Le età dell'uomo: non è tutta colpa di Pandora!

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    Il drago azzurro che puzza di pesce

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    Dall’età dell’oro:
    DaCortona-Etadelluomo-Oro
    All’età del ferro:
    DaCortona-Etadelluomo-Ferro
    (Opere di Pietro Berrettini, a Palazzo Pitti a Firenze)

    Crono (o Cronos, o Krònos), che i latini identificarono con Saturno, era il più giovane dei Titani e rappresentante del tempo che divora, oltre che protettore dell’agricoltura e dei campi. Si, una simpatica contraddizione, lo so.
    Egli prese per sposa Rhea, nota anche come Cibele, nome della dea frigia chiamata "Madre degli dèi" o la "Grande Madre assoluta ultima e immutabile…".
    Ebbe molti figli: Hestia o Vesta, Demetra o Cerere, Hera o Giunone, Hades o Plutone, Poseidone o Nettuno, Zeus o Giove, Chuck o Norris...
    Un oracolo aveva predetto a Crono che uno dei suoi figli lo avrebbe spodestato, e infatti così fu: venne Zeus a rompere le scatole al caro paparino tanto buono e gentile, il quale aveva regnato su un mondo di prosperità e pace ultraterrena, la cosiddetta Età dell’oro. Regno che gli attribuirà il suo ruolo di protettore delle coltivazioni e della rigogliosa crescita del grano.

    Come il caro Esiodo ci narra nella sua eterna e imprescindibile sapienza, i primissimi uomini, creati dagli dèi, vivevano appunto al tempo di Krono dagli incasinati pensieri. Era questa l'età dell'oro, e il mondo era cullato da un'eterna primavera. La terra produceva spontaneamente i suoi frutti, senza alcun bisogno di essere mossa dal rastrello, o squarciata dai vomeri. Gli zefiri accarezzavano i fiori nati senza seme, le messi e i campi erano sempre gialli di spighe, e fiumi di latte e nettare scorrevano sulla terra.
    Tali e quali agli dèi, gli uomini, rigorosamente maschi, trascorrevano la loro esistenza con animo sgombro di angosce, lontani dalla fatica e dalla miseria. Trascorrevano il loro tempo tra svaghi e danze, in serena allegria. Si nutrivano, semplicemente, di frutta selvatica: bastava loro allungare la mano per raccogliere i doni della natura quali i frutti del corbezzolo, le fragole montane, le corniole, le more attaccate alle siepi spinose, le ghiande che cadevano dalle querce. Bevevano il latte delle pecore e delle capre, e si ristoravano del miele che stillava dalle piante.
    Senza bisogno di giudici e di leggi, essi onoravano spontaneamente la lealtà e la rettitudine. A quel tempo non vi erano villaggi né mura, né gli uomini si combattevano. Ciascuno viveva lieto, nell'ozio, e non conosceva altri luoghi se non quelli in cui nasceva. Non esistevano soldati, né elmi, corazze, o armi di alcun tipo: sconosciuta era la guerra.
    Su questa felice stirpe non incombeva la stramba vecchiaia, ma sempre con lo stesso vigore nei piedi e nelle mani essi conducevano la loro lunghissima esistenza, lontani da tutti i malanni. E quando giungeva per essi il tempo della morte, chiudevano gli occhi, con la dolcezza di chi viene rapito dal sonno. Ma quando Crono fu deposto, anche questa stirpe felice fu nascosta sotto la terra. Per volere del grande Zeús, essi divennero i daímones chrysoí: spiriti terrestri, custodi degli uomini mortali e instancabili osservatori delle loro opere, giuste e ingiuste che fossero.
    Vestiti di tenebra, essi vagavano ovunque dispensando fortuna e ricchezza.

