Mitar

Mitar è un grosso licantropo antropomorfo, con una folta pelliccia di colore grigiastro che tende al nero. I suoi occhi invece sono totalmente rossi ed iniettati di sangue. Il suo addome è muscoloso, non ricoperto dalla peluria. Il manto è quasi sempre sporco di sangue. Su spalle, petto e volto può contare varie cicatrici. Gli artigli come quasi tutto il resto del corpo sono ricoperte dal manto. Le braccia sono lunghe e piuttosto muscolose, seppur non molto imponenti. Invece le gambe sono molto sviluppate, ed è possibile vedere alcune vede pulsare quando si piegano in procinto di spiccare un salto.

Il lupo rinnegato, feroce, orgoglioso e libero. Infrange con semplicità le leggi che vincolano una città, se queste rischiano di incatenare la sua volontà. Tende a seguire un suo personale codice morale, incurante del giudizio altrui. Diffida di stregoni e maghi d’ogni lignaggio, e disprezza l’acqua sopra ogni altro elemento, come testimonia il suo manto sempre lercio.
Spesso vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, incurante di pericoli difronte ai quali altre creature indietreggerebbero, accorando i rischi con un sadico sarcasmo.
Sebbene dimostri di onorare accordi e promesse, la sua natura di lupo lo rende sleale in battaglia.

Invisibilità: Questa dote permette a Mitar di richiamare a se il potere delle tenebre divenendo completamente invisibile all’occhio nudo.

Catene d’ombra +1 : questa tecnica permette alla creatura di generare dalla tenebra delle immense catene dalle estremità aguzze della forma che desidera, con cui imprigionare o tagliuzzare i suoi nemici. Può muovere le catene telepaticamente a suo piacimento.

Clone di tenebra: la tecnica consente alla creatura di genere fino a 2 sue identiche copie, che non saranno più di illusioni viventi, che si dissolvono al contatto.

Ululato del berserker : Durante la notte scatenando il suo ululato, in Mitar viene evocata la furia guerriera. Le sue doti fisiche e capacità amplificate. Forza ,velocità ed olfatto aumentano notevolmente.

Dinamite gravitazionale : Quest'abilità consente a Mitar di generare una roteante sfera d'ombra simile ad un buco nero, che danneggia qualsiasi cosa si trovi nel suo raggio d'azione di circa 5 metri. La sfera ha la capacità di attirare a se qualunque cosa si trovi nel suo campo d'azione. Le creature eccessive dimensioni presentano una resistenza all'attrazione superiore rispetto alle persone normali, o a comuni oggetti. Dopo aver un po' di tempo o dopo che ha ricevuto un violento urto, esplode.

Latrato del buio: Mitar emana un urlo di incredibile potenza che fa insorgere la tenebra annidata nei cuori di chi lo subisce, costringendoli a rivivere le esperienze più traumatiche della loro esistenza in preda a una serie di allucinazioni. L'efficacia varia a seconda del soggetto e di come affronta il trauma.
+1: La forza dell’oscurità pervade l’urlo di Mitar, i bersagli a cui è diretto vengono ghermiti da una sofferenza notevolmente intensificata. Le menti vacillano difronte alla paura, i corpi innermi, compenetrati da un continuo tremare. In alcuni casi può creare danni psicologici permanenti.

Turbinio della bestia: Il potere dell'aria velocizza i movimenti di Mitar, permettendogli di trapassare i suoi nemici con una velocità nettamente superiore al normale.

Passo del Predatore:
Il vento silenzia ogni rumore emesso da Mitar, incluso il lieve l’ondeggiare del ferro sul suo corpo.
Tuttavia se spaccherà un ramo nel suo muoversi, o attaccherà un nemico, quei rumori non saranno occultati, poiché esterni al licantropo.

