Le dodici faticacce di Eracle

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    Figlio di Alcmena e Zeus, Eracle nacque a Tebe ed ebbe il nome di Alcide(dal nonno Alceo). Il nome con cui è più conosciuto gli verrà attribuito in seguito, divenuto poi Ercole nella mitologia romana.
    Alcmena era moglie del re di Tirinto Anfitrione, ma padre di Eracle fu il sommo Zeus, poiché quest'ultimo si accoppiò con Alcmena prendendo proprio le sembianze di suo marito in un momento di sua assenza.
    Quando Anfitrione tornò a casa si intrattenne in una nuova cupolata con la moglie, grazie a cui darà vita ad Ificle, che diverrà quindi fratello di Alcide.
    Sia Anfitrione che Alcmena rimasero all'oscuro di quanto era accaduto, ma quando i due bambini nacquero si resero conto in breve che uno dei loro figli aveva qualcosa di straordinario.

    Mentre Zeus era orgoglioso di Alcide, Era lo schifava di brutto; poco prima che nascesse, infatti, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che sarebbe diventato un reggente dai grandi poteri. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena e accelerò quello di Nicippe(moglie di Stenelo, zio della stessa Alcmena).
    Il loro figlio, Euristeo, nacque perciò un'ora prima di Eracle e ottenne così la primogenitura, con i vari vantaggi che questo poteva portare.
    Non paga di questa prima vittoria, Era cominciò subito a tormentare Eracle dopo neanche un mese dalla sua nascita, mandando due maligni serpenti dalle squame azzurrine ad ucciderlo. Erano due creature con occhi di fuoco e fauci di veleno, che non ebbero alcun problema ad introdursi silenziosamente in casa di Anfitrione, scivolando furtivamente fino alla camera dei bambini.
    Mentre Alcmena gridava e Anfitrione osservava stupefatto ciò che stava accadendo, il piccolo Eracle, che non sapeva ancora camminare né parlare, strozzò i due serpenti come fossero pop corn. Si perché i pop corn si strozzano ^_^

    Quando fu cresciuto, il saggio centauro Chirone lo addestrò nella caccia e nella medicina, e Anfitrione lo iniziò alla guida del cocchio e alla corsa con i carri.
    Eurito, maestro d'arco nipote di Apollo, gli donò il grande arco ricevuto in dono dal dio del sole e gli insegnò a scagliare dardi e frecce a lunghe distanze. Questa diverrà l’arma preferita di Eracle, assieme alla clava.
    Castore, uno dei Dioscuri, gli insegnò invece l’arte del pugilato e anch’essa fu decisamente di gradimento dell’eroe, che invece ripudiava le lezioni noiose di musica e letteratura. Lino, l’inventore della melodia figlio di Apollo, infatti gli fu triste maestro.
    Un giorno, esasperato dall’incapacità di Alcide di immagazzinare una qualsiasi informazione teorica, Lino sclerò e lo prese a legnate. Il giovane purtroppo ebbe un’involontaria reazione un po’ troppo aggressiva e fracassò in testa la lira al maestro, uccidendolo sul colpo.

    A causa di ciò Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi greggi, in montagna. Qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche morali, e soprattutto si diede una calmata. Rimase presso le greggi del monte Citerone fino all'età di diciotto anni.
    Prima di ritirarsi da questa vita faticosa ma felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne affascinanti che lo invitarono su due diversi sentieri. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava il piacere e mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco; la seconda, in abiti solenni, era invece il Dovere che avrebbe condotto l'eroe presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle proposte del Piacere, preferì seguire il Dovere e dedicò la sua intera vita al servizio dei più deboli. Non che ci volesse molto ad essere più deboli di un semidio quasi invincibile dalla forza... erculea! :dragonfierce:
    Eracle cominciò quindi a prodigarsi per il bene altrui, sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle pianure. Affermava di non aver mai cominciato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui.
    Mostrò per la prima volta il suo coraggio contro un brigante di nome Termero, che usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; quando lo affrontò, il cranio di Eracle si dimostrò talmente solido che egli spaccò la testa di Termero come fosse stata… un pop corn! Sempre pop corn! :paninozzo:

