Il Sisma del Meridione e la Brezza del Settentrione - L'alba della nera leggenda

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    Cavaliere Affatto Nobile

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    ok, Aes ha detto che potevo postarla dove volevo. Siccome è un bel raccontone lo posto qui :dragonfierce:

    Allora questa è una storia a capitoli che vede l'incontro di due miei personaggi. Chi sono lo si capisce leggendo, anche se il titolo lascia sfuggire molto. La storia è ovviamente canonica nel background di entrambi.
    Per il momento ho scritto il prologo e il primo capitolo. Se qualcuno leggerà questo racconto a me farà solo piacere. Se vi va potete commentare stesso nel topic(i capitoli li aggiungerò edittando il post) anche scrivendo critiche costruttive.
    Dunque che le danze comincino.

    setran-sebulkroncrossoverlogo



    PROLOGO

    Schegge d’avorio brillavano sulla volta celeste alle ultime luci del crepuscolo, schiantandosi rovinosamente al suolo. Decine di esplosioni cremisi si susseguirono, lasciando scorrere sul suolo marmoreo un fiume vermiglio.
    L’acciaio tintinnò in un suono acuto, prima che le armi giacettero in silenzio.
    Un essere di stazza mastodontica dalle forme arcuate, aguzze e sinuose si avvicinava a passi tanto possenti da scuotere la terra.
    Cadaveri stretti in un gelido e morente abbraccio imploravano sotto i suoi piedi artigliati, venendo poi schiacciati dall’avanzata colossale.
    Porte di ferro grandi il doppio di lui ne frenarono boriosamente il cammino.
    Un urto violento risuonò alto, poi un susseguirsi di colpi vibranti echeggiò uniforme , finché anche gli imponenti difensori di metallo caddero. Gli occhi dell’invasore brillavano di cupidigia, un bagliore che si estinse quando i fievoli raggi solari delinearono la sagoma di ciò che era venuto a reclamare.
    “La nostra sacra reliquia ti delude?” Sibilò una voce rauca.
    “Il vostro ardore è tanto, per definire questo misero oggetto sacra reliquia.” Rispose imponente l’invasore.
    “Potrà sembrare un semplice ornamento da altare, ma il suo potere trascende la nostra stessa comprensione. Può essere impugnato solo da chi è capace di risvegliarlo, da chi può comprenderne l’essenza... il suo terribile e antico richiamo...”
    Con passo agonizzante l’uomo si portò all’orecchio del devastatore, sussurrando una singolare parola accompagnata da segreti e deliri.
    Il suo corpo si accasciò convulso e tormentato ai piedi dell’essere, cessando poi ogni movenza.


    CAPITOLO I : Il fantasma di ferro

    La luna irradiava la notte con candidi raggi d’avorio, il suo bacio sfiorava le aguzze guglie di montagne nordiche nate da brina e roccia.
    Nell’oscurità dispersa da una selva di stelle e verdastra polvere cosmica, l’astro gettò il suo sguardo su un anonimo arcipelago del freddo Nord.
    Formatosi da decine di isole scosse da millenari terremoti, la sua sagoma dall’alto appariva come una mezzaluna tagliata a metà, di cui un punto andava alla deriva solitario, rimanendo però cullato nel suo abbraccio, tra la sfonda settentrionale e meridionale.
    I frastuoni di una taverna smuovevano il silenzio, lasciando che iracondi e discordi diverbi arrivassero all’orecchio dei tanti.
    “Anche l’ultimo raccolto è andato in malora. Presto moriremo di fame, se quel bastardo non ci ammazzerà prima.” Squillò tonante la voce di uno sparuto ma vigoroso uomo del nord vestito di pellicce caprine.
    “PAZZO, non parlare di lui con tanta futilità. Potresti attirarlo, e allora si che ci ucciderà tutti!” Replicò un anziano, con tono quasi sottomesso.
    “Tu, cane, dai del pazzo a me? Il pazzo sarai tu, e tutti i codardi che ti seguono nella tua follia. I nostri avi erano guerrieri prodi, e noi siamo qui, a bagnare di urina i nostri calzoni invece d’impugnare le armi e lottare. Quanto i nostri figli dovranno patire la fame? Quanto ancora, dovremo accontentarci delle briciole mentre lui dorme su un letto dorato?”
    La voce del secondo interlocutore tornò a proferire, stavolta ben più ruggente.
    “ Lui... Ci difende da corsari e conquistatori, senza di lui, saremmo già stati fatti schiavi.”
    L’altro uomo si concesse una sarcastica risata, che risuonava minuta dalle sue labbra.
    “Lui, uccide corsari e conquistatori per profitto, per la sua brama selvaggia. Quando parte per andare chissà dove, noi restiamo indifesi. Da tutte le parti arrivano per depredarci di quel poco che abbiamo.”
    “ Se forse quelli come te non fomentassero false speranze, i nostri guerrieri non andrebbero ad affrontarlo e potremmo difenderci dagli invasori. Tu vuoi dare a lui tutta la colpa dei nostri misfatti, ma la verità è che sei solo un codardo incapace di vedere la verità.