    Per farla breve, a quel tempo non si faceva una mazza dalla mattina alla sera, tutti erano felici e contenti :yea: beati loro. Poi però dovette giungere Zeus a guastare le feste, perché si sa: la pace non può regnare in eterno! Anche se…

    Crono, non potendo uccidere i suoi figli in quanto divinità immortali, appena nati li ingoiava per evitare l’avverarsi della nefasta profezia. Da ciò, infatti, nascerà il suo paragone con il tempo che tutto divora nel suo inarrestabile incedere e nel suo immutabile flusso.
    Rhea, non potendo sopportare la fine di ogni suo figlio, quando capì di starne aspettando un altro discese dal cielo e si nascose in una profonda caverna, Ida, nell'isola di Creta. Qui diede alla luce Zeus, che affidò alle cure delle ninfe; risalì poi al cielo portando al marito, invece che un neonato, una pietra avvolta in fasce, che Cronos subito inghiottì.
    Il dialogo tra i due si svolse tipo così, alla toscana:
    “Amore! Ma chell’è pronto sto pargolo? Ciòffame!”
    “Un sehondo, arrivo! Fammelo coce perbene”
    “Gnamo son du ore he aspetto”
    *…*
    “Boia come gliè croccante, o comettafatto a partorillo?”
    “E te l’aveo detto che bisognaa cocello parecchio, se tussè grullo e untuvvò hapì quando ti parlo unnè miha horpa mia”

    Nel frattempo il piccolo Zeus si stava trastullando di nullafacenza con le ninfe Melissa (o Ida) e Adrastea, e, secondo alcuni storiografi, fu allattato dalla capra Amaltea.
    Ovidio invece, anche lui omnisapiente oltre ogni perché, affermava che Amaltea fosse il nome della ninfa che possedeva due capretti e una splendida capra, considerata l’orgoglio del suo popolo per le superbe corna ricurve all'indietro e per le mammelle ricche di latte, degne di allattare il grande Zeus supremo assoluto e imprescindibile.
    Un giorno la capra si spezzò un corno urtando contro un albero, perdendo metà della sua bellezza (e allooora raaalleeentòòò… tipo la tartaruga della canzoncina).
    Il corno fu raccolto da Amaltea che lo ricolmò di frutta ed erbe e lo donò a Zeus. Anche l'ape Panacride nutriva Zeus dandogli il miele, mentre un'aquila gli portava ogni giorno il nettare dell'immortalità. I suoi pianti erano coperti dai Cureti che battevano il ferro per impedire che qualcuno potesse sentire i suoi vagiti, così che Crono, che ovviamente stava ad ascoltare proprio da quelle parti perché nel cielo non aveva nulla da fare, non potesse udirlo.

    Divenuto grande, come ci dice sempre il sommo Esiodo, Zeus salì al cielo tutto infuriato e, con l’inganno, costrinse il padre a bere un emetico che gli fece rigettare i cinque figli inghiottiti, poi lo detronizzò e prese
    il suo posto di re degli dèi.
    Con il dominio di Zeús, subentrò l'età dell'argento: più scadente di quella aurea, ma di pregio decisamente maggiore del fulvo e successivo bronzo.
    Zeús fece scorrere il mondo attraverso quattro stagioni: la calda estate, l'incostante autunno, il freddo inverno e la breve e timida primavera. Allora per la prima volta l'aria si fece incandescente, riarsa da secche vampate, o pendette in stalattiti di ghiaccio sotto i morsi del vento.
    Una seconda stirpe, di molto inferiore alla prima, visse in questa età. Alcuni dicono che venne creata dagli abitanti dell'Ólympo mentre, Secondo altri, spuntarono dalla terra.
    Nell'età argentea, gli uomini costruirono per la prima volta ripari e abitazioni, per proteggersi dai rigori del clima. La terra venne coltivata e i buoi vennero costretti agli aratri.
    Tale stirpe non somigliava per nulla a quella aurea, né nell'aspetto né nella mente. Gli uomini di questa età rimanevano fanciulli per cento anni, giocando in casa accanto alle madri venerande. Ma quando giungevano alle soglie della giovinezza e diventavano uomini, la loro vita si svolgeva per un tempo brevissimo, l'animo angosciato dalla gelosia e dalla follia. Deboli e litigiosi, trascuravano di onorare gli dèi immortali e di tributare loro sacrifici.
    Zeús, giustamente sdegnato, li scagliò tutti sottoterra perché così gli andava. Trasformati in daímones argyroí, essi divennero i beati degli inferi.

