghi alla battaglia sull’arena.
    Dopo qualche istante sentì che Neiry lo stava seguendo, ma non si voltò. Non le avrebbe impedito di seguirlo ma non si sarebbe neanche fermato.
    Lei gli planò accanto con leggerezza, proseguendo al suo fianco fin dove la mente di Malefor li avrebbe condotti.
    Arrivarono fino alle colonne frontali che anticipavano l’ingresso al tempio, fermandosi a pochi metri dall’imponente facciata in pietra.
    Non avrebbe potuto attraversare la materia come in sogno.
    “Che devo fare”
    Neiry lo scrutò dall’alto, per poi superarlo e pararsi di fronte a lui.
    “Se vuoi scoprirlo dovrai uccidermi”
    Malefor restò basito, sentendosi ghermire da un improvvisa sensazione di terrore, scaturita dallo sguardo implacabile della dragonessa. Non l’aveva mai vista fissarlo con una simile rabbia e determinazione sul muso, una determinazione che forse il corpo cercava di imporre con difficoltà allo spirito: Neiry non avrebbe mai voluto fargli del male, ma sapeva che quello era l’unico modo.
    “P… perché. Cosa c’è qui dentro che non devo conoscere. Ho appena smesso di vivere lontano dai dubbi e dalle incertezze…”
    “Infatty drago. Per questo devi andartene. Non puoi restare qui un momento di più” Gli ringhiò in faccia Neiry, in un fiebile tentativo di intimidirlo.
    “Dovrei andarmene da questo posto?”
    “Andartene e non tornare!”
    Malefor scosse il capo, ora furioso quanto lei.
    “Mai! Non me ne andrò mai di quì… qui ci sono i miei amici e ci sei tu, per quale motivo devo andarmene!”
    “Se te lo dicessi cercheresti in ogni modo di scoprire cose che potrebbero farti del male. Proprio perché anch’io ti voglio bene devo impedirti di fare sciocchezze”
    Il drago viola continuò a fissarla con decisione, sempre più intenzionato a capire cosa ci fosse dietro a tutto quello.
    “Non mi allontanerò da qui finché non avrò scoperto cosa mi vuoi nascondere”
    Bene” Concluse Neiri, indietreggiando di qualche passo e snudando le zanne. “Allora vieni a scoprirlo”
    Malefor non voleva attaccarla, non ci sarebbe mai riuscito. Ancora una volta doveva scegliere.
    Abbassò il muso e si infilzò la pelle sotto le scaglie con gli artigli di una zampa, per ridestarsi da quell’inconcepibile frenesia che lo stava invadendo.
    Se non si fosse fermato immediatamente avrebbe potuto fare del male a colei a cui si sentiva più legato.
    “Non posso” le rispose, rialzando la testa e scorgendo una nuova luce nell’espressione di Neiry, che si scostò per lasciarlo passare.
    “Sai controllare le tue emozioni meglio di quanto credessi, puoi andare”
    Malefor non capì, ma finalmente quell’arrogante smania di sapere si era placata.
    Restò in silenzio ad attendere un altro segnale, ma Neiry si era chiusa in un immobilità scultorea, lasciandolo unicamente a se stesso.
    “Ma non vuoi veramente che io me ne vada giusto?”
    “Ti sbagli. Ma ora vai, decidi come preferisci”
    Si sbagliava… quindi non aveva mentito dicendo che avrebbe dovuto abbandonare il tempio?
    Lasciò che la certezza di poter giungere a qualche risposta avesse la priorità sulla paura di dover restare di nuovo solo.
    Passò sotto lo sguardo immutabile di Neiry, che non si mosse di un solo millimetro, mostrandosi addirittura intenzionata ad andarsene. Voltò le spalle a Malefor, tornando sui propri passi verso l’arena dove gli altri guardiani la stavano aspettando.
    “Adesso ti lascio nelle tue zampe. Ti prego di non deludermi”
    Nonostante non avesse ancora ben capito cosa stesse succedendo Malefor annuì fermamente, gettandosi all’interno del vano principale della struttura.
    Quando l’oscurità dell’ingresso lo avvolse si fermò, cercando di ricordare in quale esatta posizione si trovasse il suo obbiettivo, restando però spiazzato dalla facilità con cui se n’era dimenticato.
    Era più di una settimana che quel sogno si ripeteva continuamente ogni notte, perché non riusciva a ricrearlo con precisione?
    Attese qualche istante immerso nel silenzio, come se si aspettasse di captare qualcosa da un momento all’altro.
    “Vieni”
    Il suo udito non percepì niente di reale, ma la sua mente udì chiaramente quella voce provenire dal suo interno.
    “Siamo vicini”
    Stava per impazzire. Cosa accidenti gli stava succedendo?
    “Dove!” Pensò, continuando a starsene immobile e in silenzio.
    “Di fronte a te”
    Solo in quel momento realizzò veramente che si trovava davanti a una parete di pietra spessa e invalicabile, antica forse quanto l’Aedo, come del resto il tempio di cui faceva parte.
    “Qui non cè niente”
    “Se puoi sentirci puoi anche vederci. Avvicinati”
    Annullò anche la propria vista, chiudendo gli occhi e avanzando con un briciolo di insicurezza.
    “Non temere”
    Cercando di distogliersi dalle sue stesse percezioni fisiche corse in avanti, fin quando a fermarlo non fu una piacevole sensazione di caldo misto a freddo, di luce mista ad oscurità, di suoni misti a silenzio. Cercò di riemergere dallo stato di isolamento mentale in cui si era spinto, ma notò che più cercava di emergerne più quelle sensazioni si allontanavano.
    Quando riuscì a trovare una buona stabilità interiore si accorse di trovarsi proprio all’interno dello stesso antro che aveva visto in sogno.
    Ma qualcosa era diverso: in quel momento non era solo, a differenza delle altre volte e sapeva di poter arrivare fino in fondo.
    Si trovava proprio al centro della stanza, con le zampe poggiate su uno strano cristallo dalla forma perfettamente sferica e attorno a lui fluttuavano minuscole particelle azzurre che salivano verso l’alto come se libere dalla gravità.
    Dalla semisfera del cristallo emergente dal terreno veniva sprigionata una luce perpetuamente intenza e le gocce cielesti illuminavano a tratti le spoglie pareti che lo circondavano.
    Scese dalla levigata e perfetta superficie vitrea e tastò con gli artigli la consistenza del suolo, altrettanto liscio.
    “Dove siete… con chiunque stia parlando”
    Nessuna risposta. Poggiò allora una zampa sul cristallo e ne fissò l’interno, vedendovi impressa la sua immagine, in mezzo a quella di altri due draghi. Quando intuì che quello era semplicemente il suo riflesso sussultò, voltandosi di scatto ad osservare il drago e la dragonessa che gli erano effettivamente alle spalle.
    “Ciao Malefor…” Disse il drago rosso alla sua destra, mentre l’altra si avvicinò al figlio.
    ___

    Capitolo14: Rinascere dalle origini.

