Le statue bianche, nere e bronzee

Mitologia filippina

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    Il drago azzurro che puzza di pesce

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    Al dio della vita Magbabaya non piaceva che la Terra fosse disabitata, non si faceva un piffero dalla mattina alla sera e voleva un po’ di baldoria.
    Il mondo era ancora giovane allora, appena creato. Ogni giorno Magbabaya guardava giù sulla Terra dalla sua fierissima casetta celeste, in mezzo al bosco e agli orticelli da lui con diligenza mantenuti, e si rendeva sempre più conto che c’era ben poco da osservare.
    “Pff, che rottura da queste parti…” fece un giorno, sospirando annoiato. “Debbo proprio rompere questa monotonia”
    Passeggiando fra gli alberi ebbe dunque un’idea, così all’improvviso.
    «Debbo creare della gente che viva sulla Terra! Ma perché non ci ho pensato prima!”
    Giunto di gran carriera sulla terra prese un pugno di argilla, la mescolò ben bene e la impastò con dell'acqua.
    Con quella creta , con tanta attenzione e premura, modellò alcuni esseri umani facendone delle statue e li mise al sole perché si seccassero. Osservò la sua stupenda collezione di figure femminili e maschili d’ogni forma, ognuna con tratti distintivi e col volto diverso da quelle vicine.
    Accertatosi che tutto era a posto tornò a casa sua e trascorse tutta la giornata cacciando nelle foreste del Cielo, tutto zompettante poiché soddisfatto del suo operato. Talmente era tranquillo e assorto nei suoi diletti, che si dimenticò che la creta al sole non doveva restarci troppo.
    Ritornò quindi sulla Terra più velocemente che poté, ma scoprì che i pezzi di creta erano rimasti troppo a lungo sotto alla luce e al calore del sole ed erano diventati neri come il carbone.
    “Oibò, domani modellerò altre statue e starò attento che non siano troppo cotte” si disse, tenendo comunque le statue scure nel suo boschetto divino.
    Il mattino seguente Magbabaya si mise di nuovo al lavoro e modellò altre statue di uomini e di donne. Le mise dunque al sole, facendo attenzione perché questa volta non vi rimanessero troppo a lungo. Per paura che si carbonizzassero di nuovo, il dio della vita si sbrigò a riporle all’ombra; purtroppo neanche quel risultato lo lasciò soddisfatto, le statuine non erano abbastanza cotte ed erano rimaste piuttosto pallide.
    “Oibò” si ripeté, grattandosi una tempia “domani modellerò altre statue e starò attento che arrivino al giusto punto di cottura”
    Ripose le statue chiare accanto a quelle scure, preparandosi per il suo terzo lavoretto del giorno seguente.
    All’alba quindi mescolò ancora argilla e acqua e ne fece nuovi esseri umani. Poi, con molta cautela, li espose al sole con la dovuta pazienza.
    Di tanto in tanto girava un poco le statue in modo che prendessero un leggero color bronzo in ogni punto del corpo. Quando gli sembrò che il sole si stesse facendo troppo caldo, il dio Magbabaya coprì le statue con delle foglie e le mise all'ombra, dove la brezza le asciugò lentamente.
    Quando il lavoro fu terminato, guardò la sua opera e ne fu contento. Le statue avevano preso un bel colore bronzeo-aureo , e apparivano bellissime.
    “Oibò! Sono perfette!” esclamò con orgoglio.
    Alla fine Magbabaya raccolse tutte le statue modellate dalle sue mani, soffiò in loro la vita e le sparse nelle varie regioni della Terra.
    Ecco perché oggi nel mondo gli uomini sono di carnagione bianca, nera e bruna.
     
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