    Zeus quindi dovette generare una nuova stirpe, quella del bronzo, da cui sorsero i veri casini: essa fu tratta dai frassini, e in seguito si disse anche che gli uomini cadessero proprio da questi alberi come frutti maturi. Non mangiavano cibi fatti di farina, ma avevano nel petto un cuore duro come il bronzo; dotati di grande forza, avevano corpo gagliardo e mani possenti. Anche la stirpe bronzea era composta da soli maschi: non necessitavano di una figura femminile per riprodursi, e le uniche femmine di cui avevano esperienza erano le ninfe.
    Fu proprio nell’età del bronzo che Prometeo, il titano amico degli uomini, rubò il fuoco divino per consegnarlo alla razza umana per portare un po' di calore e sollievo tra la gente. Il padre degli dei assoluto ultimo ed incavolato ancor più che mai, decise di punire sia lui che la sua stirpe di amichetti umani: il titano venne incatenato ad una roccia e costretto a sopportare la voracità di un’aquila immortale che continuamente gli sbranava il fegato, mentre agli uomini inviò Pandora, la prima donna, creata con l'argilla dallo stesso Zeus.
    Ella con sé condusse sulla terra uno scrigno che, una volta aperto, avrebbe liberato tutte le più grandi sciagure : la malattia, l'odio, la pazzia, l'invidia, la passione e la violenza. Ad esse, in alcuni miti, si aggiungono anche la vecchiaia e la fatica, ma secondo la visione di Esiodo delle età dell’uomo queste erano già presenti nell’età dell’argento.

    Le era stato detto di non aprire il vaso, e, giustamente, lei lo aprì.
    Il mito completo racconta che Epimeteo, fratello di Prometeo, venne fatto incontrare da Ermes con la donna, di cui si imbaghì immediatamente. Lei non sapeva del vaso inizialmente, ed Epimeteo non gliene parlò fino al giorno del loro matrimonio, nascondendoglielo in casa (genio…). Quando dopo le nozze lei ne venne a conoscenza, spinta da una forte curiosità, iniziò a cercarlo finché non lo trovò.
    Ovviamente, se uno ti dice “non aprirlo” è chiaro che tu andrai ad aprirlo senza alcuna remora, e così infatti fece.

    Con ciò si scatenò il pandemonio più totale, e gli uomini iniziarono a darsi battaglia. Le loro armi erano fatte di bronzo, le loro case di bronzo, i loro manufatti di bronzo e le loro ascelle… sempre di bronzo. Parecchio originali insomma :paninozzo:.
    Sembra che l’età bronzea si sia conclusa con la distruzione totale, vuoi da parte di Zeus con un diluvio random inviato a sterminare gli uomini, vuoi da parte degli uomini stessi che si annientarono l’uno con l’altro con le loro possenti mani (di bronzo).
    Che facce di bronzo! No questa era più pessima del pessimo ^_^
    Si racconta che Zeus fosse sceso tra gli uomini, travestito da mortale, insieme ad Ermes. I due vennero accolti da Licaone, re dell'Arcadia, che con una scelta poco furba imbandì un banchetto a base di carne umana per accertarsi che quelle che si trovava di fronte fossero davvero divinità.
    Inorridito, Zeus mutò Licaone in un feroce lupo, per poi tornare sull'Olimpo e decidere di sterminare l'umanità ormai corrotta per crearne una nuova. Tuttavia depose i fulmini, essendo venuto a sapere da un oracolo che l'universo sarà distrutto dal fuoco, e decise di lasciare il compito alle acque del fratello Poseidone che così poté sommergere il mondo con il celebre diluvio.

    Pandora, dopo aver aperto lo scrigno ed essersi accorta che giusto giusto qualcosa non andava, aveva richiuso il vaso impedendo alla speranza di uscire.
    Quando lo scrigno venne in seguito riaperto dalla donna, un piccolo baluardo di speranza tornò ad esistere fra gli uomini che riuscirono a salvarsi in estremis prima dell’annientamento totale grazie a Deucalione, l'unico uomo che sopravvisse al diluvio.

    Giungiamo dunque, inesorabilmente, ad un era ancora successiva la quale ci viene narrata da Deucalione, figlio di Prometeo e Climene, e Pirra, figlia di Epimeteo e Pandora. Essi saranno infatti l'unico uomo e l'unica donna sopravvissuti alla catastrofe provocata dal dio padre onnipotente Zeus, e loro sarà il compito di ripopolare il mondo a partire da poco più del nulla.
    Chiamata la seconda stirpe bronzea o età degli eroi, che ha preceduto la nostra sulla terra infinita, questa fu una razza di semidei. Ad essa appartengono infatti i grandi eroi di cui narrano le leggende, tra cui i rinomati Perseo, Eracle, Tēseo e giasone.