    Malefor, sentendosi stringere dalle ali e dalle zampe della madre, non poté che ammettere di aver sofferto molto quella mancanza, avendola ritrovata se pur in minima parte soltanto in Neiry.
    Scoprì che nei suoi occhi rivivevano quelli di Lehr, occhi colmi di purezza e di determinazione. Adesso finalmente si sentiva al proprio posto, capì di aver avuto un’origine. Dall’azzurro gelo della madre e dallo scarlatto fuoco del padre erano nate le sue scaglie viola, un prodigio avvenuto per capriccio del destino proprio a lui.
    Sentiva di provenire dall’energia di quei due draghi, due metà unitesi nella sua anima giurando di proteggerla dal paradiso dei draghi in eterno.
    “Se sei riuscito ad arrivare a noi significa che il nostro desiderio di poterti incontrare almeno una volta si è realizzato. Questa è la fonte del ritorno, in cui è concesso di conservare la propria anima se in vita ce ne siamo dimostrati degni. Conservare un frammento della nostra esistenza finché qualcuno non ci permette di tornare per breve tempo”
    Malefor non si mosse, non riusciva a far altro che ascoltare le loro voci, come terrorizzato dall’ipotesi che potessero scomparire di nuovo.
    “Io… io ho visto questo luogo in sogno… qualcosa continuava a volermi condurre fino a qui. Solo ora capisco che siete voi che chiamavate il mio nome”
    “Chiamavamo il tuo nome da un luogo in cui ci è stato concesso di conservare il nostro ricordo fino al tuo arrivo e adesso…” Cercò di rispondergli la dragonessa, venendo interrotta da Airack.
    “Non credete che questa conversazione debba essere ospitata da ben più piacevoli terre?”
    In un attimo i tre vennero attratti, se pur non fisicamente, dall’oculo incastonato al centro della stanza, venendo risucchiati in esso. Dopo un percorso di fasci splendenti si ritrovarono catapultati tra le ombre di una fitta foresta, su cui il sole riluceva radioso.
    “Molto più accogliente direi” Disse il drago rosso, sorridendo.
    Malefor era abituato alle potenziali assurdità, ma non riuscì a capire cosa fosse successo e per quale motivo il suo corpo paresse di nuovo esistere fisicamente, come quello di Lehr e Airack.
    “Ma cosa…”
    “Tranquillo, tuo padre è sempre stato così” Rispose la dragonessa, sedendosi al suo fianco.
    “Siamo veramente fuori dal tempio? O è un’illusione?”
    “Anche un’illusione se pur irreale può esistere. Quindi si, stai vivendo in qualcosa di irreale che però sta accadendo” Cercò di spiegargli Airack, con scarsi risultati.
    “Ma voi… voi siete…”
    Lehr sorrise.
    “Sarebbe bello, ma abbiamo abbandonato questo mondo molti anni fa. Comunque si lo siamo. Siamo vivi Malefor, viviamo dentro di te”
    Il drago viola sfiorò con la coda i soffici fili d’erba che ricoprivano il terreno, non trovando niente di insolito o surreale in quel contatto. I suoi sensi erano perfettamente attivi e poteva percepire la vita scorrere attorno a se.
    Non era quello però che gli interessava in quel momento. Aveva ben altre domande per la mente e sapeva di doversi godere a pieno quella momentanea e perfetta felicità.
    “Non volevo che voi veniste uccisi per me. Non è giusto”
    Airack rise, avvicinandosi al figlio che sollevò lo sguardo sul suo muso guerriero e selvaggio.
    “Come potevi volerlo… non esistevi ancora!”
    Anche la dragonessa si perse in una leggera risata.
    “No. Io… come posso vivere sapendo che ho la possibilità di farlo solo grazie al vostro sacrificio”
    “Malefor…” Disse Lehr, con voce dolce e amorevole. “Tu stesso l’hai detto, non è giusto. Il mondo è ingiusto, e l’hai potuto sperimentale sulle tue scaglie. Ci sono individui senza scrupoli e forze maligne che ogni giorno si appigliano a chi è debole nell’anima per espandersi e infettare chi invece vive nella luce. La vita è difficile, ma non pensare che morire sia da meno. La paura di dover abbandonare tutto ciò a cui tieni prevale sulla consapevolezza che non dovrai soffrirne. Ma proprio perché sei così puro nel cuore dovrai saper onorare ciò che ti è stato donato. Vivi proprio per ricordare noi che abbiamo molto volentieri rinunciato a farlo per te. Così non soffrirai più, non ti immergerai più in quei tenebrosi dubbi che tentano di stringerti nella morsa della paura”
    “Io non ho paura” Affermò Malefor, drizzandosi sulle zampe. “Non ne ho da quando ho scoperto cos’è l’amicizia. In quella credo e per quella lotterò, perché ne vale la pena”
    “Esatto”
    Lehr e Airack si scambiarono un’occhiata colma di fierezza e sorrisero, torando poi a rivolgersi al figlio.
    “Se queste sono le tue scelte, non abbiamo nessun rimpianto. Vivi in funzione di ciò in cui credi e combatti per difendere i tuoi valori, ma non lasciarti mai influenzare dalle promesse dell’oscurità. Sono solo false verità quelle a cui aspireresti”
    Malefor ascoltò il padre come se stesse sentenziando una legge assoluta su cui basare la sua esistenza, riconoscendo in quelle frasi ciò che aveva sempre sospettato ma che nessuno era mai stato in grado di confermargli a pieno.
    “È stato proprio un drago corrotto dal male a vedermi crescere. Lo stesso che vi ha uccisi”
    “Lo sappiamo” Continuò Lehr. “E sappiamo anche che il tuo coraggio e la tua devozione al bene ti ha aiutato a vendicarci. Sii fiero di questo e di te stesso e sappi che noi ti vogliamo bene e continueremo a vegliare su di te per sempre”
    Malefor si avvicinò alla madre e le strinse con le ali il collo, perdendosi in un caldo e delizioso abbraccio materno.
    “Potrei offendermi! Niente abbraccio per me?” Silamentò Airack, avvicinandosi al figlio che aveva disteso l’ala sinistra per unire i tre in un unico indissolubile legame d’affetto.
    Quel momento sarebbe vissuto per sempre in eterno nel cuore di Malefor.
    Quel momento sarebbe stato per sempre parte di lui.
    Quel momento… non avrebbe mai più potuto riviverlo, a causa di Flarendor e del potere oscuro dietro cui si era mascherato.
    Aveva raggiunto l’apice della felicità e da un momento all’altro l’avrebbe perso.
    L’apoteosi dell’amore, vivente in quell’abbraccio, avrebbe vissuto in eterno o si sarebbe di nuovo spento come scintille nell’ombra.
    “Non voglio perdervi ancora”
    “Non ci perderai. Dovrai riuscire a ricordarci senza soffire della nostra assenza, ma lasciando che il nostro ricordo continui a vivere in te”
    Fu proprio il drago viola a sciogliere l’abbraccio, indietreggiando di un passo e fissando entrambi con un briciolo d’angoscia. Una lacrima solcò il suo muso.
    Dopo tutti quegli anni, dal momento in cui era nato, non aveva ancora scoperto il significato del pianto.
    Avrebbe potuto credere che quella fosse una lacrima di felicità, ma scelse di riconoscerla come espressione del suo dolore.
    Aveva individuato la giusta via di fronte al suo maestro, aveva trovato la giusta via di fronte ai suoi amici… ma di fronte ai suoi genitori e alla sorte che era loro toccata si perse nei meandri del labirintico bivio della rabbia e dell’angoscia.
    Lehr e Airack lo scrutarono con evidente preoccupazione.
    “Che ti succede. Tesoro non lasciarti guidare dal furore. So che il tuo animo è nobile e che ti stai tormentando per tutto questo, Ma tu non ne hai colpa… ti prego cerca di trovare e far emergere la purezza che è in te”
    Airack concluse la frase.
    “Non abbandonarti all’oblio. Hai visto ciò che si raggiunge se schiavi delle tenebre… tu meglio di molti altri lo sai Malefor”
    Il draghetto distese le ali lungo i fianchi, lasciandosi tenere in piedi dalla forza dei suoi artigli, senza più volonta a sorreggerlo.
    “Malefor… perché questo nome se posso chiedere”
    A quella strana frase sia Airack che Lehr vennero assaliti dalla stessa insicurezza che stava immergendo il figlio.
    “No, non è come pensi” Disse Airack, interrompendosi con ancora le fauci socchiuse.
    Fu Lehr a rispondere, se pur con rammarico, a quella triste ma vera realtà.
    “Sapevamo che avresti sofferto. Sapevamo che avresti dovuto superare ostacoli apparentemente invalicabili. Il tuo nome è la testimonianza del dolore che hai dovuto patire perché gli altri non ne soffrissero. Colui che ripudia l’oscurità… questo è il reale significato del tuo nome. L’hai fatta tua per poi potertene liberare, liberando anche il mondo dal male stesso. Devi essere orgoglioso di ciò che sei arrivato ad essere. È grazie a te e alla tua forza di volontà se adesso Flarendor non ti sta usando per i suoi perfidi scopi. Un cucciolo cresciuto nell’ombra e giunto alla luce…”
    Malefor restò in silenzio, senza muovere un muscolo.
    “Adesso dobbiamo andare… il tempo che ci è stato concesso sta per terminare” Disse Airack, con una punta di amarezza.
    “Ma il tempo che tu potrai concederci vivrà con te, finché tu vivrai” Aggiunse la dragonessa. “Grazie Malefor… grazie per non aver reso la nostra morte vana. Grazie di essere nostro figlio”
    Furono quelle ultime parole ad anticipare ilritorno alla realtà, che avvenne in un rapido susseguirsi di bagliori azzurrini, che avvolsero sia la foresta sia i tre draghi, riportando Malefor allo stato di piena coscienza, di fronte alla parete da cui tutto era cominciato.
    “No. Non mi dimenticherò di voi… vivrete in me”
    Senza indugiare un istante di più si volse all’entrata del tempio, verso cui si diresse a passo deciso.
    Non distinse chiare differenze tra la luce di dell’esterno e della foresta di poc’anzi, se non per l’essenza della luce stessa. Fino ad un momento prima era avvolto dallo splendente calore di una famiglia, di un amore che sentiva incredibilmente suo, mentre fuori dal tempio non vi era che luce fragile e instabile, minacciata dalla inesauribile forza del male.
    Avrebbe preferito non conoscere, come Neiry sapeva.
    Tornò dai suoi amici, ancora intenti a disputarsi il titolo di guardiano tra una sfida e un’altra.
    “Amici…”
    Si stupì nel trovare ancora Solaris e Glaider intenti a scambiarsi colpi di vario genere, dato che quando si era allontanato avevano iniziato già da un bel po’ a combattere. Ne dedusse che quelo che era successo trascendeva spazio e tempo, realtà e illusione. Lui aveva vissuto quella fantastica esperienza, ma come in un sogno tutto si era consumato in brevissimi istanti.
    Quando finalmente raggiunse Neiry, accanto a cui si sedette, notò che Solaris aveva avuto la meglio su Glaider, intrappolandolo in una solida prigione di ghiaccio.
    Stremato dai colpi sferrati e ricevuti, il drago decise di non reagire e di lasciare che fosse la compagna ad aggiudicarsi la meritata vittoria.
    Dopo averlo liberato Solaris gli sfiorò il muso con il proprio, aiutandolo a rialzarsi.
    “Così non vale… ti sei arreso troppo presto. Sembra quasi che tu mi abbia lasciato vincere”
    Tutti gli altri ruggirono e gridarono esultanti, emozionati nel sapere che sarebbe stata Solaris a presiedere al dominio del ghiaccio in futuro.
    “Chi sa se non l’ho veramente fatto”
    “Si certo…” Lo schernì lei, ridacchiando.
    Anche gli altri si cimentarono nei vari scontri, facendo si che emergessero, oltre a Solaris, altri tre draghi degni del tanto desiderato compito.
    Ignitus aveva con enorme abilità affrontato ogni prova e sconfitto tutti gli avversari, conquistando il posto di guardiano del fuoco. Lo stesso era riuscito a fare Terrador, superando in forza e maestria tutti gli altri draghi della terra. In fine successe qualcosa di totalmente inaspettato: Zell, dopo essersi dimostrato il migliore tra i draghi appartenenti al suo elemento, decise di cedere il posto a qualcuno che lo bramava più di lui.
    A suo parere starsene seduti a contemplare il mondo e a non fare niente di divertente non era poi molto allettante.
    Fu così, che dopo ripetuta protesta dei guardiani, si decise che nessuno per il momento avrebbe avuto il permesso di presiedere a protezione dell’elettricità.
    Quando la folla si fu diradata e i vincitori furono acclamati a dovere, Ignitus, Zell Glaider e Solaris raggiunsero Malefor raggianti e felici, nonostante la stanchezza e nonostamte Glaider continuasse ad affermare che si era lasciato sconfiggere per pura bontà d’animo.
    “Malefor! Visto che ce l’ho fatta?” Esclamò Ignitus, sfiorandolo con la coda.
    “Visto? Visto che mi sono fatto battere da questa femmina se no me l’avrebbe rinfacciato a vita?” Lo seguì Glaider, spintonandolo. “Loro non mi credono”
    “E io allora?”
    “Tu Zell sei matto! Ma come si può vincere e rinunciare ad un tale privilegio” Gridò Ignitus, rivolto al drago del fulmine.
    “E dai smettetela con questa storia. Io cerco avventura non monotonia”
    “Ma cosa d…”
    “Bravi. Complimenti a tutti” Sussurrò Malefor, a voce talmente atona che gli altri si chiesero se avesse effettivamente parlato.
    Solaris gli si avvicinò, fissandolo negli occhi, in cui notò qualcosa di strano e diverso.
    “Tutto apposto?”
    Malefor si voltò altrove, distogliendo lo sguardo.
    “Si. Sei stata davvero fantastica, hai vinto persino contro Glaider”
    Lei cercò di ignorare quello strano comportamento, limitandosi ad apprezzare il complimento.
    “Beh… modestamente…”
    Ignitus e Zell risero, mentre Glaider continuava a protestare senza successo per una rivincita personale. Ma la mente di Malefor era altrove.
    “Colui che ripudia l’oscurità… cresciuto nell’ombra e giunto alla luce…”