    Sulla via del ritorno incontrò per strada i messaggeri del re di Orcomeno, Ergino, che si stavano recando a Tebe per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una festa infatti un tebano uccise il padre di Ergino, scatenando così una guerra fra gli Orcomeni e gli abitanti della città di Tebe.
    Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale superiorità gli sconfitti, più di quanto non fosse necessario.
    Questo accese il furore del giovane Eracle che, di carattere ancora piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie senza ripensamenti, insensibile di fronte alla loro infinita spavalderia e crudeltà.
    Gli araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.
    Ergino per vendicarsi dell'affronto preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra i quali si trovava anche Anfitrione, risposero all’assalto con l’aiuto del potente Eracle che per l’occasione era stato armato dagli dei stessi: Ermes gli aveva donato una spada, Efesto uno scudo e Apollo alcune frecce, inoltre Atena gli aveva garantito la sua protezione e il suo supporto, poiché nonostante la sua grande forza Eracle si era sempre dimostrato un guerriero buono e giusto. Era rinomato infatti per restituire ogni volta le spoglie degli avversari sconfitti ai loro cari, pratica che prima non era mai stata presa in considerazione.
    Anfitrione morì durante la battaglia, ed Eracle lo pianse per giorni perché vi si era notevolmente affezionato, ma grazie al suo aiuto la battaglia fu vinta.

    Creonte, re di Tebe, diede dunque a Eracle in sposa come segno di riconoscenza sua figlia Megara, con cui l’eroe ebbe la bellezza di otto figli. Tutto fra di loro sembrò andare egregiamente, finché un losco tizio di nome Lico, Proveniente dall’Eubea, uccise Acreonte per usurparne il trono in un momento di assenza di Eracle.
    Affascinato dall'eccezionale bellezza di Megara, Lico arrivò persino a stuprarla, facendo imbufalire Eracle che era appena tornato dal viaggio assieme agli Argonauti per recuperare il Vello d’oro.
    Era sempre stato carino e coccoloso, ma quando vide ciò che Lico stava per fare lo gonfiò come una zampogna, uccidendolo a suon di pugni nei denti.

    Sembrava tutto risolto, purtroppo però Era tornò all’attacco e causò uno sconvolgimento mentale in Eracle tale da farlo impazzire di rabbia.
    Questa collera, a suo malgrado, lo spinse ad uccidere sia Megara che i propri figli, atto che lo lasciò sconvolto nel momento in cui tornò in sé e si accorse di cos'aveva fatto.
    Arrivò addirittura a cercare il suicidio, e solo l’intervento morale dell’eroe suo amico Teseo riuscì a risollevarlo.
    Questi gli consigliò di rivolgersi all’oracolo di Delfi per porre fine al suo tormento; l'oracolo spiegò che Eracle avrebbe dovuto recarsi dal re miceneo Euristeo, nonché suo cugino.
    Questo lo obbligò a compiere dieci imprese che andavano aldilà delle possibilità umane, sfruttando le sue discendenze divine.

    Le 12 fatiche



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    È probabile che il ciclo delle dodici fatiche di Eracle sia stato per la prima volta impresso in un poema andato perduto, l'Eracleia, scritto attorno al 600 a.C. da Pisandro di Rodi.
    In ognuna di queste fatiche l’eroe doveva compiere una follia per poi tornare da Euristeo, e, seppur con difficoltà, alla fine riuscirà a festeggiare dopo esser riuscito anche nell’ultima delle sue maniacali imprese di redensione.
    Nel Tempio di Zeus ad Olimpia si trova una famosa rappresentazione scultorea delle Fatiche, si crede che potrebbe essere stato proprio il numero delle metope lì presenti, appunto 12, ad aver correlato questa cifra il tradizionale numero delle imprese.
    Oppure era semplicemente la passione per il 12 dei greci: l'olimpo, lo zodiaco, un'altra cosa a caso con il 12...