    Dall’est, dall’ovest e dal sud, arrivano le storie di creature ben più crudeli. Dovremmo solo essere grati agli dei di averlo qui con noi.”
    Canzonò l’altro.
    Tutt’intorno nessuno proferiva parola, il battibecco non li attirava. Alcuni fra i più superstiziosi temevano e maledivano quel nome che tanto esitavano a pronunciare, annuendovi solamente.
    Conosciuto come una grande leggenda più antica delle loro vite, sapevano che era meglio non portare il suo sguardo a loro.
    “Io dico... Quel diavolo può anche strozzarsi con il suo oro.Sono stanco di vedere i nostri villaggi cedere sotto il soffio del vento, perché il bastardo con le ali terrorizza le navi mercantili.Solamente grazie agli affari più magri riusciamo a sopravvivere. ” Terminò il primo, diluendo un grande sorso di birra da un boccale di legno.
    La taverna assaporò un breve attimo di pace, poco prima che una figura atipica varcasse l’uscio della logora porta in larice. Era ammantato di rosso e cosparso di neve, ad ogni suo movimento un suono metallico attraversava la stanza. Un elmo dai lineamenti arcuati e la coda scarlatta ne copriva il capo. Dalla sua estremità posteriore ampie corna spuntavano ricurve.
    Senza curarsi degli sguardi indiscreti, prese posto solitario in un angolo oscuro della taverna, scrollandosi la neve dal mantello.
    L’anonima figura era tanto taciturna quanto terribile. La sua altezza superava quella di qualsiasi
    uomo lì presente. Un’imponente armatura dalle tonalità boschive copriva ogni angolo del suo corpo, lasciando fluire solo il lineare respiro.
    La cameriera della taverna si avvicinò a lui con passo tremante. Era una giovane donna dai lineamenti esotici, lunghi capelli d’ebano e occhi azzurri come la brina. Le vesti logore non tradivano quella naturale bellezza che la caratterizzava.
    “Una stanza...”
    Senza che la dama potesse aprire le morbide labbra, l’uomo si espresse.
    La sua voce era imponente e metallica, con un accento che non apparteneva a quelle terre.
    Una cascata di monete si riversò sul tavolo quando lo straniero portò la sua mano corazzata alla borsa in pelle che teneva sotto il mantello.
    I presenti guardarono sbigottiti quella modesta, ma allo stesso tempo grande ricchezza.
    “Prendi quello che vale, mi affido alla tua onestà.”
    Con mani tremanti, la ragazza afferrò quelle poche monete che servivano ad affittare la stanza per una notte. Avrebbe potuto approfittarsi di quell’insolita fede, ma uno strano senso d’inquietudine la dominava. Il solo restare così vicino all’uomo le gelava il sangue nelle vene, nemmeno immaginava nel recesso più oscuro della sua mente di beffarsi del suo gesto.
    Gli sguardi dell’intera taverna l’avevano abbandonato, lasciando tornare la quiete che regnava prima del suo ingresso. Solo i tintinnanti passi della taverniera spaccavano il silenzio, accompagnati dal rumore di cibo masticato e bevande diluite.
    Lo sconosciuto restava seduto taciturno, i suoi occhi quasi abbaglianti mandavano lampi di fuoco al buio accanto a lui.
    L’anziano aveva destato le vecchie ossa dalla sedia, portandosi al tavolo dello straniero.
    “Salve a te.” Esordì lui. “ Io sono il capo di questo villaggio. Il tuo accento mi lascia intuire che non sei un uomo di villaggi o regioni vicine, dunque ti do il benvenuto.”
    Rimase in silenzio alle parole dell’uomo, senza dargli alcun peso.
    “Noto che porti con te una cerca quantità di denaro, devi essere un viaggiatore accanito. Se non sono invadente, cosa ti porta qui nello sperduto Nord?”
    L’elmo ruotò con un cigolio metallico verso l’anziano, la sola vista di quegli occhi tanto anomali bastarono a destare un sudore freddo dietro la sua schiena.
    “Sebulkron.”
    Il volto del vecchio divenne una maschera gelida, i lineamenti restavano immobili, rappresentando un perenne stupore.
    Tutta la taverna nel solo sentire pronunciare quel nome abbassò lo sguardo sussurrando fugaci preghiere. Fra gli abitanti dell’arcipelago nordico nominarlo equivaleva a un’invocazione demoniaca.
    “Se vuoi ammirare il grande dragone dovrai avere il bacio della dea bendata sulle tue labbra, egli viene visto di rado.” commentò turbato l’anziano.
    “Non voglio ammirarlo, voglio sfidarlo.” Replicò lo straniero corazzato.
    La guida del villaggio diluì la sua stessa saliva, il volto puntato sul pavimento e le mani strette al tavolo. Tornò a proferire poche parole pressate, che poi esplosero in un impeto furioso.
    “Chiunque ti mandi, se è dei villaggi vicini, ti assicuro qualunque cifra ti abbiano offerto non vale il rischio o NON POSSONO pagare. Riusciamo appena a superare l’inverno.
    Se cerchi il tesoro del drago, allora hai ancora meno ragioni di sprecare la tua vita affrontandolo. E’ solo una favola che i nostri avi tramandano ai pargoli da qualche decennio. Nulla è reale.”

