Filemone e Bauci, i più fieri vecchietti del mondo

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    Rembrandt_Filemone_e_Bauci



    Narrata nelle metamorfosi di Ovidio, quella di questi due fieri vecchietti frigi è una storia di puccioso amore e di povertà, ma anche di dimostrazione di cosa succeda quando Zeus si incacchia.
    Giunti alla vecchiaia, i due anziani attendevano sulla soglia di casa il tramonto del sole che ben presto
    si sarebbe anche trasformato nel tramonto della loro vita. Vivevano in una povertà serena e rassegnata, godendo della reciproca compagnia e di quella di una grossa oca che avevano allevato, la loro unica ricchezza.
    Zeus, assieme ad Ermes, andò a farsi un giro sulla terra giusto per vedere che combinavano i mortali. Travestiti da comuni viandanti, giunsero in una città della Frigia. A causa dell'aspetto miserrimo in cui si presentarono, al momento di chiedere ospitalità ai ricchi cittadini trovarono sempre le porte chiuse, così come chiuso alla pietà era il cuore di questa gente. Dopo aver
    bussato invano a tutte le porte della città, videro in lontananza una miserevole casupola fatta di canne e con il tetto ricoperto di paglia. Sconsolati fecero un ultimo tentativo e finalmente trovarono l'uscio aperto e il cuore spalancato alla carità.