    La prima delle sue missioni fu quella di dover uccidere il leone di Nemea, inviato da Era proprio per annientare lo stesso Eracle. La bestia nacque vicino a Nemea, nell'Argolide, e si insediò in una grotta da cui lanciava possenti rut… ruggiti tonanti.
    La sua pelle non poteva essere né trapassata né scalfita in alcun modo, era indistruttibile; le sue zanne ed i suoi artigli erano duri quanto il metallo e pareva non avesse punti deboli. Per terrore dei suoi ruggiti, la gente aveva smesso di lavorare e non era raro che qualcuno fuggisse in preda al panico per non essere divorato dal felino. Eracle, tutto figo con tanto di zainetto di provviste, partì alla caccia della bestia e lo cercò a lungo, ma ovunque trovava solo campi disseminati di cadaveri degli uomini dilaniati dall'animale. Vagò, vagò e vagò ancora, finché non udì il poderoso ruggito della creatura che, per lo spavento, gli fece cadere la sua fida borraccia.
    “Cacchio ti urli?” gridò l’eroe, mentre raccoglieva la fiaschetta tutto indifferente.
    Il leone era lì, aveva trovato Eracle ed ora si preparava a sbranarlo. Il guerriero prese in mano l'arco e lo colpì con tutte le sue frecce, ma esse si limitarono a rimbalzare sulla folta pelliccia dell'invulnerabile animale.
    “Acciderbicoccole!” fu ciò che Eracle solenemente proferì, prima di prenderle di santa ragione. Il leone lo attaccò ripetutamente, menando diversi fendenti con i suoi artigli e distruggendo l'armatura dell'eroe che fu costretto a battersi nudo. Non del tutto, chiaramente; e fu lì, che venne ferito per la prima volta brutalmente al petto, conoscendo così il significato del dolore.
    Eracle usò quindi la spada, sperando che avesse più effetto… ma essa si incrinò come avesse impattato sulla pietra. Allora afferrò la clava e vibrò un colpo così forte, ma così forte, che l'arma si spezzò in mille pezzi e in mano gli rimase un inutile moncone; il leone non era nemmeno ferito.
    La creatura tornò dentro la sua caverna, non per dolore ma per via delle orecchie che ronzavano dopo quell’impatto, ed Eracle lo inseguì per continuare lo scontro. Nel terribile duello corpo a corpo, il leone strappò un dito a Eracle, ma alla fine l'eroe lo afferrò sollevandolo per la testa e la criniera, avvolgendolo al collo con le braccia e stringendo con tutte le sue forze.
    “O devia questa, brutto *censura*!” esclamò, mentre lo strangolava brutalmente.
    A quel punto, vinta la battaglia, se lo caricò in spalla in segno di trionfo e lo portò a Micene, dove la vista della creatura terrorizzò Euristeo, che gli ordinò di riportarlo indietro.
    “Ma me l’hai chiesto tu!” si lamentò inutilmente, mentre lo riconduceva nella grotta ormai senza vita.
    Alla morte, il leone Nemeo fu posto da Zeus tra i segni dello zodiaco, dove formò appunto la costellazione del leone.

    Dopo di che, il grande guerriero dovette Uccidere l'Idra di Lerna, il serpentone con nove (o un numero a scelta da 3 a 9 in base alle fonti) teste.
    Non fu un'impresa facile, anzi forse fu una delle più ardue; trovò l'orrenda belva mentre digeriva il suo pasto nella sua caverna tutta tranquilla e, senza batter ciglio, trattenendo il fiato per non dover respirare ciò che veniva inalato dalle tante fauci della creatura, le tagliò tutte le teste.
    Fine.
    “Impossibile!” disse a quel punto, con la faccia del personaggio di un anime che vede rialzarsi il cattivo di turno dopo averlo decapitato-mozzato-dilaniato-deturpato a morte.
    Scoprì, con orrore, che dal moncherino di ogni testa tagliata ne spuntavano istantaneamente altre due.
    Evitò le sue zanne velenose per diversi minuti, mentre pensava ad una strategia e menava fendenti a destra e a manca mozzando teste a tutto spiano, senza ottenere nulla più di crani volanti e zampilli di sangue che schizzavano in ogni dove.
    Fu ad un certo punto, in mezzo a teste d’idra sparse ovunque sul pavimento, che ebbe l’illuminazione.
    “E se la mangiassi?”
    Quindi chiese aiuto al nipotino Iolao, che era giunto lì con lui. Si, non l’ho citato perché fino a quel momento era rimasto a giocare a solitario fuori dalla grotta.
    “D’accordo! Lo cuciniamo a fuoco lento?”
    “Come ti pare, ma sbrigati che ho fame!”
    mentre Eracle tagliava le teste, Iolao dava fuoco al sangue delle ferite per cucinarlo ben bene e, guarda caso,, in tal modo le cicatrizzava.
    “Oh nipote… ora che abbiamo deciso di mangiarla non si rigenera più…”
    L’afflizione di Eracle comunque fu breve, e il sorriso tornò ad illuminare il suo volto quando scoprì che l’ultima testa era immortale ed invulnerabile.
    “Siiii! Stasera teste d’idra a volontà! Prendi la salza barbeque”
    Quando si fu stufato, seppellì la testa e il resto del corpo sotto un grande masso, concludendo così anche la sua seconda faticaccia.
    Prima di andarsene, Eracle bagnò la punta delle frecce nel sangue dell'idra, altamente velenoso, per rendere le ferite con esse inflitte inguaribili.
    Un'accidentale puntura con una di tali frecce provocò atroci sofferenze a Chirone, che essendo immortale non poteva morire (nooo… giura?) e che, per porre fine al tormento, donò la propria immortalità a Prometeo tramite l’intervento di Zeus.
    Il problema era che Eracle si era fatto aiutare, e questo ad Euristeo non andava bene.
    “Eh no… questa te la annullo, non barare!”