    In un certo senso non è proprio tutta colpa dell’uomo, né tanto meno di Pandora che poverina è stata mandata a far baldoria, ma degli dei stessi e, in particolar modo, del sommo Zeus. Si nota dunque come l’uomo sia stato destinato, in seguito agli eventi, ad un fato che non gli apparteneva e al quale è giunto a causa di un errore non solamente umano.

    Ed eccoci all’età del ferro, l’ultima delle stirpi, che è la nostra.
    Questa è infatti proprio la più misera epoca, in cui gli uomini si affliggono nella fatica e nella miseria, e trascinano la loro esistenza tra le angosce che mandano gli dèi. Scomparsi la sincerità, il pudore e la lealtà, al loro posto subentrano unicamente gli inganni, le insidie, la violenza e il gusto sciagurato del possesso. Per la prima volta si tracciano confini sul suolo terrestre, prima comune a tutti come la luce del sole e l'aria.
    Gli uomini dispiegano le vele al vento, e i legni degli alberi, che fino a quel momento erano rimasti sulle cime dei monti, danzano ora sui flutti sconosciuti. Si scavano le viscere della terra, estraendone il ferro, dapprima sconosciuto, e l'oro. Quest’ultimo porta ad una potente contraddizione con la prima era, nel quale l’oro, ancora inesistente, viene utilizzato per rappresentare la rarità di un’epoca che mai più esisterà. Nell’età del ferro, lo stesso oro, diverrà causa di guerre sempre più crudeli, di rovine e di sangue. Ma se oggi, in mezzo a tanti mali, sono ancora frammiste anche cose buone, in futuro ogni cosa è destinata a peggiorare ulteriormente.

    Un giorno, infatti, la crudeltà umana raggiungerà il suo culmine: i figli avranno in dispregio i genitori, e questi ultimi non forniranno loro il necessario per vivere; i mariti trameranno la morte delle mogli, le mogli quella dei mariti; i fratelli di rado si risparmieranno; le matrigne mesteranno veleni; gli ospiti non saranno più sacri a colui che li ospita, né gli amici saranno più tali e solidali tra loro.
    Le guerre imperverseranno e le città verranno saccheggiate, all’insegna di una crudeltà infinita. Gli uomini saranno vili, spergiuri, ingrati, violenti. L'uomo buono e giusto non sarà più tenuto in alcun rispetto, ma tutti tributeranno grandi onori ai malvagi e agli ingiusti. Nessun giuramento sarà più rispettato, e degli uomini sarà compagna solo la gelosia, amante del male e dall'odioso aspetto.
    Tutto si concluderà solo se Zeus deciderà di porre fine al dolore, con uno dei suoi deliri d’onnipotenza universale suprema ultima assoluta e definitiva.


    Prometeo:
    Prometeo era figlio di Giapeto e di Climene. In altre versioni come madre, al posto di Climene, viene citata l’oceanina Asia. Una leggenda più antica invece lo considera figlio di un Gigante, chiamato Eurimedonte, il quale lo aveva generato violentando Era; il che spiegherebbe l'avversione di Zeus verso Prometeo.
    Il titano ha cinque coppie di fratelli tra cui Epimeteo ("colui che pensa dopo", a differenza del fratello Prometeo "colui che pensa prima"), Atlante, Menezio e vari altri.