    L’imponente uomo vestito di metallo si alzò accompagnato dal mantello che scivolava sul suo corpo.
    “Non cerco ricchezze, cerco una sfida.”
    Con quelle semplici parole chiuse il dibattito, lasciando sconcertato il vecchio.
    Lo straniero si diresse verso la locandiera, gli occhi di fuoco incrociarono quelli di ghiaccio della fanciulla, che fra le candide e fragili mani sorreggeva una piccola chiave. La mano corazzata si spalancò difronte a lei, era chiaro cosa reclamasse. Senza indugio, la giovane donna posò nelle sue imponenti dita metalliche l’oggetto che teneva nel palmo.
    “Le stanze... Sono di sopra.” Gli disse con fare roco la dama.
    Le candele delinearono i lineamenti imponenti dell’armatura per pochi metri, poi assorbito dal buio onnipresente, scomparve fra i cigolii dell’acciaio e lo strusciare del mantello , come uno spettro insorto e poi tornato nell’oltretomba.


    CAPITOLO II : Tormenta di neve scarlatta

    Le ultime luci mortali avevano abbandonato l’arcipelago, lasciando risplendere nella tarda ora solo il cosmo con i suoi chiarori siderali, i quali gettavano lo sguardo a una singolare creatura coricatasi sulle isole nordiche.
    I bagliori diurni non si erano posati sulle ghiacciate guglie di pietra lattiginosa che andavano a comporre le massicce catene montuose. Le nubi avevano offuscato i raggi solari durante il principale ciclo della giornata, lasciando fuggire dal loro abbraccio solo pochi fievoli fasci. La neve cingeva la chioma degli abeti e gli uomini sprofondavano nella sua morsa fino alle caviglie, ma l’insolito essere torreggiava spavaldo sul candido assito nato dal respiro di madre natura.
    La creatura vantava dimensioni mastodontiche. Spaventose ali cremisi erano serrate ai suoi fianchi, aguzze spine scarlatte ne percorrevano la sinuosa schiena ricoperta di scaglie. Il muso era incurvato all’estremità, e mostruose corna emergevano dal capo. Gli infossati occhi color ambra risplendevano di torvi e diabolici pensieri.
    Sedeva paziente sul manto d’avorio, scrutando il faraonico paesaggio che lo accerchiava.
    Lo sguardo della creatura ebbe un fremito alla vista di una scia azzurra semi-invisibile quasi fusa con il glaciale panorama. La gelida folgore guizzava agli occhi dell’essere alato con movimenti acrobatici, come fosse guidata da una qualche intelligenza.
    La vide percorrere gli abeti e le siepi, prima di posarsi in un turbinio di brina e spifferi gelati, proprio accanto a lui. Le scie artiche si dissolsero, rivelano la minuta sagoma rapace di un gufo dalle curiose ed esotiche tonalità. Il folto piumaggio era turchese, con ampie sfumature eburnee. I tondeggianti occhi notturni presentavano una radiosa orbita di cobalto, rilucente di curiosità verso il titanico animale che gli stava difronte.
    Lo sguardo di ambrosia era ancorato a quello artico, per pochi frammenti di tempo nessuna delle creature accennò a un movimento o sussulto nel mentre che il respiro del vento scorreva sui loro corpi.
    Un palpito nell’aria, un suono ruggente, con la rapidità di lampo le acuminate zanne guizzarono verso il gufo, agguantando però solo la pungente aria notturna. Il minuto rapace aveva evaso la scattante abbarbicata con movimenti sciolti e spediti. Senza essere turbato dal gesto della bestia rossa, il gufo rimase sospeso con lineari battiti d’ali, senza distogliere lo sguardo dalla mastodontica creatura.
    “Viverna.” Risuonò fra gli abeti una colossale voce di ghiaccio.
    Le scaglie sul viso dell’aguzza creatura si piegarono in un orribile ghigno all'echeggiare di quel timbro imponente.
    “Oh saggio uccello, i miei più umili ringraziamenti. Il dubbio sulla mia identità mi tormentava da secoli, credevo di essere l’incrocio fra un fringuello e un pipistrello.”
    Il candido portatore di sventura rimase in silenzio per esigui, ma ponderati istanti. Il gelido soffio dei venti nordici fluiva sull’incantevole pennacchio boreale, senza riuscire a scomporre l’imperitura maschera apatica del volatile.
    “Di certo fringuelli e pipistrelli sono tuoi pari in ambito intellettuale, e ti sovrastano in quanto prudenza.”
    La viverna sogghignò a quelle parole.
    “Inverno, minuscolo uccellaccio, sono talmente sciocco da provocare un essere della tua maestosità. Una creatura così imponente, che se mi finisse fra le zanne rischierebbe di strozzarmi con la vastità della sua boria.” Commentò .
    “Le guglie ghiacciate borbottano rauche e timorose il mio nome, i venti sussurrano le mie gesta nel pieno del terrore. Abbandona queste valli, o sfida la leggenda.”
    Bagliori rossastri rischiarirono la bocca dell’acuminato titano, come un drago immortale, egli rigurgitò una sfera di fuoco sul gufo boreale.
    “La leggenda è stata incenerita.”
    Le lingue di fuoco nate dall’esplosione incendiaria si dissolsero in una ventata furiosa, non rivelando però il cadavere carbonizzato del gufo, bensì un’ombra ciclopica che andava ad emergere solenne difronte agli occhi d’ambra della viverna.
    Nel manto di oscurità s’intravedeva un collo liscio e serpeggiante, dalla cui collottola correva una tagliente cresta. Il capo della creatura era arcuato, e spesse corna torreggiavano ricurve dalla sua estremità.
    Gli occhi di cobalto si spalancarono all’unisono delle nottole ali ghiacciate.
    Un getto di ruggente brina guizzò nella direzione del rossastro rettile alato. Accompagnato da un palpito alare che fece tremare la terra, tentò di evadere il colpo, ma il gelo ghermì la sua zampa sinistra con artigli di ghiaccio.
    Nonostante il pungente peso sull’arto, la sagoma della viverna continuò ad elevarsi alacre ed inarrestabile in cielo.
    Il glaciale avversario divorava la distanza che li separava ad ampi battiti alati. Con un ruggito brutale, l’aguzzo riversò una serie di sfere infuocate contro di lui.
    La creatura dei ghiacci virando in movimenti snelli e precisi evitò i globi incandescenti, arrivando ad incornare il muso del nemico. Ambrosia vermiglia impastò i denti e imbrattò il viso del rettile scarlatto. Con il volto mutato in una maschera di collera, la viverna ruotò ad angolo retto il mastodontico corpo, imprimendo l'orma della coda ricoperta di spine sul collo dell’avversario. L’artico sussultò verso il basso, rigurgitando dalle fauci un’eruzione glaciale a replica dell'offensiva. Il rettile dagli occhi di ambra non si fece cogliere impreparato, vorticando di parecchi metri nella direzione opposta eluse l’attacco.
    Il dorso del glaciale venne scosso da un fremito, imponenti spuntoni d’avorio crebbero dalle spalle fino alla coda. Un singolo movimento, e affilate lance di ghiaccio brillarono in cielo scagliate da una forza indicibile.
    Il muso ritto, le ali spalancate, lesto la viverna si rigettò contro di lui, sfoggiando globi fiammeggianti a ripetizione per fronteggiare i taglienti spuntoni di brina.
    I due entrarono in collisione ancora una volta , e la battaglia esplose in una barbarica veemenza furiosa. Morsi, fendenti e schiacciate, tutto era lecito in quello scontro selvaggio. Bombardamenti di fuoco e ghiaccio si susseguirono privi di interstizio, riversando sulla terra una pioggia rossa e azzurra.
    Dall’alto delle grigie nubi, un lampo scarlatto si schiantò al suolo come una meteora, cogliendo il pacifico lago nella parte orientale dell’arcipelago.
    Le ciclopiche dimensioni del corpo precipitato innalzarono una fugace marea d’acqua dolce, lasciando poi il palco solo al suono di un temprato battito d’ali.
    Dal profondo, il caduto osservava la superficie del lago gelarsi lenta e incontrastabile.
    Fiocco fra gli spasmi del corpo logorato dalla battaglia, riuscì a far risuonare nella propria mente una singola parola. Un nome, un richiamo.
    “ Setran...”