    Il grande Eracle, sbuffando, capì di essere solo all’inizio; Adesso avrebbe dovuto catturare la Cerva di Cerinea.
    “Come Terza prova… dovrai portarmi una cerva sacra”
    “Seee vabbeh zia, senti ammé: ho ammazzato un leone invulnerabile e un serpentone multicefalo, che vuoi che sia un’innocente cerbiatta?”
    Mai parole furono più sbagliate.
    Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo (o argento, secondo altre versioni) che correva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un luogo dal quale non avrebbe più fatto ritorno.
    Eracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno. Si, un anno.
    Tra fiumi, laghi, foreste, campagne, monti, praterie, oceani, cieli, vulcani, turbini e tempeste, il guerriero percorse mezzo mondo a correre dietro a quella dannata bestiolina, che non si voltava neanche per fargli la linguaccia.
    sconfitto in ogni suo tentativo di raggiungerla, Eracle non ebbe altra scelta che ferirla; colpito l’animale con una freccia, lo raggiunse e se lo caricò in spalla, per portarlo ad Euristeo.
    Siccome per lui il concetto del luogo del non ritorno non valeva perché era figo, tornò sui suoi passi felice e soddisfatto. Lungo la strada del ritorno però incappò in somma Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra.
    “Brutta faccia di *censura* *censura* *censura* *censura* *censura* *censura*, come ti sei permesso?” strillò adirata la dea, brandendo cose inquietanti e minacciose.
    “Scusa tesoro, è per questioni divine!”
    L'eroe riuscì a placare le sue ire (non si sa come),, ed ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo. Dopodiché, al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.

    Si giunge così alla quarta fatica, rappresentata dal cinghiale di Erimanto; Eracle doveva catturarlo e portarlo vivo a Micene. Questo cinghiale si aggirava nella parte occidentale dell’Arcadia e distruggeva i campi e i greggi, portando scompiglio ovunque e dovunque.
    In questa regione abitata dai Centauri, l’Eroe fu ospite di Folo, uno strano centauro che gli offrì dell’arrosto e del vino, dono di Dionisio. I fiumi d’alcol inebriarono i partecipanti al banchetto che, più che brilli, trasformarono la festa in una guerra scatenata.
    Eracle, per sedare il tumulto, scagliò freccie avvelenate a casaccio (già, quale modo migliore…) intinte nel sangue dell’Idra. Folo morì in mezzo al delirio, e Chirone subì la sorte dell’”imortale che non muore ma soffre” accennata sopra.
    l’Eroe, tristissimo, riprese la strada e si diresse sul Monte Erimanto, dove catturò il cinghiale in mezzo ad una distesa di neve.
    Dopo averlo immobilizzato, tramortito e legato, Se lo mise sulle spalle e lo portò al caro Euristeo; egli, alla vista dell’animale, si nascose in un pithos (giara) di bronzo, impaurito come davanti alla Morte stessa.
    “Accidenti quanto sei fifone zia… ora che caspita devo fare?”

    Gli uccelli del lago Stinfalo erano volatili mostruosi con penne, becco ed artigli di bronzo.
    Essi si nutrivano di carne umana e catturavano le loro vittime trafiggendole con le loro penne di bronzo che fungevano da dardi. Avevano inoltre un finissimo senso dell'udito, fattore che, per compiere la sua quinta fatica, Eracle sfruttò per sconfiggerli.
    “Eh questi non li puoi ammazzare con la tua forza brutale, vero dolcezza?” disse una voce fuori campo.
    Secondo il mito, Eracle fece alzare in volo gli uccelli disturbandoli con dei potentissimi sonagli di bronzo donatigli da Atena, uccidendone una buona parte con le solite frecce avvelenate. Gli uccelli sopravvissuti volarono via per sempre e così anche questa fu fatta.
    “Bazzecole…” bisbigliò, mentre si allontanava fiero.