    ***

    Erano ormai passati due giorni dalla disputa del titolo di guardiano e i ritmi erano ripresi regolarmente sia per i vincitori che per gli altri, che continuavano, se pur momentaneamente con meno frequenza, ad allenarsi con perseveranza e desiderio di migliorare.
    Ignitus, Terrador e Solaris, invece che gioire e vantarsi della propria superiorità, avevano sfruttato l’occasione e la grande opportunità concessa loro per affinare ulteriormente le loro abilità. Continuavano le zuffe tra Zell e Dorim, Glaider si lamentava ogni volta che riceveva un colpo dalla compagna e tutto seguiva il suo corso senza abbattersi sul più piccolo scoglio.
    “Sei pronto? Ti dovrai impegnarti se vorrai sconfiggere il mitico e leggendario futuro guardiano del fuoco!”
    Ignitus si trovava in piedi di fronte a Malefor, con le ali spalancate e gli artigli snudati. Il drago viola era uno dei pochi avversari con cui era costretto a dare il meglio di se.
    Malefor lo fissava con indifferenza, come se lo scontro non gli interessasse minimamente. Aveva accontentato Ignitus, dopo la decima volta che gli veniva proposta la richiesta di uno scontro, ma combattere contro il suo migliore amico non era tra i suoi più grandi desideri.
    “Mi impegnerò promesso”
    Il drago delle fiamme si era già reso conto che qualcosa in Malefor non andava e prese quell’occasione anche come pretesto per cercare di svelare il mistero che il drago viola si portava a presso in quei giorni.
    “Fatti sotto!”
    Ignitus gli corse incontro, non trovando alcuna iniziale resistenza . con un pugno lo spedì al suolo, senza però trascurare il fatto di esserci riuscito solo grazie all’intenzione di non reagire dell’avversario.
    Non gli importava, lo scontro era iniziato e doveva continuare a combattere. Quando gli si scagliò contro per schiacciarlo sotto gli artigli Malefor si capovolse e balzò in avanti, ruotando su se stesso e sferrando un colpo di coda sul suo fianco destro, completando l’opera con un’incornata frontale.
    Ignitus attutì il colpo gonfiando i muscoli del collo, reagendo con un soffio di fuoco rovente che Malefor contrastò con altrettante fiamme.
    Quando entrambi ebbero consumato completamente la loro energia elementale ricominciarono a colpirsi con attacchi corporei, portando più volte entrambi a limitarsi: lo scontro era di un livello incredibile, ma nessuno dei due voleva ferire seriamente l’altro, quindi contenersi e riuscire contemporaneamente a contrattaccare era tutt’altro che semplice.
    Soltanto dopo alcuni minuti Malefor, nonostante ancora in grado di combattere, decise di arrendersi.
    “Ignitus… basta, hai vinto. Devo riconoscere che sei davvero migliorato”
    L’amico, affatto convinto di quella risposta, farfugliò una seccata risposta tra un lungo respiro e l’altro.
    “No. Così non va, non ti sei ancora impegnato… come… si deve. Non puoi arrenderti visto che per il momento sono in svantaggio”
    “Basta così Ignitus. Abbiamo già combattuto abbastanza, non sei soddisfatto?”
    “No!” Gridò il drago del fuoco, attaccando di nuovo con ferocia, con più vigore di prima.
    Malefor indietreggiò, cercando di evitare i colpi senza reagire.
    “Bastaaa!”
    Per un attimo Ignitus non si rese neanche conto di cosa stesse succedendo. Si ritrovò a terra con il dorso disteso sulla liscia pietra del campo d’allenamento, totalmente disorientato.
    L’unica cosa che era riuscito a vedere era una zampa di Malefor che lo centrava sul muso, ma era all’oscuro della dinamica degli eventi. A pochi metri da lui Malefor stava tremando in preda al terrore. Terrore per ciò che aveva appena fatto; per ciò che sarebbe potuto succedere se si fosse spinto oltre.
    “Ignitus!”
    Con un balzo lo raggiunse, avvicinandogli gli artigli alla fronte da cui usciva un piccolo zampillo di sangue.
    “Scusa… scusami non l’ho fatto apposta! Non volevo…”
    Ignitus gli sorrise, rassicurandolo.
    “Tranquillo non è niente. Ho preso botte peggiori. Ma… Malefor… che ti è successo?”
    Il drago viola lo fissò sconvolto, come se i suoi artigli l’avessero appena tranciato in due.
    “Non… non lo so” Mugugnò, come spaventato, mentre lo aiutava a rialzarsi.
    Barcollante, Ignitus si diresse verso Glaider e Solaris che avevano assistito a tutta la scena e impietriti non distoglievano gli occhi da Malefor, che a sua volta fissava il drago del fuoco.
    “Stai bene?” Chiese Glaider, quando Ignitus l’ebbe raggiunto.
    “Si certo”
    “Sicuro?”
    “Io non sono come te che ti fai annientare dalle femmine”
    “Ei!” Lo rimproverò Solaris dandogli un colpetto di coda sul dorso.
    Malefor lanciò un’ultima occhiata all’amico, con le zampe che ancora fremevano.
    “Ignitus… non ti ho…”
    “E basta Malefor! Sono tutto intero” Rispose, passandosi il palmo di una zampa sulla ferita.
    Il drago viola si voltò improvvisamente, allontanandosi di scatto dagli altri e correndo come in preda alla pazzia in mezzo agli alberi che circondavano il tempio.
    Voleva correre lontano, voleva andarsene, voleva scomparire nel nulla. Tutt’ad un tratto non capiva più chi era, cosa gli stesse succedendo e quale sarebbe stato il suo destino, desiderava solo di impedire ad ogni costo altri eventi come quello.
    Corse per neanche lui seppe quanto, senza neanche riuscire a dispiegare le ali per librarsi in volo. Correva furente, adirato con se stesso per quello che era appena accaduto. Continuò a correre, mentre sopra di lui le chiome degli alberi si susseguivano rapide in un confuso ammasso di foglie e rami, quasi indistinguibili a quella velocità.
    Corse, chiuse gli occhi, ansimò, li riaprì, ansimò ancora e continuò a galoppare finché non si scontrò a piena velocità contro il tronco di un albero, che all’impatto con le sue corna si perforò da parte a parte.
    Malefor cadde a terra disteso su un fianco, e non si rialzò. Osservava la distanza che ora lo divideva dal tempio, dalla sua casa; la sua vera casa.
    Solo lì aveva qualcuno che tenesse a lui, solo lì poteva ritenersi vivo.
    Il desiderio di tornare sui suoi passi era forte, ma il dubbio che la sicurezza dei suoi compagni potesse essere in pericolo con la sua presenza gli impediva di muoversi di un centimetro. Niente era più certo ormai, le verità in cui aveva creduto si stavano inesorabilmente infrangendo in un unico potente desiderio.
    Continuava a ripetersi che non aveva mai voluto colpire Ignitus in quel modo, ma a farlo non era stato Malefor, non il figlio di Lehr e Airack almeno.
    A colpire Ignitus era stato il frutto di troppe sofferenze patite da un cuore troppo limpido. L’ingiustizia riservata ai suoi genitori aveva smosso un tumultuoso vortice d’odio nell’angolo più sperduto della sua mente in cui ancora navigava il ricordo dell’oscurità.
    Sollevò lo sguardo ad osservare il sole che splendeva in cielo, incoronato da un alone di intenza luce calda e pulsante.
    No, non poteva arrendersi così. Aveva resistito fino a quel momento, non avrebbe ceduto a causa di un ricordo.
    Tra gli alberi vide spuntare la figura dorata di un drago. Una visita che non gradì affatto. Avrebbe voluto che fosse venuta Neiry a correggere l’errore che stava per fare, a indirizzargli la strada giusta da prendere.
    Fu ben altro però ciò che gli si posò a pochi metridi distanza: alla sua destra, con il solito inafferrabile ghigno sul muso, Sill lo fissava con falsa benevolenza, mentre il suo sguardo saettava dal drago viola all’ombra del tempio in lontananza.
    “Che ti succede drago? Perché te ne stai disteso qui da solo?”
    Malefor non si mosse, dischiudendo semplicemente le labbra.
    “Non sono affari tuoi”
    “Forse hai ragione. Ma potrei aiutarti se me lo permetti”
    “A dire il vero non te lo permetto. Non ho bisogno di aiuto. vattene”
    “Ooh non fare l’arrogante. Neiry non vorrebbe vederti in questo stato sai vero?”
    “Ti ho detto di andartene”
    Siil inclinò il capo di lato, sbuffando.
    “Senti ti va di ascoltare almeno una piccola proposta?”
    Malefor, individuato finalmente un motivo per alzarsi, si sollevò spingendosi con gli arti anteriori, divaricando le ali.
    “Forse non mi sono spiegato”
    “Ei pace drago viola… pace”
    “Non ti farò del male. Ma sparisci prima che la mia pazienza crolli”
    “Ma perché tratti così un povero vecchio drago del fulmine… io volevo solo…” Le sue parole vennero troncate a metà dalla vista del draghetto che estraeva gli artigli. “Aspetta. Io so cosa vuoi”
    Malefor desisté dall’attaccare, dando a Siil la possibilità di concludere la frase.
    “Tu vuoi rincontrare chi hai perso a causa dei folli piani di Flarendor”
    Malefor tornò con tutte le zampe a contatto con il terreno, fissandolo con una vena di curiosità.
    “E con ciò?”
    “Esiste un modo per farli rivivere”
    Il draghetto gli si avvicinò sospettoso, spinto dal dubbio che quello che il guardiano stava dicendo fosse realizzabile.
    “Dove sono le prove che mi confermano che non stai mentendo?”
    Siil rise divertito, un divertimento maligno e serpentino.
    “Malefor… sei davvero un drago strano te l’hanno mai detto? Non ho prove, ma la chiave per far sì che ciò accada sei tu. Devi solo aiutarmi… da solo non posso fare granché”
    Per niente sicuro della veridicità delle sue parole, Malefor si vide costretto ad assecondarlo fin quando possibile; non si sarebbe lasciato sfuggire una tale occasione.
    “Bene. Cosa dovrei fare? E cos’è che vorresti in cambio?”
    Siil continuò a ridacchiare, mentre la sua mente elaborava piani oscuri al draghetto.
    “Niente di che. Solo prestarmi un po’ della tua energia. Devo utilizzarla per ridare la vita ai tuoi cari”
    Ignaro della viscida mente del guardiano, Malefor annuì ingenuamente, ormai consumato dal desiderio di poter ancora riabbracciare i genitori una volta e per sempre, nella realtà.
    “Mi sembra al quanto improbabile una cosa del genere ma proverò a darti fiducia”
    All’udire quella risposta sul muso di Siil si stampò un velenoso sorriso con cui mostrò un bianco chiostro di zanne affilate.
    “Eccellente! Allora… devi darmi soltanto un giorno. domani smentirò il tuo scetticismo. D’accordo socio?” Concluse, allungando una zampa verso il drago viola che la respinse con una frustata di coda.
    “È evidente che ci sia qualcosa sotto”
    “Oh beh in effetti c’è… ma il tuo desiderio non è quello di rincontrare la tua famiglia? In fondo non ti ho chiesto molto. Solo il prezzo da pagare perché ciò possa avvenire”
    Neanche aveva finito di parlare che Malefor si era già lanciato in volo verso casa, indeciso se ascoltare o meno le parole di Siil.
    “Ah una cosa drago! Stai attento… temo che qualcuno non ti voglia più al tempio”
    Le sue ali si bloccarono a mezz’aria, rischiando di farlo precipitare. Muovendo leggermente la coda si voltò verso il drago dell’elettricità, che ricambiò lo sguardo con disinvoltura.
    “Si? Qualcosa non va?”
    “Cosa vuoi dire”
    “Lo capirai. Ma non farti uccidere prima di domani… grazie! E se proprio non ti disturba la cosa… potresti non parlare con nessuno di questo piccolo segreto? Sai qualcuno potrebbe impedirci di fare una cosa simile”