    CAPITOLO III : Passione di fuoco

    Le fiacche luci delle candele rischiarivano brevi tratti del fosco corridoio di logoro legname. Un tintinnio duttile andava a scontrarsi con le barbogie pareti, risuonando veemente all’interno delle stanze che correvano per il corto andito.
    I lumi delineavano una figura metallica in cerca della propria branda per la notte. Gli occupanti della taverna per quelle ore erano un gruppo esiguo, la maggior parte venuti da altri villaggi, giunti per tessere rapporti bellici, mercantili o per faccende personali.
    Dai cunicoli delle serrature occhi luccicanti di curiosità e superstizione spiavano l’anonimo uomo di ferro. Lo straniero era conscio degli sguardi attirati a se, eppure rimaneva apatico a quei gesti, l’unico pensiero ristagnante nella sua mente era raggiungere la stanza che l’avrebbe accolto.
    Sulla chiave cedutagli dalla taverniera risplendeva inciso con grezza maestria il simbolo runico di un’alfabeto a lui ignaro. Le porte erano segnate da marchi simili, un metodo di distinzione per intrecciare le chiavi con le dovute porte.
    Il simbolo sull’oggetto l’aveva guidato a una serratura divorata dalla ruggine, tanto tumefatta da sembrare capace di sgretolarsi al minimo urto.
    Un cigolio rugginoso accompagnò l’uscio che lentamente si spalancava illuminando la spartana camera dell’enigmatico individuo.
    Una singola finestra posta frontalmente all’ingresso lasciava penetrare la luce lattiginosa della luna, affiancato ad essa, un letto il cui materasso era imbottito con della paglia cozzava con la parete di abeti. Grande appena quanto un tizzone da fabbro, un armadio a muro adornava la parete sinistra.
    Chiudendosi la porta alle spalle, l’ignoto guerriero alzò lo sguardo al cielo, contemplando i movimenti astrali. Un vento fiacco strisciava dall’apertura sulla parete, facendo ondeggiare il mantello sul pavimento invaso dalla polvere.
    Pochi minuti lasciarono danzare una pace solenne fra le vecchie pareti. Il respiro del nord fischiettava accompagnando il canto delle sterne paradisee, armoniosa composizione rimbombante fra i possenti alberi dalle fronde d’avorio.
    L’euritmia venne spezzata da un convulso rintocco sulla porta.
    Lo straniero si voltò con movimenti regolari, senza impulsi o fremiti. Gli occhi fiammeggianti osservarono quella minuta figura che timidamente spalancava l’uscio, riconoscendo la lucente capigliatura d’ebano e lo sguardo di brina.
    Il fuoco e il ghiaccio s’incrociarono risplendendo nelle iridi di entrambi. I sinceri occhi di lei riuscirono a difendersi dalla tiranneggiante visione per esigui attimi frammentati, prima di cascare sul suolo impolverato.
    Non osavano rialzarsi per rischiarire sul gigante. Terrore e timidezza si mescolavano nella sua mente, lasciando fluire dalle labbra solo un rauco balbettare.
    Un passo tuonò nell’angusta stanza, l’uomo si stava avvicinando. Assaporò brevi ed intensi momenti di tormento, prima che il caliginoso respiro di lui gli passasse fra i capelli. Venne percossa da un brivido impetuosa e primitivo, l’uomo era dinanzi a lei.
    “Io...volevo...” la ragazza ricercò disperatamente l’audacia per proferire, ma la terrificante apparizione risvegliava nel suo cuore un’ansia capace di farle morire le parole in gola.
    “ Da dove vieni?” Chiese spedita.
    Aria bollente nata dal respiro dello straniero invase la stanza.
    “Sud, terre di Zatal. Il mio nome è Setran.”
    Dopo tenui peripezie la ragazza aveva un nome da associare al colosso d’acciaio.
    “Non sembri... Apprezzare molto la compagnia. Vuoi che vada?” Domandò con timidezza.
    “Mi sei indifferente, resta o vattene. Non mi duole e non gioisco.” Replicò con apatia Setran.
    “Io sono Yrsa, la figlia del taverniere.” L’uomo rimase in silenzio.
    “... Non togli mai quella pesante armatura?” Un altro potente respiro fece oscillare la capigliatura d’ebano.
    “ L’armatura è il retaggio del guerriero, io sono un gladiatore, non faccio eccezione. Quando i cancelli dell’arena si spalancano, il gladiatore ha bisogno della sua armatura per sopravvivere alle avversità della battaglia.”
    Quella insolita e quasi folle spiegazione confuse Yrsa. Raramente la ragazza veniva a contatto con individui delle terre esterne, ma il comportamento dell’uomo era atipico anche per uno straniero.
    “Ma ora non stai combattendo, non c’è nessuna arena bramosa del tuo sangue.” Osservò lei.
    “Sono le guglie di ghiaccio e il titano che vi si cela a bramare il mio sangue. Il mondo non ha clemenza con gli sprovveduti.” Replicò gelido.
    La ragazza si fece più vicina, poteva quasi sfiorarlo con la punta delle labbra. Le morbide mani si insinuarono sulle possenti forme dell’uomo, il sospiro Yrsa a un centimetro dalle placche dell’elmo.
    “Solo uno sguardo, tene prego...Soddisfa la mia curiosità.”
    Le dita esili presero a incunearsi sulle lastre del petto, slacciando i sostegni della corazza. Quando i luminosi fasci lunari si posarono su quelle forme, la ragazza trasalì.
    La pelle per alcuni tratti era percorsa da scaglie scure, simili a ferro nero. Lisce, ma massicce come la pietra. Yrsa era indietreggiata fino alla porta, tremante come un ladro in attesa del boia.
    Setran non si curò del terrore della ragazza. Avvicinandosi con lentezza solenne, sfilò il suo elmo, rivelando un volto conturbante, le cui forme in parte celate dall’ombra con pochi tratti svelavano la natura inumana dell’errante d’acciaio.
    “Metà uomo, metà drago.” Quella rivelazione sembrava aver placato l’animo della ragazza, la quale credeva di trovarsi dinanzi ad un demone degli abissi, un orrore risputato dagli inferi. Invece, stava ammirando la via di mezzo fra la sua razza e quella dei possenti dragoni, un crocevia capace di farla sentire onorata di essere umana.
    Adagio la folle fiamma ardente nel suo cuore andava ad affievolirsi, fino a sparire in una pozza d’oscurità.
    Le morbide dita della dama si protesero verso Setran, non con disprezzo o paura, ma accompagnate da risoluta curiosità. I dolci palmi sfiorarono le ruvide scaglie del mezzouomo, avvertendone la pungente freddezza. Yrsa era ammaliata dai suoi insoliti occhi a mezzaluna, nelle cui iridi avvampava una fiamma che rasentava le tonalità del crepuscolo.
    Un boato fulmineo scosse la terra. Setran gettò lo sguardo al varco sulla parete, ove vide due esseri di stazza mastodontica dai colori azzurri e scarlatti, impegnati in un furioso scontro fra fuoco e ghiaccio.
    “INKALGORN!” Urlò.
    Prontamente cinse il capo con l’elmo arcuato, catapultandosi come posseduto dal demonio.
    Le gambe attraversavano leste i prati innevati nel mentre che fra getti di fiamme e brina, la battaglia degli alati proseguiva. Troppi passi lo separavano dal conflitto.
    Vide una sagoma rossastra precipitare verso est, abbattendosi rovinosamente su un ciclopico bacino.
    L’altra figura, sgargiante nella notte per i colori artici che la caratterizzavano, seguì la traiettoria percorsa dalla saetta scarlatta, portando con se un tempestoso inferno di ghiaccio.
    Il fiato quasi moriva in gola al mezzouomo, ghermito dai venti iracondi. Una voce indebolita da molteplici laceranti ferite gli rimbombò nella mente, invocando il suo nome.
    Sopraggiunse nel luogo dove la battaglia aveva trovato il suo epilogo, il gelido essere alato ormai lontano dalla sua mano vendicatrice.
    Difronte all’errante si stagliava un lago dalle esigue dimensioni, la cui superficie era stata ghiacciata.
    Con forza erculea, schioccò i pugni d’acciaio sul suolo vitreo. Il clangore del ferro battuto in temprata successione sul ghiaccio risuonò potente come un corno da battaglia. Pugno dopo pugno, il ghiaccio andava a sgretolarsi sotto l’infuocata furia pulsante nelle vene di Setran.
    Un ultimo colpo, diretto e deciso, creò una spaccatura sul gelido blocco. Piccole crepe crebbero, espandendosi sulla superficie come un cancro malefico che attacca l’organismo, frantumando poi l’intero portale. I pezzi della barriera affondarono austeri nel lago, le cui profondità rivelavano la creatura da lui chiamata Inkalgorn.
    Privato dell’indugio, Setran si tuffò nelle pungenti profondità, scuotendo l’acuminato titano. Gli infossati occhi d’ambra si spalancarono, confusi dall’ondeggiare delle acque. Guidato dal potente braccio del mezzouomo, l’alato poté assaporare nuovamente il moto dell’aria nei suoi polmoni.
    Il sole susseguente alla nefasta nottata irradiò le vallate dell’arcipelago, nuocendo con scottanti raggi ai mantelli d’avorio nati dalla neve.
    Ascia bipenne e spada dall’elsa corvina in pugno, elefantesco arco osseo cinto alla schiena, Setran dall’alto delle scogliere occidentali guardava risoluto l’isola alla deriva, ove si diceva Sebulkron avesse stabilito la propria tana.
    Yrsa al suo fianco, i luminosi capelli d’ebano baciati dal vento e gli occhi stregati dal potente guerriero figlio di due mondi.
    “C’è un medico che spesso viaggia per le coste del suo dominio, in cerca di rare erbe. Lui può scortarti laggiù, ma dovrai affrontare le insidie oltre la spiaggia di ghiaccio da solo.” Gli disse lei.
    “Non ho bisogno di un fragile guaritore come balia... Io sono Setran, il gladiatore ammazzadraghi, la sanguinaria mano dell’Arena. Le ferite di Inkalgorn hanno gettato il guanto di sfida, e il guanto è stato raccolto. Trionfo o morte, questa è la legge.”