Essere maledetto sin dalla nascita, è questo che ho sempre pensato.
Mio padre era un Tefzar. In quanto tale mi trasmise la sua maledizione, non l’ho mai voluta.
Era raccapricciante per me, dovermi trasformare ogni notte nella famelica bestia che ormai sono divenuto. Raccapricciante, ed anche doloroso.
Ad ogni mutazione sentivo le ossa uscire fuori dai miei tessuti, mentre questi ultimi si allargavano per ospitare lo scheletro.
Il manto grigiastro mi ricopriva completamente, e la mia mente, come quella di un lupo, bramava la carne. Questo almeno accadeva le prime notti.
Dopo un po’, con l’aiuto del mio branco, riuscì a controllare tali istinti.
Ricordo di avere avuto un rapporto molto stretto con alcuni dei miei fratelli. Cacciavano, correvamo e combattevamo insieme, come il branco che eravamo.
Nonostante come molti, ripudiassi l’orrenda anatema a cui ero stato costretto senza possibilità di scelta, non potevo negare che fosse piacevole.
Il senso di libertà che provavo nel cacciare la preda, inseguendola senza sosta ululando alla luna piena per poi penetrare le sue morbidi carni con le mie zanne, era impareggiabile.
Ma non so perché, il mattino dopo riprese le mie sembianze, mi sentiva in colpa per quello che avevo fatto. Poiché le mie vittime non erano solo conigli e cervi.
Molto spesso mi ero trovato a difendere il branco, e per farlo dovetti trucidare delle persone.
Tuttavia il mio senso di colpa non era derivante da quello.
Quegli uomini avevano invaso il nostro territorio, la morte era una punizione più che giusta.
Quello che mi faceva ripudiare la mia forma lupesca era il fatto che godessi nello sgozzarli. Gli artigli che laceravano le loro armature, tagliavano le loro gole, mentre le zanne penetravano fino all’osso spolpandoli del tutto. Inebriante.
Credevo che se mi fossi lasciato andare troppo, avrei perduto per sempre la mia umanità. Ma fu proprio questa paura a portarmi alla condizione in cui sono ora.
Fu un membro della Nebbia Argentata a propormi la cura.
All’apparenza non sembrava un tipo degno di fiducia, aveva sempre un ghigno diabolico stampato sul volto. Ma la notizia di una cura era allettante, credevo non esistesse il modo di bandire per sempre questa maledizione.
Ignaro delle sue vere intenzioni accettai, fui uno stolto.
Non fu facile, dire addio al mio branco per sempre. In pochi furono comprensivi.
La maggior parte dissero che ero un traditore, che non meritavo di far parte del branco.
Totalmente ignorante della vera indole del mio guaritore accettai di seguirlo al suo covo.
Egli non mi curò, non appena giunse la luna piena mi fece bere un intruglio dal colore oscuro e con uno strano sapore e poi, il mattino seguente non mi ritrasformai.
Fui destinato a rimanere un licantropo per il resto della mia vita mortale.
Chiesi a colui che sancì come eterna la mia maledizione il motivo di quel futile atto. Fui sconvolto dalla risposta.
Quel vile non mi diede alcuna spiegazione sul suo atto, era evidente che non volesse spiegare i suoi intenti.
In preda ad un impeto di furia omicida ruggì come non avevo mai fatto, dimenandomi nella gabbia con cui mi aveva imprigionato per evitare che fuggissi.
Con tutta la forza che la mia blasfema forma mi donava riuscì a rompere la serratura, ma quando lo feci era già troppo tardi. Utilizzando le sue doti magiche, il mio attentatore era sparito nel nulla.
Dopo un’intera giornata a nascondermi, per evitare di essere ucciso, raggiunsi la sede del mio branco.
E con grande malinconia nel cuore, mene andai dopo qualche minuto.
Fu una decisione rapida e senza obbiezioni. Purtroppo quando il capobranco si esprime, la sua parola equivale a legge.
Li avevo lasciati, non ero degno di restare con loro.
Mi ritrovai a vagare come un nomade per Kengard, non c’era nulla che potevo fare per ritornare con coloro che furono i miei compagni.
Tuttavia vi era un vantaggio in questa faccenda, potevo finalmente allargare i miei orizzonti.
Viaggiare non è facile, ogni giorno e notte mi ritrovavo a lottare per la mia vita.
Un lupo che abbandona il branco viene visto dai suoi stessi simili come un’opportunità. Non solo venni attaccato dagli uomini e dai classici nemici naturali della mia razza, ovvero i Creimvell, perfino i miei simili osavano provare a far sprofondare le loro zanne nelle mie carni.
Ma il demoniaco intruglio che mi aveva condannato, sembrava armi donato anche nuove capacità.
Il mio ululato faceva sorgere dai loro cuori gli incubi più tetri. Incubi che reggevano le redini delle loro menti, portandoli alla follia. Seppur brevemente
Durante il mio viaggio capì cos’era davvero Kengard, un luogo di male dove ognuno lotta egoisticamente per se stesso. Ripugnante, se si pensa a cosa era un tempo.
Ogni volta che sfoderavo gli artigli per difendermi, sentivo la furia bestiale che premeva per essere liberata.
Sapevo di doverla tenere a bada, poiché in quando fui un uomo avevo sempre lottato per questo, per non divenire dentro la bestia che ora sono fuori.
L’unico modo per non impazzire era trovare uno scopo, uno scopo che fu subito chiaro.
Estirpare da Kengard la Nebbia Argentata, che non faceva altro che avvelenarla con le sue futili azioni.
Forse mi sono posto quest’obbiettivo per altruismo verso gli altri abitanti dell’isola, ma la verità è che lo faccio per paura.
Non voglio divenire una bestia selvaggia prima di volontà, che non pensa altro che a mangiare e dormire. Sorte che si preannuncia desiderosa di sposarmi vista la mia permanenza in questa forma lupesca.
Il mio ululato sarà temuto e rispettato per tutta Kengard. E se così non sia, possa la dolce morte darmi il sollievo con un suo bacio.
Il mio manto è macchiato del sangue di molti, e sto cominciando a provare orgoglio.
Ormai devo dire addio a qualunque uomo io sia stato in passato, ed abbracciare la mia natura.
Ma non lo farò per divenire un macellatore privo di senno. Con le mie gesta porterò orgoglio alla razza dei licantropi, e forse un giorno se lo vorrò ancora, potrò tornare al mio branco.