    ***

    “Sei stata tu”
    Neiry, poggiata alla parete della stanza degli elementi, fissava Axius in cerca di aiuto, come se lo implorasse di sentir ragione. Il rimorso per aver scelto di lasciare che Malefor affrontasse un mondo di tenebre da solo la attanagliava, togliendole quasi il respiro.
    Il guardiano del ghiaccio era perso nei suoi pensieri, del tutto assente e indifferente alle suppliche mentali della compagna.
    “Axius”
    Nessuna risposta. Il drago muoveva meccanicamente la coda senza neanche rendersene conto.
    “Axius!”
    “Cosa c’è”
    La sua voce era ormai spenta, un tono che non ammetteva né istanze né preghiere.
    “Possiamo ancora rimediare”
    Axius dissentì con il capo.
    “Neiry è così che doveva andare. Forse al tuo posto avrei anch’io dato fiducia a quel drago, ma ormai come tu hai deciso, l’ho fatto anch’io. Ti scongiuro di non metterti di mezzo, perché ho paura che tra la tua incolumità e quella del mondo intero ci sia una leggera differenza. non costringermi ad averti nemica. Se perdesse il controllo di nuovo potrebbe essere fatale per tutti noi. Sarebbe un pericolo troppo grande per chiunque”
    La dragonessa chinò il muso, socchiudendo gli occhi.
    “Non lo farò”
    Dopo minuti di torpore Axius tornò all’esterno delle sue spirali di pensieri e le rivolse un’espressione stupita.
    “Ne sei certa?”
    “Si. Fai ciò che credi giusto, ma non contare su di me” Rispose Neiry, uscendo dal vano senza troppe remore.
    Mentre scendeva le scale del tempio, si chiedeva cosa sarebbe successo da quel momento in poi. Eppure tutto sembrava destinato a persistere nell’equilibrio e nella pace, per quale motivo per pochi gesti a fin di bene il mondo doveva essere di nuovo in pericolo.
    Si gettò all’esterno verso la foresta; doveva parlargli almeno un’ultima volta.
    Lo vide sfrecciargli incontro, come se entrambi sapessero che avrebbero incrociato il volo dell’altro. Sia Malefor che la dragonessa rallentarono, fermandosi a pochi metri di distanza e scendendo dolcemente di quota.
    Appena sfiorarono il suolo Neiry si avvicinò al draghetto e lo afferrò con le zampe anteriori, portandolo contro il suo ventre e avvolgendolo con le ali.
    Fu quello l’ultimo gesto d’affetto che Malefor avrebbe rimembrato per il resto della sua esistenza.
    Dall’interno di quel “guscio” protettivo Malefor si sentiva al caldo, al sicuro, protetto dall’esterno e da se stesso. Ma sapeva che attorno a lui viveva un mondo in cui per lui non c’era posto. Lui era nato nell’oscurità e in essa sarebbe caduto.
    Flarendor aveva ragione, le tenebre non l’avrebbero mai abbandonato.
    Persino Lehr e Airack lo sapevano. Eppure aveva vissuto credendo erroneamente di potersene disfare come un brutto incubo dimenticato nel tempo; come un giogo che una volta spezzato l’avrebbel’asciato andare.
    Neiry allentò fiebilmente la presa e Malefor ne sgusciò lentamente fuori, mentre la fissava con una nuova consapevolezza sul muso. Ora sapeva qual’era il suo destino.
    “Ti voglio bene” Le disse, sfiorandole il collo con il naso.
    “Anch’io. Te ne ho voluto tanto e avrei desiderato potertene volere ancora”
    “Lo so”
    La dragonessa avrebbe voluto scoppiare a piangere, avrebbe dato se stessa per impedire che finisse in quel modo, ma ormai percepiva in Malefor un diverso alone d’energia.
    “Ti prego Malefor torna indietro. Per favore” Mormorò, avvicinando il muso al suo. “Non lasciarti guidare dall’istinto dell’oscurità. Cerca di controllarti… hai dimostrato di poter affrontare ostacoli peggiori”
    Su di lui le parole avevano perduto ogni effetto, adesso voleva solo poter realizzare il suo sogno, poter rivedere chi gli aveva donato la vita. Avrebbe ceduto alle ombre se necessario.
    “Siil mi ha detto che posso rincontrare i miei genitori in cambio di un po’ della mia energia”
    Neiry quasi d’istinto lo spinse via, lanciandogli un’occhiata furiosa.
    “Siil? Cosa ti ha detto quell’infame!”
    “Quello che ti ho detto”
    “Non devi assolutamente ascoltarlo! Qualunque cosa ti abbia promesso non credergli”
    Malefor non si mosse, diviso tra interno e esterno, tra purezza esteriore e inferno interiore.
    “Come posso non ascoltarlo. Se veramente può…”
    “No! Malefor nessuno può riportare in vita chi non c’è più e tu lo sai meglio di me. Sei solo accecato dalla rabbia per accettarlo. Ma non lasciarti assolutamente soggiogare da nessuno!”
    Malefor le aveva già fatto capire più di una volta che la sua natura non era malvagia, ma trovarsi faccia a faccia con qualcosa più grande di se stessi avrebbe potuto demolire anche le sue difese. Aver scoperto di essere vissuto nell’oblio a causa di smania altrui di potere lo rendeva innatamente furioso.
    “Non diventerò un mostro Neiry” Le rispose, fissandola negli occhi.
    Neiry annuì
    “Lo so”
    “Lo sarò solo se il mondo mi costringerà ad esserlo”
    Un sospiro.

    Lunga fu la lotte che divorò il tramonto di quello stesso giorno. Al tempio si respirava pura e palpabile tenzione che era giunta fino anche al drago più ignaro.
    Ignitus e gli altri, se pur all’oscuro del cambiamento interiore del drago viola, si erano resi conto che tutto non era al suo posto. Malefor se ne stava disteso, in disparte all’esterno del tempio, sicuro che in quel modo avrebbe reso tutto più facile a chiunque sarebbe arrivato.
    Teneva il muso poggiato sul suolo e gli occhi chiusi, con il corpo abbandonato a quell’ultimo momento di pace, che si sarebbe goduto da solo. Pensò ai suoi amici, pensò a Ignitus e Zell con cui dormiva ogni sera e che in quel momento sperava stessero pensando a lui, in un egoistico desiderio d’affetto.
    Non si preoccupò delle consequenze di qualunque cosa sarebbe successa, ma non avrebbe mai voluti vedere piangere per lui. sperava che qualcuno l’avesse amato, ma in quel momento pensò agli altri più che a se stesso, sperando che nessuno in fondo si fosse affezionato a lui, almeno non ne avrebbero sofferto. Si sarebbe accontentato del suo ricordo nei loro pensieri.
    Nell’ombra alle sue spalle due ali sferzarono l’oscurità di quell’opaca coltre notturna.
    Il drago atterrò, senza curarsi di essere silenzioso o di nascondersi ai sensi di Malefor.
    Si fermò per istanti infiniti ad osservare il cielo sopra di se e gli alberi attorno a loro, che insieme avrebbero assistito a quel suo tremendo dovere di protettore della quiete.
    Si avvicinò a Malefor, mentre cercava di convincersi che quella fosse l’unica soluzione possibile.
    Quando gli fu a meno di pochi centimetri il suo desiderio più profondo fu quello di poter fuggire lontano per rinunciare al suo ruolo nel mondo, ma non si mosse di un passo.
    “Sei venuto per uccidermi?” Chiese Malefor, altrettanto immobile.
    Axius lo osservò: il modo in cui giaceva inerte e consapevole riuscì a far breccia anche in lui.
    Era abbastanza convinto della necessità di farlo per macchiarsi di quel delitto.
    Eppure indugiò.
    “Devi farlo!” Esclamò il drago viola, sollevando le palpebre e voltandosi a fissarlo. “Fallo ti prego. Non so quanto ancora potrò resistere. Quello che un tempo corruppe Flarendor sta consumando anche me. Devi farlo o rischierò di nuovo di far del male a qualcuno e in maniera irreparabile questa volta”
    Avrebbe così incontrato i suoi genitori, per restare con loro per l’eternità.
    ___

    Edited by Aesingr - 16/11/2014, 16:50
     
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    Fermi tutti! Ecco che rispunta la mia storiella con il fatidico 15° capitolo, atteso da miliiioooni e miliiooooni di telespet... em... no quello è Carlo Conti all'eredità. *Riaggiusta microfono*
    Atteso da un caiser di nessuno. L'ultimo dite voi?
    Ma chiaramente no, quando mai XD lo so che chi ha iniziato a leggerla aspetta l'ultimo capitolo da ancora prima che iniziassi, ma ho rimandato il finale uno ziliontiliardo di volte e quindi finiamo con calma!
    Ecco a voi

