Il drago azzurro che puzza di pesce
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Dio della medicina, della musica e delle profezie, viene raffigurato con una corona di alloro sul capo, con arco e cetra, oppure con il caratteristico tripode sacrificale simbolo dei suoi poteri profetici. A lui venivano sacrificati diversi animali, dai cigni, simbolo di bellezza, ai lupi e alle cicale, rappresentazione del canto e della musica; o ancora serpenti, corvi e falchi, in nome dei suoi poteri profetici.
Nacque con l’unione extraconiugale di Zeus con Latona, e dovette subirsi tutti i tentativi di vendetta di Era; ella, moglie di Zeus, arrivò a proibirle il parto su qualsiasi terra appartenente a questo mondo, isole comprese. Ciò nonostante, nel suo errare di terra in terra, Latona riuscì a dare alla luce la sua creatura su l’isola di Delo, un’isola giovane non del tutto formata e quindi non ancora legata alla terra. Altre leggende raccontano del rapimento di Ilizia da parte di Era, dea del parto, tramite cui avrebbe impedito a Latona di ricevere aiuto mentre dava alla luce il figlio. Secondo altre versioni Latona sembra sia stata cullata dal mare, e che Poseidone le abbia permesso di partorire nelle acque, su cui Era non aveva alcun potere.
Apollo, il cui corrispettivo nome romano non esiste poiché il suo culto è stato importato direttamente dalla Grecia a Roma, è stato uno dei più variegati per quanto riguarda eventi, amori e tragedie. Lo vediamo agire in diverse maniere; per vendicarsi di Zeus che gli assassinò il figlio Asclepio, ad esempio, Apollo massacrò tutti i Ciclopi che avevano il compito di forgiare le folgori divine. Allo stesso modo volle vendicarsi di Pitone, un drago-serpente enorme, figlio di Gea, nato dal fango della terra dopo il Diluvio Universale e custode dell’oracolo di Delphi, che abitava ai piedi del monte Parnaso. La creatura non aveva effettivamente recato dolori ad Apollo stesso, ma a sua madre mentre cercava di raggiungere l’isola di Delo. Dunque, giunto nella grotta in cui abitava, Apollo lo tempestò di frecce fino ad ucciderlo dopo averlo attirato all’esterno gettando nella caverrna una torcia accesa. Da alcune crepe sul suolo nella grotta fuoriuscivano vapori eccitanti e inebrianti, che furono il mezzo tramite cui la sacerdotessa Pizia (pitonessa) pronunciava parole occulte interpretate dai profeti.
Un altro racconto narra delle abilità musicali di Apollo, invidiate da molti, e che sarebbe stato meglio non sfidare. Atena, dopo aver creato il flauto a doppia canna, dovette gettarlo via perché nel suonarlo le si deformavano le gote che, oltre ad arrossarsi, le conferivano un aspetto buffo che veniva deriso dalle altre dee. Il satiro Marsia, nel bosco, lo raccolse all’istante causando il disappunto di Atena che lo malmenò ben bene. Perché si, qualche scazzottata da Atena non fa mai male. Quando la dea si fu allontanata, il satiro riprese lo strumento ed iniziò a suonarlo con una tale grazia che, espandendosi la voce, tutto il popolo ne divenne ammaliato e si diceva che il suo talento fosse maggiore anche rispetto a quello di Apollo. Marsia, orgoglioso, ovviamente non li contraddisse finché un giorno la sua fama arrivò allo stesso Apollo, che accettò immediatamente quando Marsia gli propose una sfida. Il vincitore, decretato dalle Muse che sarebbero state giudici della tenzone, avrebbe avuto alla propria mercé l’avversario per fargli qualsiasi cosa volesse. Dopo la prima prova le Muse assegnarono un pareggio che ad Apollo, chiaramente, non piacque per nulla. Così il dio invitò Marsia a mostrargli la sua abilità nel suonare il proprio strumento dopo averlo rovesciato; Apollo riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla, ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto e riconobbe Apollo vincitore. Secondo un'altra versione Apollo propose, per poter eleggere un vincitore, di cantare e suonare contemporaneamente. Solo lui, che aveva uno strumento a corde, ovviamente ci sarebbe riuscito. A quel punto Apollastro decise di punire Marsia per la sua superbia, legandolo ad un albero e squartandolo vivo, perché non si poteva proprio fare altrimenti.