    A questo punto l’eroe dovette dirigersi da Augia, il re dell'Elide, nel Peloponneso.
    Augia aveva ricevuto dal padre Elio moltissimo bestiame; grazie all'origine divina, gli armenti erano immuni dalle malattie, pertanto crescevano a go go.
    Augia non puliva mai le stalle e le scuderie, tanto che il letame che continuava ad accumularsi creava seri problemi nei dintorni, un porcaio inimmaginabile insomma.
    Il cielo era oscurato dagli sciami di mosche attirate dalla sporcizia, la puzza inenarrabile devastava chiunque passasse lì nei dintorni e il luogo divenne presto uno schifo tale da necessitare l’intervento di un grande eroe.
    La sesta impresa delle fatiche di Eracle consistette proprio nella pulizia delle stalle in un solo giorno, su ordine di Euristeo.
    “…” :patpat: fu l’espressione del guerriero una volta giunto sul posto, la disperazione fatta eroe. “Preferivo l’idra…”
    Eracle disse al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue enormi stalle prima del calar del sole.
    “Oh Augiggiolo… io ti pulisco tutto in un giorno ma tu in cambio mi dai un decimo del tuo bestiame, siamo d’accordo?”
    Il re, incredulo, accettò la scommessa e i due giurarono sul loro accordo. Allora Eracle, con un sorrisone a trentadue denti, aprì due brecce nei muri delle stalle a pugni e deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo. Le acque impetuose invasero le enormi stalle e i cortili, spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo. Così Eracle compì la sua sesta Fatica ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno sporcarsi le mani.
    Chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò sostenendo di essere stato da lui ingannato: non Eracle, bensì i fiumi avevano ripulito dallo sterco il suo regno.
    Eracle chiese che la controversia fosse sottoposta a giudizio, essa però fu a suo svantaggio e venne scacciato dall'Elide. Infine Euristeo non considerò valida la fatica poiché Eracle ne avrebbe ricevuto un compenso, quindi l’eroe, oltre che aver rischiato di finire nella mer… nel marciume, non ci ottenne nulla.
    Ed ecco perché le fatiche sono diventate dodici: considerando l’aiuto ricevuto per l’Idra e il pagamento che avrebbe dovuto ricevere per questa opera di pulizia, due delle prove non vennero considerate valide.
    Secondo un'altra versione, la lite che seguì alla mancata ricompensa per il lavoro svolto portò alla guerra; durante la battaglia, Augia sarebbe stato ucciso.

    Come settima Fatica, Euristeo ordinò a Eracle di catturare il toro di Creta.
    “Su! Vai! Vai! Che ce n’è ancora parecchie da fare”
    Quando Eracle giunse a Creta, Minosse gli offrì ogni tipo di aiuto, ma Eracle preferì catturare il toro da solo.
    Era troppo fiero e figo per lasciarsi aiutare; si, come no: sapeva che altrimenti Euristeo avrebbe rotto le scatole di nuovo
    “Lo ucciderei anche se sputasse fiamme dalle narici e fulmini dal cu…”
    “Eih!” esclamò Euristeo, con un'espressione scandalizzata.
    “Che c’è? Non hai mai visto tori che sputano fulmini dal cuore?”
    “Ah… si, certo. Comunque devi portarlo vivo, non ucciderlo”
    “Tu mi dici quello che devo fare… e io lo faccio”
    Neanche questo fu uno scontro semplice, ma niente che l’eroe non potesse affrontare dopo aver spalato la cacca di bue.
    . Dopo un'aspra lotta Eracle riportò il toro a Micene, dove Euristeo lo dedicò ad Era, rimettendolo in libertà.
    Era, tuttavia, considerando odioso un dono che le ricordava la gloria di Eracle, guidò il toro prima a Sparta e poi a Maratona in Attica, dove poi Teseo lo trascinò ad Atene per sacrificarlo ad Atena.
    Molti autori negano che il toro di Creta e quello di Maratona combacino, ma la mitologia greca si sa… è fatta di fonti ed opinioni :yea:

    L'ottava Fatica consisteva nel dover portare ad Euristeo le quattro cavalle selvagge del tracio re gigante Diomede, che governava sui bellicosi Bistoni.
    Le sue stalle, poste nella città di Tirida, erano il terrore di tutta la Tracia, a causa della ferocia dei possenti animali. Diomede infatti teneva le sue cavalle legate con catene di ferro a mangiatoie di bronzo, e le nutriva con la carne dei suoi ospiti ignari.
    Un'altra leggenda vuole che si trattasse di stalloni ed i loro nomi erano Podargo, Lampone, Xanto e Dino, ma essendo “le cavalle di Diomede” è più plausibile affidarsi al mito originale.
    Con un piccolo gruppo di volontari Eracle arrivò in Tracia, e tutti insieme appassionatamente malmenarono gli stallieri di Diomede a picconate sul groppone.
    Diomede, quindi, condusse le cavalle sulla riva del mare, dove le lasciò in custodia ad un fidato servo per poi tornare indietro a combattere.
    Eracle era forte, ma non era scemo: gli avversari erano numerosi e potenti, quindi lui dovette sconfiggerli con l'astuzia: tagliò dei canali che causarono l’inondazione del mare e l’acqua invase la bassa pianura.
    Sconfitti i Bistoni, Eracle stordì Diomede con un colpo di clava, e ne trascinò il corpo lungo le rive del mare per gettarlo in pasto alle cavalle, che lo divorarono ancora vivo.
    Così, dopo aver placato la fame delle bestie, Eracle potè domarle facilmente per portarle ad Euristeo.