    All'inizio i fratelli erano virtuosi e saggi, ma con il passare del tempo si lasciarono soggiogare dall'avidità e gli dei, per punirli, mandarono una tempesta che distrusse il loro paese. Atlante e Menezio sopravvissero al diluvio e si unirono a Crono e ad altri Titani per combattere gli dei, durante la titanomachia.
    Ovviamente Zeus non ne fece passare liscia neanche una, mandò in esilio Menezio e condannò Atlante a portare il Cielo sulle spalle per sempre. Prometeo si schierò dalla parte di Zeus, consigliando di fare altrettanto al fratello Epimeteo, unendosi alla lotta solo quando oramai volgeva al termine. Come premio ebbe la possibilità di accedere liberamente all'Olimpo.
    Zeus, per la stima che riponeva in Prometeo, gli diede l'incarico di forgiare l' uomo e Prometeo lo modellò dal fango, dopo di che lo animò con il fuoco divino.
    Quando ricevette da Atena e dagli altri dei un numero limitato di buone qualità da attribuire agli esseri viventi, Prometeo si fidò di suo fratello ed assegnò ad Epimeteo tale compito. Egli però cominciò a smistarle a casaccio, distribuendole in maniera priva di buon senso. Alla fine non vi erano più qualità da assegnare al genere umano, ma Prometeo rimediò subito rubando ad Atena uno scrigno in cui erano riposte l'intelligenza e la memoria, che donò agli umani.
    Zeus decise che ciò non gli andava per niente bene e pensò di distruggere la razza umana, non approvava la gentilezza di Prometeo per le sue creature. Considerava i doni del titano troppo pericolosi perché gli uomini in questo modo sarebbero diventati sempre più potenti e avrebbero messo a rischio la supremazia delle divinità.
    A quell'epoca gli uomini erano ammessi alla presenza degli dei, con i quali trascorrevano momenti conviviali di grande allegria e serenità.
    Durante una di queste riunioni i commensali si sarebbero dovuti cibare di un enorme bue, del quale metà doveva spettare a Zeus e metà agli uomini. Il signore degli dei affidò l'incarico della spartizione a Prometeo, che dal canto suo approfittò dell'occasione per ingannare il padre assoluto e onnipotente nonché sfolgorante.
    Agli uomini riservò i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro, mentre agli dei riservò le ossa che mise in un lucido strato di grasso. Fatte le porzioni, invitò Zeus a scegliere la sua parte. Zeus accettò l'invito e prese la parte che luccicava di grasso. Scoprendo le ossa abilmente nascoste, si infuriò e tolse il fuoco agli uomini, nascondendolo nell’Olimpo.

    Il titano, tuttavia, dopo qualche tempo ritrovò la torcia nella fucina di Efesto e ne rubò qualche favilla incurante delle conseguenze.
    Venuto a sapere che aveva riportato la luce e il calore alla razza umana, Zeus ordinò ad Efesto di costruire Pandora e la consegnò a Epimeteo.
    Egli, avvertito dal fratello di non accettare regali da Zeus, la rifiutò, e fece perdere le staffe al padre sommo ultimo e assoluto.
    Più indignato che mai per l'affronto subìto prima dall'uno e poi dall'altro fratello, il padre degli dei decise di punire ferocemente il titano e tutti gli uomini che egli difendeva: fece incatenare Prometeo, nudo, nella zona più alta e più esposta alle intemperie del Caucaso, e gli venne conficcata una colonna nel corpo. Inviò poi un'aquila perché gli squarciasse il petto e gli dilaniasse il fegato, che gli ricresceva durante la notte, giurando infine di non staccare mai Prometeo dalla roccia.

    Eracle, in seguito ad una delle sue grandi fatiche, passò da quelle parti e visto che c’era trafisse con una freccia l'aquila che tormentava Prometeo, dopo di che liberò il titano spezzando le catene.

    Edited by Aesingr - 1/10/2018, 15:45
     
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    CITAZIONE (Albione @ 18/1/2018, 21:07) 
    Un po' di tempo fa, su dei siti inglesi, ho letto che Prometeo ha rubato anche uno zaffiro, insieme al fuoco. Ho controllato in giro, ma ho trovato solo accenni.

    Qualcuno conosce questo mito? Si sa qualcosa di questo zaffiro?

    Grazie in anticipo!

    CITAZIONE (Tirannosaurorex @ 18/1/2018, 22:46) 
    Nop, lui non ha rubato nessuno zaffiro: si dice che Prometeo fosse il primo essere che mai indossò un anello con incastonato uno zaffiro, sicché lo zaffiro era proprio il suo ^^ Dopo aver rubato il fuoco agli dei, tra le altre cose (catene, aquile, fagato, etc) gli fu imposto di indossare il suo anello, perché il colore azzurro della pietra gli ricordasse la parte più calda della fiamma che lui aveva disgraziatamente sottratto agli dei..

    Ho trovato un piccolo riferimento QUI (in inglese), e non so quanto possa essere considerata affidabile come fonte. Purtroppo non ho a portata di mano il libro solito da cui di solito prendo spunto, se vuoi appena torno a casa cerco una conferma (anche se non so se ci sia scritto...).

    (l'ho spostato sotto la discussione di Prometeo e compagnia cantante xD spero non sia un problema)
     
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1 replies since 11/8/2016, 16:29   232 views
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