    Capitolo15: Per amicizia

    In quel momento tutto ormai pareva dissolto nel nulla: il passato, il futuro e anche lo stesso presente, niente aveva più senso di essere.
    Axius continuava a fissare Malefor con indecisione, con quella titubanza che persino lui aveva temuto di incontrare.
    dal canto suo il drago viola non si muoveva, tutto il suo corpo supplicava di scomparire e non certo per vigliaccheria, il crucio che lo tormentava era solo il dolore che avrebbe causato ai suoi amici, a Neiry, ad Axius stesso e a tutti coloro che continuavano a sperare in un futuro permeato di pace.
    "Avanti..." Mormorò Malefor, dischiudendo la bocca da prima in un tenue sorriso, poi in un sommesso ringhio feroce. "Avanti! Tu mi odi non è così? Allora fallo! Se davvero non è la vendetta il motivo del tuo odio... non avrai alcun rimpianto. Avanti!"
    Il guardiano del ghiaccio iniziò a respirare profondamente, finché il suo corpo prese ad ansimare come in preda alla paura. Cosa gli stava succedendo? Dov'era finita la convinzione di un attimo prima?
    Eppure non era poi così difficile: anche Malefor lo voleva, la sua ferma sicurezza non lasciava alcun dubbio.
    E allora cosa stava aspettando. Sollevò la zampa sinistra bruscamente, come guidato da pesanti convulsioni ed espirò energicamente.
    "Malefor... Malefor io..."
    Il drago finalmente si alzò, scrutando Axius negli occhi. Drizzò la coda e spalancò per metà le ali, portandosi sotto di lui.
    "Devo costringerti? Almeno capiresti che non c'è altra soluzione e che dovresti sbrigarti"
    Axius si ricompose, tornando nella stoica posizione fisica e mentale del gelido guardiano delle energie fredde, ripoggiando la zampa a terra.
    "No, non ce n'è bisogno. Ma lascia che ti dica solo una cosa"
    "Ho già ascoltato troppo, troppe parole. Voglio che finisca quì, adesso. Altrimenti non finirà mai più"
    "Si, esaudirò il tuo desiderio. Ma sappi che così facendo spezzerai il cuore di Neiry"
    A quel nome Malefor per un impercettibile istante bacillò, mentre come una saetta impazzita i suoi pensieri si volgevano alla dragonessa sua amica. No, era qualcosa di più di un'amica ed era proprio a quello che aveva pensato in quelle ultime ore: aveva trovato una famiglia e dei fratelli, perché non essere felici.
    Eppure era stato proprio il dubbio di poter cedere a quella radiosa prospettiva che lo aveva spinto a rimuovere ogni cosa, a divenire un automa privo di sentimenti ed emozioni, così da rendere a lui e ad Axius tutto più facile; ma all'udire il nome di Neiry rischiò di precipitare ancora nel ricordo dell'abbraccio di quel giorno. Così caldo, soave, troppo simile a quello di Lehr.
    “Lei ti vuole bene, più che a qualunque altra creatura vivente. Tu per lei sei molto importante e sente su di sé la responsabilità del tuo futuro”
    Malefor replicò senza esitare, nonostante la sua anima fosse in frantumi.
    “Allora dille che se davvero mi vuole bene, non dovrà piangere per me e per le scelte che io stesso ho fatto”
    La sicurezza del drago viola non lasciava spazio a nessun ripensamento, neanche un’impercettibile breccia nella sua solida corazza di convinzione.
    “È quindi questa la tua scelta?”
    “Si” Mormorò Malefor, voltando lo sguardo altrove.
    “Cosa stai guardando”
    “Niente” Rispose Malefor, immobile. “Ti sarebbe difficile colpirmi mentre ti guardo”
    Il guardiano del ghiaccio si sentì sopraffare da qualcosa più grande di lui, da una sensazione di pura inquietudine. Non riusciva più a vedere un motivo valido per uccidere Malefor, benché sapesse cosa avrebbe comportato non farlo.
    No, prima la salvaguardia del tempio, dell’equilibrio degli elementi e dell’intero regno. Non poteva anteporre un suo capriccio o debolezza personale al suo ruolo di guardiano.
    Avanzò, ormai non aveva più dubbi, era pronto. Era a pochi passi dal corpo del draghetto quando questo si voltò di scatto, osservandolo con occhi furenti.
    Per un istante pensò che volesse attaccarlo, che ci avesse ripensato; si rese poi conto che non era a lui che Malefor aveva diretto quell’occhiata colma d’ira.
    “Giù!” Gli gridò il cucciolo, gettandoglisi incontro e salvandolo dall’impatto con una saetta azzurrina che invece centrò in pieno proprio Malefor e lo scagliò a terra, frastornato.
    Dalle fauci di Axius scaturì un profondo ringhio. Irritato dalla consapevolezza che non poteva esser stato altro che Siil si voltò, ignorando le sue vere intenzioni.
    “Non avevamo deciso che saresti dovuto sopravvivere fino a domani?”
    Come? Cosa significava? Axius guardò Malefor che nel frattempo si stava rialzando, chiedendo silenziosamente spiegazioni, venendo del tutto ignorato.
    “Io non ho deciso niente con te, non avrai pensato che avessi creduto alla tua storia vero?”
    Siil scoppìò in una fastidiosa e stridente risata, avvicinandosi incurante della presenza di Axius.
    Era come se il drago del ghiaccio non esistesse, invischiato al centro di un sibilante scambio di sguardi avversi e furiosi.
    “Sei un povero sciocco. Ti sei fatto avvindolare da questa massa di pezzenti invece di ascoltarmi. Ti sei lasciato domare come un cuccioletto indifeso privo di volontà”
    “Taci! Eri tu a volermi avvindolare, ma il cuccioletto non è stupido come credi!”
    Siil inclinò il muso e curvò le labbra in un ghigno.
    “Capirai a breve che sei più stupido di quanto immagini. Ma se la metti così… farai la fine di tutti gli altri”
    Malefor si drizzò sulle zampe e sollevò il muso in segno di sfida.
    “Staremo a vedere”
    Un’altra orrenda risata.
    “Non montarti la testa cuccioletto… sarai più forte di ogni altro drago al mondo ma non sfuggirai alla distruzione totale”
    Fu Axius che, dopo essersi ripreso, interruppe la conversazione gettandosi addosso a Siil e artigliandolo alla gola con violenza. Lo scatto fu così rapido che neanche Malefor era stato in grado di prevederlo.
    Il draghetto provò una certa soddisfazione nel vedere quanto l’arto fosse sceso in profondità nel collo del drago dorato. Quasi rabbrividì nel pensare che quel colpo probabilmente sarebbe stato inferto anche a lui, ma la cosa non lo turbava estremamente.
    Era più preoccupato da ciò a cui aveva appena assistito: non certo per il sangue che colava copiosamente dalle scaglie di Siil, lui era arrivato anche oltre; piuttosto per il modo in cui quella scena gli si era presentata così dannatamente cruda e spontanea, improvvisa ma fluida.
    Axius estrasse bruscamente gli artigli e li ritrasse con forza, caricando un secondo e definitivo fendente.
    Malefor temeva di vedere quelle unghie trapassare letteralmente il guardiano del fulmine da parte a parte, ma il colpo inflisse una ferita simile alla precedente, stavolta completando l’opera.
    Le zampe di Siil si afflosciarono, non dandogli neanche il tempo di proferire una sola parola. Solo il solito ghigno, infame, vigliacco.
    Quell’attimo restò cristallizzato per quasi un intero minuto, trascorso in un infinito scandire di secondi cupi e lenti, imprescindibilmente lenti.
    Solo quando fu Malefor a muoversi il ghiaccio che aveva congelato l’atmosfera si sciolse.
    “Era così necessario?”
    Axius non rispose, il capo chino e il corpo di pietra che lo rendevano in tutto e per tutto simile ad una statua. Altri secondi passarono, finché una nuvoletta d’aria fresca uscì dalle narici del gelido drago azzurro, il quale iniziò a raschiare il terreno lentamente. In breve si formò una larga voragine, in cui con pochi gesti statici e malinconici rovesciò il corpo esanime di Siil, ricoprendolo senza degnarlo neppure di un ultimo sguardo.
    “Si lo era. Era da tempo che tutti aspettavano l’occasione in cui si sarebbe rivelato per quello che già in passato era stato. Speravo che con il tempo ci saremmo ricreduti sul suo temperamento… invece non ha fatto altro che confermare le nostre ipotesi, giorno dopo giorno. Con lui in vita non si sarebbe mai potuti stare tranquilli”
    Tranquilli… era quello quindi che cercavano. La tranquillità, non la pace. In un mondo in cui esisteva l’odio non si poteva assurgere alla vera pace
    No. A Malefor non era piaciuto quel gesto. Eppure detestava Siil… per lui non aveva mai rappresentato niente se non qualcuno che gli aveva instillato false speranze per qualche ora. Ma c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che gli fece vorticare la testa impetuosamente.
    Di nuovo. Ancora una volta la sua visione della realtà si stava distorcendo.
    No, Axius non doveva eliminare un suo compagno, per quanto quel termine fosse inappropriato, in quel modo così gelido e indifferente.
    No.
    “Quindi è così che funzionano le cose. La minaccia… va estirpata”
    Notò sul muso di Axius qualcosa di vagamente simile ad una vena spazientita.
    “Avrei dovuto farlo tempo fa, ma non ci aveva dato motivo di prendercela con lui. Adesso ci ha attaccati e minacciati, penso sia abbastanza”