Per quanto riguarda i suoi amori… beh, Apollo non è stato certo tra i più fortunati, come racconta il celebre mito di Apollo e Dafne. Dafne, figlia di Gea e del fiume Peneo, era una giovane ninfa di grazioso aspetto abitante dei boschi e amante della caccia. Apollo, fiero di avere ucciso Pitone, incontrato Eros mentre era intendo a forgiare un nuovo arco, si burlò di lui e del fatto che non avesse mai compiuto delle azioni degne di gloria. Il dio dell’amore, profondamente ferito dalle parole di Apollo, con un bel sogghigno preparò una ben congegnata vendetta. Forgiò una freccia acuminata e dorata in grado di far nascere la passione, che scagliò con violenza nel cuore di Apollo, ed un’altra senza punta fatta di piombo destinata a respingere l’amore, che lanciò nel cuore di Dafne. Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della ninfa, fino a quando non riuscì a trovarla, avendo però in cambio uno spiacevolissimo rifiuto. Alla sua vista infatti Dafne scappò impaurita, nonostante le suppliche di Apollo. Convinta di non riuscire più a sfuggire a quell’orrido individuo che era diventato Apollo ai suoi occhi, invocò la madre Gea, pregandola di mutare il suo aspetto perché potesse fuggire dalle attenzioni sconce del dio. E così fu: i suoi capelli mutarono in fronde, le sue braccia si levarono alte verso il cielo diventando flessibili rami, il suo corpo aggraziato si ricoprì di corteccia, i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici ed il suo volto, rigato di lacrime, fu la cima della chioma dell’albero. Dafne si era trasformata nel lauro, pianta aggraziata e forte allo stesso tempo, a cui Apollo si avvinghiò disperato. Resosi conto dell’inutilità delle sue sclerate, proclamò a gran voce che da allora la pianta dell’alloro sarebbe stata sacra al suo culto e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori.
La storia d’amore con il giovane principe spartano Giacinto non andò meglio. Infatti, a causa della gelosia del dio del vento Zefiro, durante uno dei frequenti allenamenti del lancio del disco organizzati dal principe e da Apollo, Giacinto venne colpito a morte a causa di una folata di vento che deviò la traiettoria di un lancio di Apollo. Questo, con il cuore colmo di disperazione, tramutò l’amato in un bellissimo fiore rosso. Sui suoi petali incise un’esclamazione di dolore (corrispondente in italiano alla parola ahi).
Il dio della musica ebbe anche numerosissimi figli, quasi una trentina, con i quali fa concorrenza a Poseidone. Tra questi troviamo Aristeo, concepito con Cirene, figlia di Ipseo e Clidanope, e Troilo, dall’unione con Ecuba, moglie di Priamo e regina di Troia.
Interessante e fondamentale è anche l’intervento di Apollo Durante la guerra di Troia, che lo vede schierato a fianco dei Troiani, in quanto infuriato con i Greci e con il loro capo supremo e assoluto Agamennone. Quest’ultimo infatti aveva rapito la giovane Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Per vendicare l'affronto, il Dio decimò le schiere avversarie con le sue terribili frecce, fino a che Agamennone non acconsentì a rilasciare la prigioniera, pretendendo in cambio Briseide, schiava di Achille. Apollo continuò comunque a parteggiare per i Troiani durante la guerra. Salvò infatti la vita a Enea, in duello contro Diomede, che stava per ucciderlo. Aiutò anche Ettore e Euforbo nello scontro con Patroclo, amico ed allievo di Achille. Il Dio infatti, oltre ad aver stordito il giovane che i Troiani avevano scambiato per il re mirmidone vista l'armatura che indossava, lo privò della propria corazza sciogliendola come neve al sole. Distrusse perfino la punta della lancia con cui Patroclo stava mietendo vittime tra le file troiane, e soprattutto fu sempre Apollo a guidare la freccia scoccata da Paride verso il punto debole di Achille.
Edited by Aesingr - 22/8/2017, 16:09
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