    CAPITOLO IV: Il bastione di ghiaccio

    Le tranquille acque che separavano l’isola solitaria dalle placche di terra dell’arcipelago ondeggiavano cristalline. La battaglia fra i due dragoni aveva soffiato ad est le poche nubi che imperversavano con venti iracondi, lasciando come monito solo una delicata brezza.
    Una gracile imbarcazione accompagnava sul suo dorso Setran, il gladiatore ammazzadraghi, venuto dalla terra del fuoco e dell’acciaio per sfidare il signore dei ghiacci nordici.
    Il padrone della barca, un medico chiamato Sigval, uomo robusto dai lunghi capelli color quercia e la fronte incurvata, aveva accettato lo straniero come ospite per uno stravagante senso di curiosità.
    L’uomo del sud era di poche parole, per tutta la traversata i suoi occhi avevano puntato verso il cuore dell’isola, come se potesse quasi vedere la tana del dragone.
    “Dunque sfiderai quel diavolo azzurro?” Chiese Sigven.
    “Lui ha sfidato me, e io ho raccolto la sfida.” Replicò il gladiatore.
    “Da come guardi la sua isola deve averti fatto un grave torto, straniero. In molti fra i nostri guerrieri hanno cercato di abbatterlo, ma non sono mai più tornati dal ventre della Vallata d’avorio, dove lui ha la sua tana.”
    “Se nessuno è mai tornato, come fate a sapere che il suo nascondiglio è laggiù?” Domandò Setran.
    “Avrai notato che alcuni villaggi lo adorano al pari di una divinità, disgustoso. Alcuni fra i più fanatici hanno osservato i suoi spostamenti, intuendo che si rifugi proprio nella Vallata d’avorio. Non hanno mai osato spingersi troppo oltre, per timore di destarne la collera. Solo i caduti hanno avuto una simile audacia. Che il Primo Guerriero vegli sulle loro anime.”
    “Chi è il Primo Guerriero?”
    “Il Primo Guerriero... un tempo su queste terre veniva venerato da molti. Millenni fa, quando il sole era ancora un neonato, orchi dalla pelle albina tiranneggiavano sull’arcipelago con una foga a cui nemmeno Sebulkron è pari. I nostri avi venivano trattati come gregge, divorati o piegati allo schiavismo.
    Poi, da quella mandria si erse lui, il Primo Guerriero. Raccolse nelle viscere dei ghiacci i minerali più rari, e accese un falò così imponente da rischiarire il cielo col suo bagliore. Nel cuore delle fiamme, quelle grezze pietre mutarono in qualcosa di nuovo. Il Primo Guerriero allora modellò quella bollente argilla, fino a darle una nuova forma. Così forgiò la prima lama che queste terre abbiano mai visto, e la usò per portare la vendetta sulle teste degli orchi. Ogni colpo era come la zanna di un lupo, e sventrava la carne dei giganti così in profondità da lacerarne le interiora.”