    “Io non ti ho attaccato ne minacciato. Eppure… vuoi fare lo stesso con me. Lo vogliamo entrambi… com’è strana la sorte”
    Axius volse lo sguardo al cielo stellato, cercando risposta in quei puntini scintillanti che eterni scrutavano nella loro imperturbabilità quel piccolo e sciocco ammasso di lotte e conflitti.
    Insignificante di fronte alla loro infinita distanza, un pezzo di terra bruciato dalle follie dell’odio.
    Restarono piantati al terreno cercando qualcosa a cui non vi era risposta, mentre una debole brezza notturna spirava attorno ai loro corpi.
    Da una parte un cucciolo dal cuore stremato a causa della sua storia, dall’altra un drago con il compito più ingrato che quell’oscuro destino avrebbe potuto assegnargli.
    “Quando si crede di aver in mano qualcosa e si scopre di non avere nient’altro che cenere… viene voglia di essere sparsi al vento assieme ad essa”
    Era così, Axius pensava di avere la forza sufficiente per adempiere al suo ruolo, ma non ne aveva.
    Un boato proruppe tutt’attorno, proveniente senza alcun dubbio dal tempio.
    Un boato innaturale, niente che potesse venir ricondotto all’accenno di un terremoto, al crollo di una parete o ad una qualche esplosione di entità superficiale.
    Anche gli alberi sembrarono tremare, qualcosa di tremendo e sconcertante stava per avvenire.
    Qualcosa che anche il più sperduto angolo del pianeta avrebbe dovuto temere.
    Il suolo venne scosso da un fremito, come se l’intero universo stesse sussultando. Malefor guardò in basso, sconvolto, dove temeva si sarebbe potuta formare una voragine da un momento all’altro, dato l’improvviso manifestarsi di quell’energia senza precedenti.
    “Cosa… sta succedendo?”
    Axius, meravigliato quanto lui, non seppe dare alcuna risposta a quell’inspiegabile evento.
    I suoi pensieri si gettarono subito a Neiry, a Ignitor e a tutti i draghi nel tempio.
    Nessuno poteva aver scatenato qualcosa di simile, neanche lo stesso Malefor, che improvvisamente aveva concentrato tutto se stesso nel decriptare quella fonte di potere occulta.
    Era spaventato, e la cosa era strana. Non aveva avuto paura di morire, ma in quel momento qualcosa lo turbava.
    Tutt’ad un tratto, in seguito ad un successivo scossone, un piccolo cratere si formò a pochi metri da lui, lasciando fuoriuscire uno schizzo di magma incandescente che per poco non lo incenerì. Indietreggiò rapidamente, mentre Axius osservava sbalordito ciò che stava accadendo: ovunque si stava scatenando l’inferno, e lo preoccupava il fatto che tutto quel caos si stesse concentrando attorno alle fondamenta del tempio.
    Perché mai stava avvenendo? Una punizione dell’Aedo forse?
    Quando un’ipotesi gli balenò in testa per poco non svenne. Si sentì quasi mancare, mentre la sua espressione si faceva quella di un insetto di fronte ad una montagna che gli sta cadendo addosso.
    “Distruzione totale… no… non può essere”
    Si pietrificò, i suoi muscoli divennero così rigidi che neanche la sua solita calma potette nascondere il terrore che lo travolse. Si rese conto solo in quel momento di non aver mai sperimentato l’angoscia più assoluta.
    “Maledetto…”
    “Cosa? Cosa succede!”
    Malefor invece, ignorando ancora lo svolgersi della realtà, non potette far altro che innervosirsi.
    “Cos’è che sta scatenando questo putiferio!”
    Axius sospirò. Un sospiro rassegnato, spento.
    “Il cuore del mondo”
    “Il cuore del mondo?”
    “Il punto in cui confluiscono e da cui provengono tutte le energie che compongono il nostro mondo. Io… non posso crederci… si sta sovraccaricando”
    Ne sapeva quanto prima, ma qualunque cosa fosse non gli piaceva, per niente. Il drago viola spiegò le ali e senza pensarci due volte corse in avanti, gettandosi in volo verso Neiry e i suoi amici.
    Non dovevano essere in pericolo; anche se non capiva quale arcana potenza si celasse dietro a quella devastazione non poteva permettere che accadesse loro qualcosa.
    Sarebbe stato il suo ultimo gesto per loro, per ringraziarli.
    Trascorse meno di qualche istante che vide delle sagome alate avvicinarsi nell’ombra, udendone le membrane spingere con forza l’aria, nella direzione opposta alla sua.
    “Malefor!”
    Vide Ignitus scendere di quota e gettarglisi incontro, impossibile capire cosa provasse. Troppe le emozioni di entrambi, troppo improvviso e inaspettato quell’ultimo capriccio del male.
    “Ma dov’eri finito!”
    Malefor scosse la testa.
    “A dopo queste cose. Cosa significa che si sta sovraccaricando il cuore del mondo?”
    “Per tutti i divini, allora è davvero questo che sta succedendo! Axius era con te?”
    “Si. Mi ha appena spiegato lui di questo cuore del mondo”
    “Ma… cosa stavate facendo”
    Cosa avrebbe dovuto rispondere? Ma soprattutto… avrebbe dovuto rispondere?
    Stavamo decidendo se uccidermi o meno… questo doveva dire?
    “Doveva parlarmi. Eravamo impegnati in una conversazione un po’… particolare, quando tutto è iniziato a scoppiare nei dintorni”
    “Io cre…”
    Una colonna di fuoco spuntò istantaneamente dal terreno che si squarciò. Si diresse furiosa verso i due , i quali vennero salvati in tempo dal tempestivo intervento di Glaider e Solaris, che cozzarono rispettivamente con Ignitus e il drago viola, allontanandoli a sufficienza.
    Nessuno dei quattro riusciva a proferire parola, quello spettacolo era terrificante.
    Restarono quasi un intero minuto sospesi in aria a scambiarsi occhiate confuse, ad ascoltare il fremito del terreno per non rischiare un'altra volta e a sperare che tutto finisse al più presto.
    Salirono di qualche metro, fin dove le loro ali lo consentivano, fin dove la notte si estendeva infinita e ormai spaventosa.
    Sembrava di perdersi nel buio senza stelle e senza confini, allontanandosi dalla fine del mondo che pareva imminente. Videro che le esplosioni si erano propagate anche nei luoghi vicini e probabilmente anche altrove, non riuscendo a capire il perché di quel disastro.
    “Cosa facciamo” Chiese Ignitus, abbassando il muso.
    “Francamente capo…” Fece Glaider, accennando quello che sarebbe dovuto somigliare ad un sorriso disperato, “penso ben poco. Se qualcuno ha davvero intaccato il centro delle forze del pianeta siamo finiti”
    Malefor lo fissò, iniziando ad assemblare qualche pezzo.
    “Qualcuno? Quindi qualcuno è la causa di tutto ciò?”
    “Beh eccetto che in seguito ad un evento naturale di dimensioni gigantesche… il mondo non inizia a disgregarsi in questo modo”
    Poche furono le immagini che gli balenarono in mente: Cristalli viola, energia, Flarendor, quell’infame di Siil.
    Era quindi quello il loro addio. Anche ora che entrambi non c’erano più volevano lasciare quel bel ricordo.
    “Dovrai prestarmi… un po’ di energia”
    Era a quello che l’energia sarebbe servita… a distruggere tutto e tutti? E perché allora stava avvenendo comunque? Aveva compreso sin da subito che nelle parole di Siil c’era menzogna, ma non avrebbe mai pensato a un risvolto del genere.
    Gli scombussolati pensieri di tutti vennero interrotti dall’arrivo di Neiry da una parte e di Axius dall’altra. I due draghi si incrociarono in volo, fermandosi uno di fronte all’altro.
    Si scambiarono poco più di una decina di parole, poi si diressero verso di loro. I loro amici giunsero subito dopo, capeggiati da Ignitor che aveva perso la sua feroce baldanza.
    Tutti avevano risentito moralmente di quel potente colpo, stava per avverarsi un evento che avrebbe mutato radicalmente il flusso della vita.
    Fu Axius a parlare, in nome di tutti, in nome del ruolo dei guardiani di proteggere la pace.
    “Tutti voi allievi… è successa una cosa molto grave. Il guardiano del fulmine, Siil… ci ha traditi. Il maestro di alcuni di voi… un tempo alleato con il più perfido drago della storia, in un ultimo atto di follia ha deciso di porre fine al mondo. È dura doverlo affermare così crudamente, ma purtroppo è quello che sta succedendo. Anche se… forse non è tutto perduto”
    Nessuno respirava. Con il fiato sospeso attendevano che una possibile soluzione venisse enunciata, pregando nell’aiuto dell’Aedo.
    “Il cuore del mondo non ha abbastanza energia per innescare la distruzione totale, ma dobbiamo fermare il processo altrimenti avverrà comunque. Il cristallo che sorregge il pianeta necessita di una grande energia, quindi per portarlo al limite massimo ne serve una grande quantità, che per fortuna non è stata ancora raggiunta. Possiamo fermarlo… vi chiedo di seguirmi, possiamo raggiungere il luogo in cui si trova da una cavità situata al disotto del tempio”
    Tutti annuirono, pronti e decisi se pur visibilmente scossi.
    “Andiamo!”
    Fecero per planare verso la loro imponente dimora, quando un’eruzione più violenta delle precedenti colpì la facciata principale e distrusse gran parte delle colonne, che sprofondarono nelle crepe formatesi sul terreno circostante.