    Come nona Fatica Euristeo impose a Eracle di portare ad Admeta, sua figlia, l'aurea cintura indossata da Ippolita, regina delle Amazzoni.
    “Ooh, finalmente un po’ di fi…”
    “Eih!” esclamò Euristeo, con una nuova espressione scandalizzata.
    “Che c’è? Un po’ di fiori d’oro! Come si dice, dolci fanciulle…”
    “Si, certo… certo. Ora vai!”
    Le Amazzoni erano figlie di Ares e della Naiade Armonia, nate nelle segrete valli della frigia Acmonia, anche se altri dicono che la loro madre fu Afrodite.
    Dapprima vissero lungo le rive del fiume Amazzonia, chiamato ora Tanai, dal nome del figlio dell'Amazzone Lisippa, che offese Afrodite col suo disprezzo per il matrimonio e il suo amore per la guerra.
    Vendicandosi, Afrodite fece si che Tanai si innamorasse della propria madre. Piuttosto che cedere a quell'incestuosa passione, Tanai si gettò nel fiume e annegò.
    Lisippa, divenuta regina, stabilì che agli uomini toccasse sbrigare le faccende domestiche, mentre le donne combattevano e governavano. Venivano perciò fratturate le braccia e le gambe dei bambini maschi, perchè non fossero in grado di viaggiare o battersi in guerra.
    Queste donne non rispettavano nè la giustizia ne il pudore, ma erano guerriere stupende e per prime usarono la cavalleria. Avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna, i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci.
    Lisippa, prima di morire in battaglia, fondò la grande città di Temiscira e sconfisse le tribù nemiche fino al fiume Tanai. Con il bottino delle sue vittorie, fece erigere templi ad Ares e ad Artemide.
    Le sue discendenti estesero a occidente l'impero delle Amazzoni, fino alla Tracia, e più a sud fino alla Frigia dove portarono la loro grande forza e bellezza femminile. Al tempo in cui Eracle andò a trovare le Amazzoni, esse erano tornate tutte sulle rive del fiume Termodonte e le loro città erano governate dalle guerriere Ippolita, Antiope e Melanippa.
    Arrivato alla foce del fiume, Eracle gettò l'ancora nel porto di Temiscira, dove Ippolita gli fece visita e, attratta dal suo corpo muscoloso, gli offrì la cintura aurea di Ares come pegno d'amore. Nel frattempo Era, che come sempre doveva importunare Eracle in qualche maniera rinnovata, si era travestita da Amazzone e aveva cominciato a vagare per la città spargendo la voce che gli stranieri avevano intenzione di rapire Ippolita.
    Indignate, le guerriere balzarono a cavallo e si lanciarono all'assalto della nave dell’eroe, pronte per una grande, focosa org… orgaanizzata battaglia.
    Eracle, sospettando un tradimento, uccise Ippolita e le tolse la cintura, si impadronì della sua ascia e di altre armi e si preparò a difendersi.
    Uccise le Amazzoni che guidavano le avversarie, e fece ritirare le rimanenti che tuttavia bramavano con foga i suoi addominali scolpiti. Riscosso il bottino, Eracle salpò verso Micene dove consegnò la cintura ad Euristeo.

    Gerione, fratello del mostro Echidna, era un fortissimo gigante con tre teste, tre busti, due sole braccia ed un ombellico e mezzo ed era proprietario di un grande regno esteso fino ai confini della mitica Tartesso.
    Possedeva dei bellissimi buoi, che il simpatico Euristeo ordinò a Eracle di portargli, per la sua decima grande fatica.
    “Zia… ma non è che tu mi stai sfruttando?”
    Eracle, nonostante le lamentele, partì con la barca dorata di Helios che si era fatto dare in prestito dal dio. Arrivò nell'isola di Gerione e, uccidendo il mostro senza troppo ritegno, si prese i buoi con tutta tranquillità fischiettando qualcosa dei Sonata Artica e dei Red Hot Chily Pepper.
    Era, incavolata come non mai, inviò uno sciame ad infastidire i buoi affinché scappassero o almeno rendessero la vita difficile all’eroe, ma con due bacchette giapponesi Eracle le eliminò tutte e giunse tutto sciallo a destinazione.