    Setran ascoltò con attenzione la leggenda offertagli dal medico, nel mentre che l’imbarcazione veniva cullata verso la tana del dragone.
    Arrivarono a destinazione, e privato di ogni indugio, il gladiatore si diresse verso la Vallata d’avorio, nei recessi più freddi dell’isola.
    Nel suo percorso Setran incrociò una fitta vegetazione cinta di neve, il sentiero non era stato battuto da mani umane, si vide quindi costretto ad attraversala.
    Il bosco vestito di bianco termino in una brusca strettoia. Le limpide pareti si aprivano in un cunicolo, grande quanto un carro, il quale proseguiva fino a sbucare dal lato opposto.
    L’intero era ricolmo di aguzzi stallatiti, e ogni tanto una goccia d’acqua gelida scivolava sull’armatura metallica.
    Raggiunta l’estremità della galleria, gli occhi infuocati poterono finalmente posarsi sulla faraonica Vallata d’avorio. Stretta fra le braccia di colossali montagne, veniva attraversata da un fiumiciattolo che sboccava nel mare. Possenti cumuli di ghiaccio si stringevano intorno al capo del fiume, rendendo impossibile vedere oltre.
    In lontananza, Setran notò qualcosa di simile a un’edificazione, confusa con il glaciale paesaggio. La sua vetta aguzza spiccava fra le pile di brina. Avvicinandosi tanto da attraversare le azzurre cataste, la visione si fece sempre più nitida, rivelando celato tra la brina un immenso palazzo forgiato dal ghiaccio.
    Spiccava nell’aspetto per l’essere maestoso, ma grezzo nel medesimo istante. Pareti lisce ed aguzze risalivano l’edificazione, per congiungere in un immenso varco ciclopico da cui il gladiatore scrutò gli interni della reggia.
    Imponenti statue di ghiaccio rappresentanti dragoni immortali e vessilli di terre perdute ornavano i confini dell’ingresso. Portando lo sguardo verso l’alto, Setran notò uno spesso strato di ghiaccio costellato di stallatiti e sostenuto da massicci pilastri cristallini. Sulla sua superficie un gigantesco foro, abbastanza grande perché un drago vi passasse ad ali spalancate, gettava ombra sul pianoterra.
    “La mia dimora è di tuo gradimento?”Rimbombò fra le pareti una profonda voce abissale.
    Due punti azzurrini brillavano nell’oscurità dinanzi al gladiatore. Passi tanto potenti da riuscire a frantumare la terra echeggiavano tonanti.
    La luce alle spalle di Setran schiarì la figura in avvicinamento, rivelando un massiccio drago dalle lucide scaglie bianche macchiate di un vischioso liquido azzurro. Lacerazioni e lividi costellati sulla sua pelle lasciavano intuire il marchio di una feroce battaglia.
    “La tua armatura non porta i fregi del mio dominio, dunque ora venite anche da regioni sperdute per reclamare la mia testa. Sei qui di tua scelta, o perché quegli umili sorci hanno chiesto la tua presenza?” Si espresse l’immenso drago del nord.
    "Tu hai incitato la mia lama massacrando Inkalgorn la scorsa notte.” Rispose truce l’ammazzadraghi.
    “Inkalgorn... La viverna rossa. L’avevo avvertito sul destino che l’avrebbe seguito, ha preferito ignorare la mia benevolenza.
    Hai osato tanto da venire a disturbarmi nella mia tana, dunque sarò benevolo anche nei tuoi riguardi. Nel nome del vostro legame, se il tuo cadavere sarà ancora integro lo getterò nel medesimo lago dove l’ho lasciato ad affogare.”

    In un impulso di collera selvaggia, Setran impugnò le armi per scagliarsi contro Sebulkron. Il drago ghignando con fare beffardo liberò il suo respiro artico, una travolgente nube di ghiaccio capace di congelare la fiamma più ardente. Il gladiatore guizzò lontano dalla sua traiettoria, lanciando incontro al muso del dragone l’ascia bipenne. L’arma cozzò violentemente sulle robuste scaglie semi-onnipresenti sulla pelle della bestia glaciale, poche gocce di sangue bluastro colorano dalla fronte ma il dolore fu pari a una puntura.
    “Insulti il mio retaggio affrontandomi con queste lame da contadino.” Derise Sebulkron.
    L’errante guerriero del sud invocò nel suo pugno una cocente aura rossastra dalla forma sferica, che scaraventò con forza verso il drago dei ghiacci. Fiamme iraconde si contorcevano verso Sebulkron, avvampandone la pelle ghiacciata.
    Il polare, ruggendo la sua collera al nemico, fece roteare la gargantuesca coda in un violento colpo capace di proiettare Setran verso la parete. Il gladiatore tentò di alzare la spada per contrattaccare, ma la bestia del nord fu più svelta.
    La parete di ghiaccio recava l’orma del corpo corazzato, le zanne di Sebulkron erano in agguato sulla sua anima, pronte a serrarsi per trasportarlo nell’oltretomba.
    Un tintinnio d’acciaio caduto al suolo proruppe nella foga della battaglia. La spada dello straniero di ferro era caduta al suolo e il drago premeva famelico sulla parete, senza riuscire però a saldare le zanne. Setran con un piede rivestito di metallo premeva sulla mandibola del drago, e le forti braccia divaricate verso l’alto bloccavano la morsa della mascella.
    Il guerriero resisteva imperterrito nel mentre che il dragone si dimenava follemente per schiacciarlo sotto i suoi denti aguzzi.
    Un’aria gelida proveniente dal fondo della gola bestiale accarezzo l’armatura del guerriero, ed egli sentì la morte sussurrare al suo orecchio. Il mezzodrago si tuffò via, evitando il soffio glaciale di Sebulkron.
    Il tempo di riprendersi non gli fu concesso e in un lampo la visione del tiranno artico lo incornò, scaraventandolo nel sottosuolo da una spaccatura sul pavimento.
    Una luccicante collina di monete e tesori preziosi attutì la caduta del gladiatore. Era stato catapultato in una grotta sotterranea, luogo dove Sebulkron custodiva i frutti delle sue razzie.
    Scintillati colline adornavano il luogo, abbagliando le limpide pareti di ghiaccio. Quella sala di portata ciclopica stagnava a circa una decina di metri dalla piattaforma da cui il guerriero era precipitato.
    Vide l’ombra di Sebulkron incombere minacciosa su di lui. Dolorante per la caduta, impugnò l’elefantesco arco osseo, ma immediatamente il drago lo travolse, atterrandolo.
    La zampa del polare premette impetuosamente sul braccio sinistro, e un rumore di ossa frantumate echeggiò per la grotta.
    Le zanne furenti ne bramavano la testa, mentre il suo corpo dolente affogava nelle ricchezze del dragone. L’alito glaciale gli penetrò l’elmo, e le dita corazzate affondando sfioravano qualcosa dai lineamenti familiari.
    Sulla soglia della fine, venne invaso da un’implacabile ardore. Un fendente di luce squarciò l’aria e Sebulkron indietreggiò di scatto.
    “Il fato si starà beffando di me.” Commentò il drago nel pieno della suggestione.
    Nella sua mano destra, Setran stringeva una possente spada scura di rara fattura, la cui elsa d’ebano emulava la forma di ali draconiche. Al centro, un ambrato prezioso della forma di un iride pulsava di energia, e al suo interno una pupilla nera a mezzaluna era completamente spalancata.
    Incandescenti fiamme mistiche serpeggiavano sulla sua lama nera.
    “Shadormor... Sta liberando la sua forza.”