    "Immensa e senza limiti è la potenza del cielo: ciò che vogliono gli dei, sia quel che sia, si compie. E per toglierti i dubbi, c'è sui colli di Frigia una quercia, con accanto un tiglio e intorno un basso muro di cinta; ho visto il luogo io stesso: fu quando Pitteo mi mandò nelle terre su cui un giorno aveva regnato suo padre Pèlope. Non lontano da lì c'è uno stagno, un tempo terra abitabile, ora distesa d'acqua affollata di smerghi e folaghe palustri. Qui, sotto aspetto umano, venne Giove e insieme a lui il nipote di Atlante, privo d'ali e con la sua bacchetta magica. A mille case bussarono, in cerca di un luogo per riposare; mille case sprangarono la porta. Una sola infine li accolse: piccola, piccola, con un tetto di paglia e di canne palustri, ma lì, uniti sin dalla loro giovinezza, vivevano Bauci, una pia vecchietta, e Filemone, della stessa età, che in quella capanna erano invecchiati, alleviando la povertà con l'animo sereno di chi non si vergogna di sopportarla. Non ha senso chiedersi chi è il padrone o il servitore: la famiglia è tutta lì, loro due; comandano ed eseguono tutti e due. Quando i celesti, arrivati a questa povera casa, entrarono chinando il capo per l'angustia della porta, il vecchio li invitò ad accomodarsi, accostando una panca, sulla quale Bauci stese con premura un ruvido panno; lei, poi, smosse sul focolare la cenere tiepida, ravvivò il fuoco del giorno avanti, alimentandolo con foglie e corteccia, e ne fece scaturire fiamme con quel poco fiato che aveva.
    Da un ripostiglio trasse scaglie di legno e rametti secchi, li spezzettò e li pose sotto un piccolo paiolo; spiccò le foglie ai legumi raccolti dal marito nell'orto bene irrigato, mentre lui con un forcone staccava la spalla affumicata di un suino appesa a una trave annerita: di quella spalla a lungo conservata taglia una porzione sottile, che pone a lessare nell'acqua bollente. Intanto ingannano il tempo che si frappone conversando, perché non si avverta la noia dell'attesa. Appesa a un gancio per il suo manico ricurvo, vi è una tinozza di faggio: la riempiono d'acqua tiepida e vi immergono i piedi per ristorarli. Al centro, sopra un letto dalla sponda e dalle gambe di salice, c'è un giaciglio d'erbe morbide.
    Sprimacciano il giaciglio d'erba morbida di fiume, posto sopra il letto dalla sponda e dalle gambe di salice. Lo coprono con una coltre, che hanno l'abitudine di stendere solo nei giorni di festa; ma anche questa coltre era vecchia e logora, giusto adatta a un letto di salice. Gli dei si adagiano. La vecchia, con la veste raccolta, apparecchia vacillando la tavola; ma delle sue tre gambe una è corta: un coccio la pareggia; infilato sotto elimina la pendenza, e il piano viene poi ripulito con un ciuffo di menta verde. Sopra vi pone olive verdi e nere, sacre alla schietta Minerva, corniole autunnali aromatizzate con salsa di vino, indivia, radicchio, una forma di latte cagliato, e uova girate leggermente nel tepore della cenere; il tutto in terrine. Poi porta in tavola un cratere cesellato nello stesso 'argento', bicchieri di faggio intagliato che hanno la superficie interna spalmata di bionda cera. Dopo non molto, giungono dal focolare le vivande calde, si mesce un'altra volta il vino (certo non d'annata), poi, messo il tutto un poco in disparte, si fa posto alla frutta. Ed ecco noci, fichi secchi misti a datteri grinzosi, prugne, mele profumate in larghi canestri, grappoli d'uva colti da tralci purpurei. Al centro un candido favo. Ma a tutto questo si accompagnano facce buone, sollecitudine sincera e generosa. E qui i due vecchi si accorgono che il boccale, a cui si è attinto tante volte, si riempie da solo, che il vino da solo ricresce; turbati dal prodigio, Bauci e il timido Filemone son presi dal terrore e con le mani alzate al cielo si mettono a pregare, chiedendo venia per la povertà del cibo e della mensa. C'era un'unica oca a guardia di quella minuscola cascina, e loro erano pronti ad immolarla per quegli ospiti divini. Ma l'oca starnazzando scappa in barba a quei lenti vecchietti, beffandoli di continuo, finché fu vista rifugiarsi proprio accanto agli dei, che proibiscono di ucciderla, dicendo: "Numi del cielo noi siamo, e i vostri empi vicini avranno la punizione che meritano; a voi invece d'esserne immuni sarà concesso. Lasciate solo la vostra casa, seguite i nostri passi e venite con noi in cima a quel monte!". I due obbediscono e, appoggiandosi al bastone, salgono lungo il pendio a fatica, passo passo. Distavano ormai dalla vetta il tragitto che può percorrere una freccia: volgono gli occhi e vedono che giù tutto è sommerso da una palude, tutto tranne la loro dimora. E mentre guardano stupiti, piangendo la sorte dei vicini, quella vecchia capanna, piccola anche per i suoi padroni, si trasforma in un tempio: colonne vanno a sostituire i pali, vedono la paglia del tetto assumere riflessi d'oro, le porte ornarsi di fregi e il suolo rivestirsi di marmo. E allora con voce serena il figlio di Saturno così parla: "O buon vecchio e tu, donna degna del tuo buon marito, esprimete un desiderio". Consultatosi un po’ con Bauci, Filemone partecipa agli dei la loro scelta: "Chiediamo d'essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio; e poiché in dolce armonia abbiamo trascorso i nostri anni, vorremmo andarcene nello stesso istante, ch'io mai non veda la tomba di mia moglie e mai lei debba seppellirmi". Il desiderio fu esaudito: finché ebbero vita, custodirono il tempio. Ma un giorno mentre, sfiniti dallo scorrere degli anni, stavano davanti alla sacra gradinata, narrando la storia del luogo, Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e il vecchio Filemone coprirsene Bauci. E ancora, quando la cima raggiunse il loro volto, fra loro, finché poterono, continuarono a parlare: "Addio, amore mio", dissero insieme e insieme la corteccia come un velo suggellò la loro bocca. Ancor oggi gli abitanti della Frigia mostrano l'uno accanto all'altro quei tronchi nati dai loro corpi.
    Queste cose mi furono narrate da vecchi degni di fede e che non avevano ragione di mentire. Del resto ho visto io stesso ghirlande appese ai rami e io ne ho appese, dicendo: "Divino sia chi fu caro agli dei e abbia onore chi li onorò" .

    In fine, quindi, i due fieri vecchietti vennero trasformati in una quercia e in un tiglio che condividevano il tronco; non dovettero quindi l’uno assistere alla morte dell’altro, poiché vennero trasformati in pianta nello stesso momento.
    Zeus aveva fatto allagare tutto ciò che si trovava attorno alla capanna, per vendicarsi di coloro che non avevano offerto ospitalità aidivini in forma di mortali, lasciando soltanto questa in piedi dal cui legno nacque un meraviglioso tempio. Fu così che Filemone e Bauci vennero ringraziati dal padre sommo onnipotente tutto Zeus, l’unione delle loro fronde in quell’indissolubile abbraccio sarebbe rimasta a guardia del tempio per sempre, dove per anni furono in molti a giungere in preghiera.
     
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