    ***

    Quella discesa di calore e paure era qualcosa che nessuno aveva mai provato prima. Neanche gli stessi guardiani si erano mai dovuti spingere fino a quel punto e adesso erano lì: anche una distrazione sarebbe potuta risultare fatale; il percorso per raggiungere il cristallo da cui tutto aveva origine era spaventosamente simile alla discesa verso gli inferi, perché è lì che temevano di finire.
    Giunti a destinazione con il timore di essere arrivati troppo tardi, si trovarono di fronte ad una scena incredibile: il grosso cristallo pulsava energia come un cuore fa con il sangue, irradiando e sprigionando luce naturale e energia purissima. Lo stormo di draghi atterrò, disponendosi a cerchio.
    “Siamo arrivati”
    Fu Malefor a prendere parola, anche se pensava di conoscere la risposta alla domanda ancora prima di farla.
    “E ora…?”
    Il profondo gorgoglio della lava e del magma ribolliva come il ruggito di una bestia furiosa, mentre nuove e sempre più intenze sferzate bollenti si scagliavano verso l’alto.
    Axius sollevò il muso, indirizzando lo sguardo più al cielo lontano e invisibile che ai draghi a lui antistanti.
    “Adesso dobbiamo contenere l’esplosione. Noi…” Il guardiano del ghiaccio osservò Ignitor e Neiry al suo fianco. “Non siamo sufficenti. Purtroppo l’assenza di un guardiano compromette l’equilibrio dell’energia e… noi da soli non potremmo mai farcela. Quindi…”
    Fece una piccola pausa,. Non serviva che aggiungesse altro, ma dovette concludere la frase. “Anche se ci piange il cuore nel farvi questa richiesta… abbiamo bisogno del vostro aiuto”
    Malefor si portò fuori dal gruppo, avvicinandoglisi.
    “Posso prendere io il posto del guardiano del fulmine”
    “No. La tua forza unita alla nostra avrebbe l’effetto opposto, invece di contenerla la espanderemmo. La tua energia è troppo grande”
    “E allora…”
    Neiry sfiorò Axius con la coda.
    “Infondo è ciò che volevi…”
    “Cosa?”
    Il guardiano del ghiaccio si inabissò nelle iridi splendenti della dragonessa, tristi quanto fiere.
    “Lascialo provare”
    “Lui… ma…”
    “Da solo”
    Malefor sorrise. Si, era quello che voleva. Neiry l’aveva già capito.
    Se la sua forza sommata a quella degli altri guardiani sarebbe stata eccessiva, la sua sola forza, in cui convergeva ogni elemento, sarebbe riuscita a convogliare un potere abbastanza violento e stabile da evitare la catastrofe.
    Axius non rispose. Quella soluzione gli era giunta alla mente ma addossare tutto sulle spalle di malefor significava averlo mantenuto in vita fino all’ultimo solo per sfruttarlo.
    Axius aveva deciso di porre fine alla sua vita, ma non per crudeltà. Quel gesto gli sembrava un insulto.
    “Tranquillo” Asserì Neiry, quasi serena. “Farà volentieri questo per noi. Non è così?”
    Allungò il collo verso quello che per lei era ancora il cuccioletto di qualche anno prima, che aveva visto crescere e migliorare giorno dopo giorno. Era suo figlio. Malefor, il drago viola, una leggenda divenuta realtà.
    “Lo farò” Rispose lui, annuendo.
    Axius e Ignitor si persero in una breve comunicazione paraverbale, fatta solo di espressioni di stupore e di meraviglia.
    Nessuno se l’aspettava tranne Neiry. Accadde però qualcosa di totalmente inaspettato persino per lei.
    Solaris, con quello che somigliava al ringhio più furente della storia dei draghi, avanzò contro Malefor, che si voltò a scrutarla.
    Non credeva che l’avrebbe mai vista adirata in quel modo. E poi per cosa?
    Non pose alcun quesito, lasciò che fosse lei a parlare.
    “Cos’è questa storia. Ho capito bene? Tu vuoi sacrificarti per noi?”
    Malefor assentì e le sue ali scivolarono verso il basso, come se avesse esternato tutta la tenzione accumulata fino a quel momento. Nel vederla, così vicina, aggressiva e soprattutto viva… provò una sorta di strana felicità interiore.
    Come tutti gli altri anche lei meritava di vivere serenamente un futuro radioso assieme ai suoi compagni.
    “Tu non hai alcun diritto di decidere questo!”
    A quelle parole Malefor spalancò le palpebre.
    “Solaris… era già stato deciso che io avrei dovuto lasciare questo mondo. Perdonami ti prego… non posso vivere nello stesso luogo in cui vivete voi. Nel vostro stesso mondo… io sono un drago viola, e il mio destino non ha niente a che vedere con quello di ogni altro essere vivente. Per questo avevo già deciso di porre fine al dolore che avrei potuto causare, perché è così… non sono stato abbastanza forte come tutti voi avete creduto. Scoprire e riesumare cose che non sapevo o avevo scordato… mi ha deteriorato più di quanto io voglia ammettere. Per ciò… lasciami andare”
    La draghessa dalle scaglie blu restò un attimo in silenzio, poi scattò in avanti e gli mollò una zampata sotto al mento, scagliandolo a terra.
    “Non funziona così. Non puoi prenderti questa responsabilità!”
    Con il muso dolorante Malefor tornò in piedi, con un filamento scarlatto che gli spuntava dal labbro inferiore.
    “Ho fatto la mia scelta” Sentenziò.
    “Anch’io… anche noi”
    Nel dirigersi di nuovo di fronte all’amica sentiva come se dovesse aspettarsi un altro colpo, ma avanzò ugualmente.
    Si arrestò solo quando lei ricominciò a parlare.
    “Hai sofferto molto Malefor. Noi non siamo niente in confronto a te. E se hai dimostrato a tutti noi che il male può essere sconfitto con la purezza d’animo… lo dimostrerai anche ad altri. Tu vuoi sacrificarti in nome della resa alle tenebre, io in nome dell’amicizia”
    Malefor deglutì. Un groppo in gola gli impedì di restare legato alla realtà e una serie di immagini gli si pararono davanti, frastornandolo.
    Rivide la grotta in cui era cresciuto, al buio, circondato da pareti calcaree impenetrabili che rappresentavano la sua casa e la sua gabbia.
    Rivide Flarendor, i giorni trascorsi ad allenarsi, quelli trascorsi a cacciare e a riposare dopo lunghe fatiche e ore di sofferenza fisica o mentale.
    Rivide il giorno in cui decise di andarsene, la volta in cui incontrò i suoi nuovi amici, assieme a cui conobbe anche la felicità.
    Lo scontro con il golem, la presenza al cospetto dell’Aedo. L’ultima battaglia, ciò che aveva decretato la rottura definitiva con la creatura che era stato fino a quel momento.
    La gioia aveva sostituito il dolore, ora finalmente poteva affermare di conoscere le emozioni, le sensazioni di quiete, timore, allegria, tristezza, amore.
    Era diventato qualcuno. E poi il sogno, Neiry, i suoi genitori, Siil…
    Solaris, il cuore del mondo.
    La sua storia gli pareva degna di un finale come quello. Ma i valori per cui desiderava lottare gli erano avversari per la prima volta.
    Era l’amicizia che l’aveva legato a Ignitus, a Glaider e a tutti gli altri che cercava di frenarlo.
    Solaris indietreggiò impercettibilmente e l’assenza mentale del drago viola bastò perché il segnale venisse recepito e sfruttato.
    Ignitus e Terrador, seguiti da Zell e da altri due draghi che Malefor non riconobbe a causa della nebbia mentale che ancora non si era interamente dissolta, gli piombarono addosso e lo serrarono in una morsa ferrea e vigorosa.
    I guardiani non mossero un dito, ignorando il motivo di quella situazione e di quel gesto e restarono basiti ad osservare i draghi che bloccavano a terra gli arti di Malefor e esercitavano tutta la loro forza in qualcosa che andava contro loro stessi.
    Non volevano attaccare il loro compagno, ma non avevano altro modo diattuare cosa avevano deciso nell’arco di pochissimi istanti.
    Malefor non capiva, tutto ciò per lui non aveva senso. Se non fi fosse sbrigato sarebbero saltati in aria.
    Tentò inutilmente di divincolarsi, ma più pressione faceva più si sentiva schiacciato. Quella era la forza della convinzione dei suoi amici, più possente della sua.
    “Andate via! Lasciatemi!”
    Con un ennesimo scossone riuscì a liberare la testa, trovandosi di fronte il muso di Ignitus. Il suo migliore amico, che aveva anche rischiato di uccidere per errore, adesso voleva salvarlo.
    “Mi dispiace Malefor, ma non ti posso lasciare, faresti una sciocchezza. Solaris ha ragione”
    Con la coda dell’occhio vide avvicinarsi Glaider, con la stessa fermezza e determinazione che aveva scorto prima in Solaris.
    “Io vado con lei”
    Ignitus Annuì, mentre con le zampe anteriori continuava a trattenere Malefor.
    “Si… ciao amico”
    Glaider gli diede un colpetto di coda sulla spalla come in seguito ad una delle loro zuffe, poi trottò verso Solaris e il gruppo dei loro compagni, nessuno che mostrasse un minimo segno di indecisione o ripensamento.
    A dividerli dalla distruzione totale non vi erano che pochi secondi.
    Neiry spalancò le ali e corse verso il gruppo, ma un alone di energia incoronò il cristallo attorno a cui i draghi si erano disposti, prorompendo in un bagliore accecante.
    “Noooo!”
    Il grido di Malefor echeggiò lungo tutto il condotto magmatico, mentre Ignitus e gli altri vennero sbalzati via dal suo impeto di rabbia.
    Si lanciò verso la luce, ma Neiry lo afferrò al volo e deviò traiettoria, avendo compreso che non c’era più niente da fare per loro.
    Un’esplosione.
    Bianco, soltanto bianco. Poi nero, soltanto nero.
    Il boato deflagrò zolle di terreno tutt’attorno, l’aria s’incendiò e d’improvviso, come in seguito alla più cruenta delle tempeste, fu il silenzio.
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    Capitolo15: ricorda... che ti vogliamo bene.