    CAPITOLO V: Furore ancestrale

    Le fiamme mistiche si specchiavano nell’iride stupefatta del drago. Sebulkron aveva indietreggiato di qualche passo, colpito dall’abbagliante rivelazione.
    Quell’uomo cinto di ferro e acciaio, morente ma forte nello spirito, era riuscito dove lui stesso non aveva mai potuto spingersi.
    “La mia reliquia, Shadormor... Risponde alla tuo tocco!?” Ruggì il drago.
    Le dita d’acciaio abbrancavano la fredda impugnatura, il respiro affannoso gettava fumi neri nell’aria circostante. Risollevandosi, torvo nei suoi pensieri, Setran scagliò un poderoso fendente al muso del drago. Il soffio glaciale si erse a difesa del suo padrone, ma incrociò sul suo infausto cammino la rovente fiamma che si snodava sulla lama d’ebano dell’antica spada.
    Il fuoco ed il ghiaccio s’incrociarono in una danza mortale, urlando iracondi con sospiri di vapore bollente.
    L’errante guerriero avanzava con l’arma rivolta al nemico, il braccio sinistro semi-spezzato e la furia nel cuore.
    “La tua superbia mi è familiare... Puzzi di uomo, ma avverto anche un vago odore di drago, simile a quello della viverna. Voi due eravate molto simili, ma lui era una creatura draconica, ed è caduto. Un uomo ferito il cui corpo attende solo l’eterno riposo aspira davvero a una vittoria?” Derise Sebulkron.
    L’ammazzadraghi rimase in silenzio con gli occhi infuocati e la spada in pugno.
    “Ho affrontato decide di draghi...” Enunciò l’inumana voce di Setran.
    “Siete una razza la cui forza viene surclassata solo dalla boria. Tutti guardate a me come un uomo, e forti della vostra boria mi elargite i confini di un uomo.”
    Un urlo d’agonia proruppe nella grotta nel mentre che zampilli di sangue azzurro ricadevano al suolo. Le zampe anteriori di Sebulkron erano state falciate dal fendente di Shadormor, e il gladiatore si preparava a trafiggere il ventre della bestia artica.
    In uno sfogo di collera, il drago mosse gli artigli in un colpo mortale, costringendo il mezzouomo ad indietreggiare. Rimase a stento in equilibrio sulla soglia dell’immenso baratro che si affacciava alle sue spalle. Il soffio glaciale del tiranno artico incombeva inarrestabile, quando un lampo cremisi andò ad incornare Sebulkron, scaraventandolo sulla parete cristallina.
    Le fievoli luci insinuatesi dall’alto della grotta schiarirono la sagoma simile a quella di una drago quadrupede, e Setran riconobbe la sua cavalcatura da battaglia, ancora sanguinante.
    “Saresti dovuto rimanere in quella stalla, non puoi affrontarlo.”
    L’acuminata viverna non diede peso al rimprovero del guerriero. Ghignando con fare beffardo lanciò una malevola occhiata di disprezzo all’alato artico che andava a rialzarsi con la furia nel petto.
    “Nel nome di tutti i bastardi a cui abbiamo strappato il cuore, se dobbiamo morire, moriamo insieme.”
    Sfrecciando verso il cumulo di monete dove aveva rinvenuto Shadormor, il fantasma di ferro raccolse dall’estremità della collina dorata l’arco osseo, riponendolo sulla schiena.
    Sebulkron lo assalì con aguzzi cristalli di ghiaccio, i quali vennero frantumati in milioni di schegge da una selva di sfere infuocate, rigurgitata dalla viverna scarlatta.
    Setran balzò in groppa al furioso animale, riponendo la spada affianco al cinturone, per impugnare la cartilaginea arma a distanza.
    Appena provò a tendere il possente arco, un dolore incommensurabile s’impadronì di lui. Il braccio sinistro tormentava i suoi nervi , imponendosi con laceranti tormenti.
    Sottordine del suo signore, Inkalgorn distese le ali per fuggire via dalla morsa della grotta. Attraversarono i cancelli della bastione ghiacciato, accolti dal sole splendente sulle montagne.
    Il freddo soffio dei venti invernali accarezzò nuovamente le ferrigne placche che andavano a comporre l’armatura del nerboruto guerriero.
    Sebulkron adirato dalla prova di codardia, si fregiò del manto di distruttore artico, liberando devastanti lampi ghiacciati contro i suoi nemici.
    La viverna evase agilmente la glaciale percossa, ritrovandosi senza fiato ad ogni movimento.
    Ancora comandato da Setran, egli si voltò, incrociando con risentimento lo sguardo del polare.
    Dalla sommità della sua cavalcatura, lo straniero del sud impugnò la mistica spada sottratta al tesoro del drago. Il respiro del nord lasciava ondeggiare con solennità il rossastro mantello sulle spalle del mezzouomo, i raggi solari esaltavano le tonalità della truce armatura.
    L’aria fredda invase i suoi polmoni in un profondo respiro capace di isolarlo dal mondo esterno. Sentiva solo il battito del suo cuore, e all’unisono, pulsava la forza della spada che stringeva nella sua mano destra. Un passo, e il vuoto lo accolse.
    Setran si tramutò in una meteora di fiamme iraconde, germogliate dalla lama di Shadormor. L’olocausto di quell’impetuosa forza inarrestabile , attendeva a zanna sguainate.
    Mentre l’ardente acciaio rivestito di fiamme incrociava il viscerale gelo abissale, Sebulkron rivide nell’ammazzadraghi una figura appartenente al passato. Quella singolare visione lo incuriosì più di quanto avessero fatto le gesta di Setran.
    Il fuoco ed il ghiaccio si scontrarono, e un’immensa pozza nera accolse lo sguardo dell’errante d’acciaio.
    Si risvegliò al suolo cosparso di neve, nonostante gli occhi annebbiati vide la spada Shadormor incastonata dinanzi a lui, e il drago dei ghiacci avvicinarsi grondante di sangue. La vista confusa dalla caduta, andava pian piano a riprendersi. Riuscì ad intravedere il suo drago giacere sconfitto a poche decine di metri . Il petto infilzato da molteplici lame di ghiaccio era posseduto da un’agitazione convulsa, araldo della vita ancora pulsante nel suo corpo.
    La stazza del drago polare adombrò Setran, esausto dalla lotta. La gelida mano del tristo mietitore accarezzava la sua anima, bramosa di reclamarla.
    “Quartiere.” Sussurrò il drago, con sommo stupore del guerriero.
    “ Riconosco la tua forza, se accetterai la mia resa, ti concederò Shadormor come segno di gratitudine.”
    Stremato ed incapace di ribellarsi alla mano del destino, il gladiatore pronunciò un’unica rauca parola.
    “ Accetto.”
    Un fremito gelido attraversò lo squamoso muso del gigante albino. Lanciò un fievole sguardo alle porte della sua dimora, ricambiato poi dal manifestarsi di una fanciulla dalla pelle candida, i capelli argentei e gli occhi simili a brillanti topazi.
    “La tua decisione vi rende ospiti nel mio dominio, e non si calunni la mia ospitalità oltre questi confini. Lei guarirà le vostre ferite, appena quel tuo, drago da monta... Sarà in grado di volare, lascerete queste coste.”
    La dama, rifulgente di bellezza, si chinò sull’erculeo corpo dell’ammazzadraghi. Le dita sfiorarono solo le sue forme, ritraendosi all’istante.
    “SEBULKRON!” Invocò impetuosamente l’ardito ramingo, rialzandosi sfiancato.
    “Qual’è il tuo scopo?” Quella semplice domanda richiamò una gutturale risata nella bocca del drago.
    “La spada dinanzi a te. Decenni fa era custodita in un tempio persino più antico di me, un santuario protetto da torri di ferro e bestie selvagge. Gli adepti la preservavano come se fosse appartenuta a una qualche divinità defunta. La leggenda di un tesoro millenario arrivò al mio orecchio, quindi ritenni il mio palazzo una roccaforte più adatta per qualcosa di tanto prezioso.
    Giunsi al santuario, demolii le torri più imponenti e strappai il cuore alle bestie più ardite, solo per ricevere un’abissale delusione. Tanta foga per una miserabile spada.
    All’altare incrociai un uomo morente, lui mi sussurrò la leggenda di quell’arma, incuriosendomi col potere celato in essa.
    Nonostante la mia conoscenza non riuscii ad evocare le forze conservate in quella lama, ma tu, hai trionfato dove io ho fallito. Tamen, quella che hai stretto nel tuo pugno era solo una frazione di quel potere.”