    “Abbiamo finito zia? Quante diavolo devo farne ancora?”
    “Se non avessi barato, avresti finito! Comunque non preoccuparti, ci sei quasi, adesso dovrai… rubare i pomi d'oro del Giardino delle Esperidi”
    “...Eeeeeh? Icchetthadetto?” chiese l'eroe, in perfetto dialetto toscano.
    Nel Giardino cresceva un albero di pomi d'oro, custodito dal grande drago a cento teste Ladone e dalle tre fanciulle esperidi (Egle, Erizia ed Esperaretusa), figlie del titano Atlante.
    fu proprio qui che si narra che Eris, dea della discordia, riuscì ad eludere la sorveglianza del terribile drago ed a rubare una delle mele d'oro. Su questa incise la famosa frase "Alla più bella", per poi recarsi al matrimonio tra Peleo e Teti – dove non era stata invitata – lasciando cadere la mela sul tavolo che Zeus aveva allestito per gli sposi. Fu così che causò l'inizio della guerra di Troia.
    Eracle, dopo aver colpito con le sue formidabili frecce il drago che se ne stava arrotolato attorno all’albero sacro, si offrì di reggere il cielo al posto di Atlante purché egli gli portasse i frutti, dato che così gli era stato consigliato di fare in modo da non doverli raccogliere con le proprie mani dall'albero sacro.
    Una volta recuperatili Atlante tornò da Eracle, ma ora che aveva apprezzato la libertà dal compito di dover sostenere il cielo, disse ad Eracle che non avrebbe più voluto riprenderlo.
    “Sono stato per un millennio con codesto coso a stroncarmi la schiena, non ce la faccio più!”
    “Si, comprendo. D’accordo, ci penso io. Me lo dovresti però reggere tu un attimo mentre me lo aggiusto meglio sulle spalle, sai… non sono forte come te e penso di dover trovare una posizione comoda se voglio compiere un’impresa tanto titanica” ribatté Eracle.
    “Ehm… ma non è che poi te ne vai vero?”
    “Ma che… figurati, potrei mai ingannarti?”
    Atlante riprese dunque il cielo su di sé, poggiando le mele a terra, ed Eracle fulmineo le prese e corse a consegnarle a Euristeo.
    “Torno subito!”
    “Brutto figlio di baccante!”
    In un'altra versione del mito sembra che Eracle si mostrò pietoso per la condizione di Atlante e decise di sorreggere volontariamente il mondo sulle sue spalle, al che Atlante gli consegnò volontariamente i pomi d'oro dopo che l'eroe ebbe fatto "rotolare via il mondo con le sole braccia".

    E così Eracle giunse alla sua ultima fatica, cioè Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.
    "Forza forza! Che hai finito"
    “Certo zia che sei proprio un fracassa zibidei”
    Eracle, borbottando fra sè e sè che dovevano esserci vari gradi di impossibile, si allontanò in cerca di consigli sul da farsi.
    Si recò a Eleusis, dove si trovavano sacerdoti specializzati nel culto dei morti e degli inferi. Fu iniziato ai misteri dell'Ade, e scoprì dove si trovavano gli ingressi degli inferi e dove il fiume Stige scorreva nel sottosuolo.
    Avrebbe ivi trovato l'ingresso di una caverna da dove avrebbe cominciato il suo percorso in discesa, diventando così il primo mortale a percorrere quella via verso l'Ade; dopo di lui anche Orfeo e Odisseo intrapresero lo stesso viaggio.
    Incontrò Teseo, che era stato imprigionato per aver tentato di rapire Persefone, la regina degli inferi; la sua gamba era legata ad una tavola da un serpente di pietra. Eracle spezzò la catena serpentesca e liberò il suo amico eroe, per poi giungere al cospetto di Ade.
    Secondo altre versioni Teseo era stato imprigionato in una polptrona la cui pelle si era unita a quella dell'eroe, impedendogli di alzarsi mentre le anime dannate lo tormentavano, ma per Eracle niente era impossibile e riuscì a trarre in salvo l'amico.
    Ade, quando Eracle gli pose la sua richiesta, accettò di lasciargli prendere in prestito Cerbero purchè fosse riuscito a rendere inoffensivo il cane a tre teste senza usare le armi.
    Questo era il genere di lavoro che Eracle era già abituato a fare e presto il fiero cane da guardia degli inferi si ritrovò a guaire come un cucciolo.
    Bisogna dire che quando lo condusse davanti ad Euristeo, questi per la prima volta rimase veramente colpito. Disse ad Eracle che avrebbe potuto ritenersi libero dopo che Cerbero fosse stato riconsegnato al suo padrone e così egli dovette tornare giù negli inferi una seconda volta.