    Le ali e la coda abbandonate, il corpo inerte. Solo la sua testa era perfettamente dritta, sicura, quasi imponente.
    Era uno strano contrasto quello tra il suo muso e il resto del corpo, sembrava che parte di lui si fosse atrofizzata e parte no.
    Sul torrente che scivolava placido davanti ai suoi occhi andavano man mano formandosi volute di luce zampillante, regalate dal riflesso del sole che si divertiva a giocare con la trasparenza dell’acqua.
    La sua immagine era mossa dallo scorrere dei piccolissimi flutti che distorcevano il suo riflesso, senza un minimo accenno di volersi fermare.
    Un tempo si era specchiato in quel modo in un lago dopo aver cacciato, e in se aveva scoperto di poter trovare luci e ombre.
    Adesso era proprio come il torrente lo mostrava: senza forma, senza sostanza.
    Cos’era rimasto? A cos’era servito tutto ciò? Perché? Perché lui era lì?
    Cosa aveva significato il suo cammino? A cos’era arrivato per aver creduto nell’amicizia?
    Cosa gli restava? Batté una zampa sulla superficie acquea e un basso ringhio si fece spazio dalla sua gola per risalire verso le sue zanne, le quali si mostrarono al mondo senza neanche che lui lo volesse.
    Richiuse le labbra e si immerse nel liquido fresco, bagnando quel poco del corpo che riusciva a far sprofondare. Anche standosene disteso le sue corna e le ali restavano all’esterno, ma gli bastò sentirsi inglobato per qualche istante, come se l’acqua potesse separarlo dalla realtà.
    il soffice suono del ruscello in movimento, quello degli uccelli che festeggiavano il mattino e quello della brezza che scompigliava le chiome degli alberi in quel momento gli fu estraneo, o comunque ovattato.
    Restò in quella strana posizione per un tempo che non era convinto di voler decifrare, più restava immerso più i suoi pensieri nella sua testa si distendevano.
    Gli sembrò di flettere la sua stessa mente e adagiarla su un tappeto di soffici petali neri, nel quale piacevolmente si lasciò affondare.
    Perché quei petali erano neri… Perché erano così comodi… e perché non aveva alcuna voglia di alzarsi?
    Era troppo, davvero troppo confortevole. Non erano petali però… forse piume. O forse qualcos’altro, non aveva molta importanza, ma erano scure, molto scure. Se possibile, più scure del nero stesso, neanche i corvi potevano vantare un piumaggio così buio.
    Ancora i suoni e le percezioni erano sommessi, attenuati dall’acqua che lo lasciò andare solo dopo qualche minuto.
    Si rimise in piedi lentamente, senza squotersi per scrollare via di dosso ciò che era rimasto del bagno.
    Quello che gli sembrava strano era che il canto degli uccelli, come la quiete della natura, continuavano ad apparirgli lontani, inarrivabili.
    Un sogno forse? No, era realtà, solo realtà, cruda realtà.
    E quella coltre nera era frutto di un sogno? No, la sua realtà.
    Udì dei passi in avvicinamento alle proprie spalle.
    Non si voltò, non si mosse. Lasciò che Ignitus gli si avvicinasse fino a sfiorarlo quasi con il naso sul dorso.
    “Posso parlarti?”
    Malefor non mosse un solo muscolo. Non batté le palpebre, non accennò una qualche frivola risposta.
    “Per favore”
    A quel punto il drago viola si voltò, semplicemente, senza trasudare una sorta di emozione. L’altro trasalì nell’incrociare il suo muso: niente lo distingueva dal solito, ma nelle sue fauci e nei suoi occhi qualcosa di invisibile a uno sguardo superficiale era comparso.
    “Volevo… dirti che…”
    Si bloccò. Non sapeva come proseguire, e a Malefor non interessava.
    “Non è stata colpa tua”
    “No infatti”
    Quelle due semplici parole bastarono a scioccare Ignitus, che già conosceva il seguito. “La colpa è tua”
    Il suo tono di voce era alienato da qualunque tipo di sentimento, una melodia atona e pallida.
    “Si. Ti concedo di punirmi come meglio credi”
    Malefor distolse lo sguardo, tornando ad osservare l’acqua.
    “Vattene Ignitus”
    “Aspetta… n…”
    “Vattene”
    il drago del fuoco si lasciò andare ad un leggero sospiro, che troncò con un nuovo tentativo di dialogo.
    Questa volta però desistette nel trovarsi a pochi millimetri dal muso di Malefor, che aveva visibilmente abbandonato ogni forma di raziocinio.
    “Credo che al prossimo avvertimento, tu possa farti male”
    “E allora così sia. Ma cosa pensi di risolvere? A cosa pensi che porti l’odio? Tutta questa violenza?”
    Malefor indicò con un artiglio il suo stesso collo muscoloso.
    “A questo”
    Ignitus impiegò diversi secondi per metabolizzare la risposta.
    “Non riesci a vedere niente oltre a te stesso quindi…”
    Malefor annuì.
    “No, niente”
    “D’accordo”
    Le cornee del drago cremisi si inumidirono, mentre dava le spalle all’amico e a passi pesanti si allontanava.
    “Ignitus…” Disse Malefor, richiamandolo.
    Lui si voltò.
    “Dimmi”
    “Un giorno… lontano o vicino non lo so… me la pagherai”
    Il suo cuore perse un battito, paralizzandolo sul posto. Riuscì tuttavia a formulare una risposta.
    “Aspetterò”
    Con quelle ultime parole se ne andò definitivamente, facendo sì che anche quell’ultima manciata di sabbia si sgretolasse e si disperdesse nel rombo del vento.
    Contemporaneamente si mosse anche il drago viola, iniziando a camminare verso quello che era rimasto del tempio, adesso in ricostruzione.
    Erano già trascorse due notti da quando aveva rischiato di dover assistere alla distruzione del mondo, notti che avevano abbracciato ore di luce vuote, del tutto superflue.
    Non era neanche convinto di averle vissute, le ore di quel giorno.
    Diverse creature stavano dando il loro contributo per rimettere in piedi l’imponente tempio degli elementi, specialmente talpe e scimmie, con cui molti draghi avevano avuto buoni rapporti.
    “Mh… scimmie” Borbottò mentalmente Malefor, mentre procedeva.
    Neiry era in alto, non molto distante, in volo con un blocco di pietra tra le zampe. La guardò adagiarlo al fianco di un’altra pila di lastre lapidee,, e continuò ad avanzare.
    Muoveva un arto dopo l’altro, ogni passo lo specchio del precedente.
    La dragonessa si voltò non appena le fu vicino.
    “Chi sei?” Gli chiese.
    Nessuna risposta. Nessun gesto.
    “Allora?”
    “Ho capito, puoi smetterla”
    “Cosa intendi? Io… non ti conosco”
    “Mi manda tuo figlio”
    Neiry poggiò le zampe anteriori sulla lastra alla sua sinistra, spingendone indietro un’altra con la coda.
    “Ah si? Per che cosa”
    “Per dirti che se n’è andato”
    “E ti ha detto se tornerà?”
    “Mi ha detto che non lo farà”
    Lei alzò gli occhi al cielo.
    “Mi dispiace… tanto. Sai ho cercato in ogni modo di aiutarlo, ma ho fallito. Certo non potevo prevedere cosa sarebbe successo, ma ho agito troppo tardi. Condividevo la sua scelta”
    “Infatti. Ti ringrazio a nome suo per questo” Rispose il drago.
    Neiry replicò sorridendo.
    “Anch’io lo ringrazio”
    “Si”
    Concluso il dialogo, Malefor si allontanò, senza mai più voltarsi.
    L’ultima cosa che udì fu un mormorio sbucare dalle labbra di Neiry.
    Non capì ciò che disse, ma non se ne curò e continuò a camminare.
    Si accasciò ai piedi di un albero lontano dal tempio, molto lontano, per rimediare a quelle notti insonne con qualche ora di riposo, il suo corpo ne aveva bisogno. Non gli ci volse molto prima di inabissarsi Nel sonno.
    Alcuni suoni confusi e mischiati si addensarono in un agglomerato di disegni sfocati, ricordandogli alcune verità che non aveva ancora sepolto.
    “Non è colpa tua, loro hanno scelto di proteggere il mondo, di proteggere te. Perché ti volevano bene. I tuoi compagni hanno dato se stessi in cambio della pace, come avresti fatto tu. Nessuno è stato in grado di fermarli, nessuno poteva prevedere che la loro bontà avrebbe prevalso su ogni altra cosa. Non è colpa tua… o forse si. Lo è. Infondo se non ci fossi stato tu non si sarebbe potuti arrivare ad un pericolo del genere.
    Beh… ma non sei tu che hai voluto questo. Nel guscio del tuo uovo non hai pregato l’Aedo affinché ti donasse un corpo praticamente invincibile, una forza incredibile ed un destino oscuro.
    Ma avresti potuto cambiare questo destino, È colpa tua se hai fallito. Ognuno può scegliere quale strada percorrere.
    Ma infatti tu hai scelto! Si, hai scelto”
    Slittò ancora più in basso nel sonno. Più precisamente si inabissò in una stanza luminosa, luogo che aveva già visitato.
    Ad attenderlo c’erano le stesse creature che aveva lasciato lì l’ultima volta, una accanto all’altra.
    Un draghetto viola ancora giovane, allegro, senza un briciolo d’ombra a tormentarlo nel cuore.
    Un drago più scuro, con gli artigli scarlatti e lo sguardo vagabondo nell’oblio.
    E lui sapeva dove dirigersi. Il cucciolo gli sorrise un’ultima volta, per poi scomparire a grandi balzi nella luce perpetua di quel mondo infinito.
    Adesso anche l’altro drago, per la prima volta sogghignava. E lo invitava ad avvicinarsi.
    Lo incitava, senza segni o movimenti particolari. Semplicemente… lo incitava.
    E lui accettò l’invito.

    ***

    Era forte… era invincibile. Era un drago viola, un drago leggendario.
    Le sue scaglie testimoniavano quello smisurato potere e anni di esperienza avevano accentuato notevolmente le sue capacità.
    Ciò nonostante era stato sconfitto. Effettivamente non si biasimava per niente, era stato il suo palese momento di debolezza ad averlo sconfitto e non la forza dei guardiani i quali, venuti a conoscenza della sua immortalità, erano stati costretti ad imprigionarlo, non avendo altro modo per annientarlo.
    Quel suo piccolo atto di debolezza… non se lo sarebbe mai perdonato. quanto era stato sciocco, aveva pensato di poter dimenticare di aver avuto un cuore. Un’anima, dei sentimenti. Non poteva scordare di aver amato e di esser stato amato. Non poteva dimenticare, per questo gli artigli di Neiry erano riusciti a ferirlo, a penetrare la sua invulnerabilità. Non si era distratto, no. Si era lasciato colpire.
    Così il suo sogno di vendetta sarebbe dovuto essere rimandato.
    Vendetta verso tutto e tutti. Vendetta verso l’odio stesso. Doveva scomparire, non c’era bisogno di quelle spirali d’odio e violenza che avevano portato il mondo ad essere ciò che era: uno sprazzo di terra così precario che il minimo accenno di battaglia poteva mutare in vera e propria guerra.
    Lui avrebbe ripristinato l’ordine primordiale, avrebbe riportato tutto alla sua purezza. Ne aveva la forza, lui era un drago viola; ma prima della creazione sarebbe dovuta avvenire la distruzione.
    Forse anche Flarendor lo pensava, forse anche Siil. Forse solo ora comprendeva il suo gesto.
    E adesso doveva attendere. Intrappolato nel vuoto della convessità non poteva far altro che aspettare, l’anno del drago sarebbe giunto. C’era bisogno di un drago nato allora per potergli restituire la libertà.
    “Mh… scimmie”
    Erano bravi lavoratori, avrebbero lavorato anche per lui. Lui, il maestro delle ombre.
    Un candido lampo abbagliò la sua vista, riportando alla sua mente deteriorata pochi secondi di luce fioca, destinata a perdersi nel nulla come filamenti di ragnatela appesi all’ossigeno nell’aria:
    “Infatti. Ti ringrazio a nome suo per questo” Rispose il drago.
    Neiry replicò sorridendo.
    “Anch’io lo ringrazio”
    “Si”
    Concluso il dialogo, Malefor si allontanò, senza mai più voltarsi.
    L’ultima cosa che udì fu un mormorio sbucare dalle labbra di Neiry.
    Questa volta però capì ciò che disse, distintamente, come se glielo avesse sussurrato nelle orecchie.
    “Ricorda… che ti vogliamo bene”

    ***

    “Io sono immortale!” Una profonda risata cavernosa proruppe dalle sue fauci.
    Spyro e Cinerea si trovavano di fronte a lui, ormai agli sgoccioli. La battaglia era stata dura, quei due draghetti avevano dimostrato una tenacia incredibile. Ma era giunto il momento di porre fine a quella battaglia.
    Sferrò un altro fascio di luce violacea, ma l’alto consumo d’energia e lo sforzo lo sbalzarono contro il cuore del mondo. Impattò con il cristallo, ma si rialzò in fretta pronto a porre fine alla vita dei suoi due avversari, per così poter finalmente realizzare ciò che da anni ormai sognava. Si, il suo sogno…
    C’era del tormento in quella sua folle malvagità.
    Avvenne però qualcosa che non si sarebbe mai potuto aspettare: Gli spiriti di quattro draghi emersero dal grande cristallo e lo trascinarono al suo interno
    “Nooo!” Urlò, mentre scompariva alla vista dei due cuccioli.
    Si sentì risucchiare da quel potere troppo grande anche per lui, al quale dovette cedere.
    Nella sua testa delle voci parlarono.
    “Adesso basta, è finita”
    Era passato molto tempo, ma non poteva dimenticare il profondo rombo della voce di Ignitor.
    “Dimentica l’odio. Come quello che ho provato per te, anche quello che hai provato per il mondo”
    Anche Axius non l’aveva certo dimenticato.
    Continuava a a sentirsi sempre più oppresso dalla pressione del cristallo.
    “Ho commesso un grave errore. Non esistono termini per descrivermi e so che è principalmente colpa mia se sei qui… ma ti impedirò di fare il mio stesso sbaglio”
    Si aspettava ormai qualunque cosa, ma non quella frase dalle labbra di Siil. Maledetto, no non l’avrebbe mai perdonato. Ma che motivo aveva di non perdonarlo infondo… ormai era finita.
    Adesso non mancava altro che l’arrivo di un’ultima voce, La sua voce.
    Ne aveva bisogno. Ormai era finita… ma voleva udirla un’ultima volta.
    “Ricorda… che ti vogliamo bene”

    ___

    evvai, finished! si questa volta finished sul serio...
    maaaa il prossimo sarà l'ultimo capitolo eh? XD
    Cooomunque! Spero vi sia piaciuta alla fine di tutto, ci è voluto un po' ma ce l'abbiamo fatta! Come capitolo finale non è granché in effetti, ma per chi conosce bene la trama di The Legend Of Spyro capirà il perché di mie molte scelte... spero XD


    Dorim se hai perplessità puoi spiegarmele quì, visto che hai commentato in tag. ma se la tua perdita di interesse è dovuta solo alla morte del tuo personaggio preferito e al fatto che c'è un po' di violenza (e in effetti ce n'è abbastanza) non so che dirti.
     
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21 replies since 11/11/2014, 20:45   218 views
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