    “E quando avrò svelato i rimanenti segreti, bramerai la mia testa per riprendertela.”
    “Il potere brandito attraverso l’acciaio non è di mio interesse, ma la conoscenza sa essere allettante.
    Inoltre è il simbolo della tua vittoria. Dei guerrieri che hanno osato affrontarmi, solo i cadaveri sono tornati. Hai un nome o un retaggio, prode sopravvissuto?”
    Chiese Sebulkron, intessendo arguti intrighi.
    “Setran, sono un gladiatore dell’arido sud. Ho dovuto tenere una spada in mano prima ancora di imparare a camminare. Fra i cancelli d’acciaio ho appreso la legge dell’Arena, versato sangue, conosciuto l’egoismo e il tradimento. Ferito nell’anima dal re, nominato falce del tartaro, fuggii per conquistarmi la fama di ammazzadraghi.”
    “Le guglie di ghiaccio ti sono testimoni, Setran ammazzadraghi del sud, hai accettato la mia resa e le condizioni che essa comporta. Brandisci pure l’emblema del nostro patto come più ti aggrada, e preservalo come fosse il tuo onore.”
    Il drago scomparve in una nube ghiacciata, lasciando un pesante fardello sull’anima di Setran.
    Voltandosi dove il corpo del compagno Inkalgorn aveva smosso la terra con il suo titanico peso, intravedette quest’ultimo sorreggersi in piedi, ancora sanguinante.
    La fanciulla di ghiaccio aveva approfittato del monologo per alleviare le sofferenze all’acuminata bestia scarlatta con un incanto di natura a lui ignota.
    Tuttavia ne alla viverna, ne al prode sopravvissuto venne concesso di ricongiungere tutti i frammenti della sua forza, ma solo di attenuare la pungente sofferenza nelle proprie membra.
    Il tramonto si specchiò nel palazzo del drago, trafiggendone le pareti cristalline con le ultime sfumature rossastre.
    Un’immensa ombra dalle ali di pipistrello attraversò il frangente del crepuscolo, svanendo nell’orizzonte.


    Edited by Vulnus Bone - 3/4/2018, 00:27
     
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    A parte qualche raro errorino per la fretta, non mi sembra che ci siano troppe critiche costruttive o meno da fare... sono solo curiosa di sapere come andrà a finire, a chi dei due darai la vittoria finale ^^
     
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    *si siede* ehm, ehm...
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    L’acciaio tintinnò in un suono acuto, prima che le armi giacquero in silenzio.

    Ma non ti vergogni? Dove sono i congiuntivi! Bocciato!

    CITAZIONE
    “Lui, uccide corsari e conquistatori per profitto, per la sua brava selvaggia...

    Brava selvaggia? Mmmhhh, in cos'è brava questa Selvaggia? E chi è soprattutto?
    CITAZIONE
    La cameriera della taverna si avvicinò a lui con passo tremante. Era una giovane donna dai lineamenti esotici, lunghi capelli d’ebano e occhi azzurri come la brina.

    Ah è lei, scusa...

    Ma poi io dico, virgolette a random, punti tra le virgolette... ma io boh! Il degenerooo! xD

    Ho messo +1 solo perché ho sbagliato a cliccare, volevo mettere il -1 punti stima... giusto per innaugurare il pulsantino :knife:

    Boiate a parte, mi incuriosisce pure a me sto spazietto esterno alla storia.
     
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    Grazie tira e Aes ^^

    Poi correggo anche quei piccoli errori
    Ma non ho capito a cosa annuisci nella parte con la cameriera :dragonfierce:
     
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    Se per annuisci intendi alludi... era una battuta, prima hai scritto "brava" al posto di "brama" selvaggia. E io ti ho detto: ooh chi è questa brava selvaggia? Poi ho citato il pezzettino della cameriera per dirti "ah, è lei" xD
    Giusto per sparare una boiata. Come al solito.
     
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    Figa la descrizione del lago che si rompe, ma quel privo di indugio per tipo la sesta volta in mezzo rigo te lo bannerei (?).
    Simpatico comunque come raccontino, dov'è la vivernuzza? E un'altra cosa, un accenno a come Setran l'ha incontrata (la vivernuzza) ce lo metti? In stile flash back nella storia sarebbe yea :yea:
     
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    Il background Inkalgorn/ Setran sarà raccontato nella prossima role.
    E si, perché quando dico che è privo di indugio mi sento come lovecraft quando chiamava qualcosa blasfemo xD
    Scaglie, non squame. Perché non è un pesce :dragonfierce:
     
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    Vulnus, le scaglie sono quelle dei pesci, le squame invece quelle dei rettili ^^"

    Dai che sono curiosa di sapere chi vincerà ^^
     
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    Qualsiasi gioco sbaglia, qualsiasi film e anche qualche fantasy.
    Non è scale, dannazione u.u

    Comunque finirà in parità, l'hai spoilerato non ricordo dove xDD
     
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