    “Finalmente!” gridò l’eroe soddisfatto, ormai libero da ogni rimorso e pronto per andarsi a fare un panino alla porchetta e pepe nero.
    Però, c’è un però:
    La crudele Hera riuscì a renderlo schiavo un'altra volta, persuadendo Zeus e gli altri dei che non era stato ancora punito abbastanza.
    "Questo mortale ha fatto l'impossibile non una, ma ben dodici volte. Se gli permettiamo di crescere arrogante, diventerà una minaccia anche per noi quassù sul Monte Olimpo. Dobbiamo umiliarlo prima che sia troppo tardi!"
    Quindi gli dei diedero ad Eracle un anno in più di punizione e lo fecero schiavo di Onfale, regina di Lidia. Ella era molto contenta di avere un uomo così bello e forte in suo potere e lo stuzzicava facendogli scambiare gli abiti con i suoi. Mentre lei sedeva sul trono indossando il mantello del leone di Eracle ed il suo bastone, ordinò a lui di indossare i suoi vestiti. I giganteschi piedi di Eracle sfondarono le scarpette e la cintura scoppiò quando lui tentò di allacciarla intorno alla sua grande vita.
    La regina lo rimproverò per la sua goffaggine e poi lo fece sedere ai suoi piedi vestito da donna a raccontare tutte le suefatiche. Invece di esserne impressionata, lo derise dall'inizio alla fine.
    Inutile dire che Eracle avrebbe di gran lunga preferito ripetere le dodici fatiche altre dodici volte, piuttosto che stare per un anno al servizio di quella pazza.

    L'eroe ne visse altre di avventure, molte altre. In ognuna di queste era protagonista di una vicenda leggendaria o uno scontro che lo farà passare alla storia come uno dei più potenti guerrieri che la grecia abbia mai potuto avere a sua difesa.

    Un giorno Eracle si diresse da Deianira, figlia di Eneo re di Calidone.
    Doveva riferire alla fanciulla un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti. Essendo lei una donzella dal bell'aspetto, Eracle decise di portarla con sé come sposa e lei acconsentì di buon grado, ma i suoi contendenti non erano della stessa opinione.
    Uno di questi, il dio fluviale Acheloo, ingaggiò uno scontro con l'eroe ed assunse varie forme per cercare di affrontarlo. Prima in serpente e poi in toro, non riuscì comunque a colpire Eracle che aveva compiuto imprese ben più titaniche e non si preoccupò minimamente delle aggressioni del suo avversario. Di rimando piuttosto gli spezzò un corno, e dalla ferita sulla testa del toro sgorgò del sangue che generò le sirene.

    I due baldi giovani, liberatisi di Acheloo che era fuggito, a quel punto si recarono in Tessaglia per vivere insieme felicemente. Arrivati però a un corso d'acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di trasportarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo aver gettato sull'altra riva la clava e la pelle di leone si tuffò in acqua e nuotò agilmente nel fiume in piena, affidando la moglie al centauro.
    Infiammato dalla bellezza della donna Nesso cercò di rapirla allondanandosi con lei, ma appena Eracle sentì le grida della moglie con una delle sue frecce avvelenate lo abbatté senza pensarci due volte. Negli spasimi dell'agonia, il centauro sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito alla bisogna l'amore di Eracle per lei qual'ora l'avesse mai tradita.

    Pochi mesi dopo Eurito, re d'Ecalia e un tempo suo maestro, non volle cedere in sposa la figlia Iole all'eroe e venne per ciò ucciso da Eracle per aver tradito il patto che avrebbe permesso a quest'ultimo di sposare la fanciulla.
    In quegli anni infatti Eracle aveva deciso di punire tutti coloro che gli avevano fatto un torto, divenendo sempre più vendicativo sebbene mantenesse i suoi saldi buoni principi.
    Deianira, vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che fra gli ostaggi catturati vi era appunto anche Iole. Venne così presa dalla gelosia, anche se in cuor suo sapeva che Eracle non era uno che tradiva così facilmente.
    Decise di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Eracle stesso aveva scagliato per ucciderlo.
    l'eroe lo indossò per celebrare i riti di ringraziamento per la vittoria, ma non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene. Egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far altro che subire l'agonia, uccidendo nella disperazione il servo Lica che gli aveva portato la veste fatale ignaro di tutto.

    Con le sue ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, e chiese ad un pastore di nome Filottete di accenderla. Questi ubbidì, anche se nessun'altro aveva avuto il coraggio di farlo, ed Eracle gli donò le sue armi che si renderanno molto utili durante la successiva guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre il nipote Iolao, il figlio Illo e lo stesso Filottete intonavano i canti funebri.
    Eracle cominciò a bruciare, ma all'improvviso con un fulmine Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse e lo portò con sé nell'Olimpo. Qui, incredibile ma vero, l'eroe si riconciliò con Era e sposò persino l'attuale coppiera degli dei Ebe, rimanendo quindi al fianco degli dei per una nuova vita da semidio.

    Edited by Aesingr - 22/10/2018, 19:43
     
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    Aggiunto il passato di Eracle e come arrivò alle fantomatiche fatiche :yea:
     
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    Ah avevo aggiunto anche la morte di Eracle, dato che mancava u.u
     
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