Il regno degli inferi

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    Il drago azzurro che puzza di pesce

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    Il primo che tentò di descrivere il regno dei morti fu Omero, che gli attribuì la forma di una sfera oscura realmente esistente, dentro la quale venivano segregate le ombre degli uomini morti e in cui i vivi avevano poche possibilità di entrare se non per volere divino.
    A differenza di quello che si potrebbe pensare, gli spiriti prigionieri non venivano separati gli uni dagli altri e divisi per categorie in base alla loro condotta nella vita terrena; al contrario, il male, il bene, le buone e le cattive azioni non venivano contemplati ed erano tutti riuniti.
    Una volta abbandonati i corpi dei loro proprietari, le ombre solcavano il mondo allora conosciuto per ritrovarsi, prima di tutto, dinnanzi al cane a tre teste Cerbero. Dopo di che era necessario consegnare una moneta (un obolo, per l’esattezza) a Caronte, il traghettatore di anime, ripreso in seguito dalla religione romana e dal poeta fiorentino Dante Alighieri.
    Solo così si veniva messi al cospetto dei tre giudici: Minosse, Radamanto ed Eaco, lì presenti per essere stati degli uomini virtuosi nella vita passata e quindi in grado di gestire il supremo compito di decretare la sorte di coloro che scendevano negli inferi. Questo perché la maggior parte della popolazione greca la pensava diversamente da Omero, il quale affermava non dovessero esistere realmente giudici se non gli Dei stessi.

    Dal punto di vista geografico, l’Ade (così chiamato in nome del dio che lo governa) è suddiviso da cinque fiumi: Acheronte, Flegitonte, Stige, Cocito e Lete. Riguardo a quest’ultimo correva voce che le sue acque, se bevute, facessero perdere la memoria, mentre lo Stige è il fiume in cui Achille venne immerso per acquisire la sua invulnerabilità.
    Questi corsi d’acqua delimitavano fra loro quattro zone: il Tartaro, il Prato degli Asfodeli, i Campi Elisi e i Campi del Pianto.

    -Il Tartaro era il luogo in cui giacevano incatenati i Titani, insieme a coloro che in vita si erano macchiati di colpe gravissime e ai mortali puniti per i loro misfatti. Un esempio è Tantalo, re della Libia, costretto a sopportare una fame e una sete insaziabili: sebbene avesse accanto a sè frutti e acqua, non appena tentava di afferrarli questi si allontanavano e diventavano iraggiungibili.
    Esiodo descrive il Tartaro come una voragine buia, talmente profonda che lasciandovi cadere un'incudine questa avrebbe impiegato nove giorni e nove notti per toccarne il fondo;

    -Il Prato degli Asfodeli accoglieva le ombre di chi non aveva assunto una posizione precisa nel corso della sua esistenza: in un certo senso, si trattava dei cosiddetti ignavi della religione cristiana, poiché essi non erano stati esseri malvagi ma non avevano neanche compiuto buone azioni ed avevano lasciato che il male perpetrasse senza agire in alcun modo. Sembrerebbe che questa distesa fosse splendida e particolarmente rigogliosa, ma debolmente illuminata. Al centro della prateria si stagliava la reggia di Ade, cinta da alte mura protette dalle tre Furie: Tisifone, Aletto e Megera, che avevano il compito di torturare le anime di chi si era macchiato di colpe verso la propria famiglia o peggio verso gli dei;

    -I Campi Elisi, invece, erano delle terre fertili e splendenti in cui prendevano posto le “anime” più virtuose e dotate di grande spirito, coloro che si erano guadagnati la beatitudine divina e che potevano riposare in pace.
    In alcuni miti questi vengono sostituiti dalle cosiddétte Isole felici, o Isole dei beati, luoghi dal clima dolce in cui la vegetazione lussureggiante fornisce cibo senza che gli uomini abbiano bisogno di lavorare la terra;

    -Infine, i Campi del Pianto ospitavano coloro che avevano scelto di suicidarsi, chi era stato travolto dalla passione, chi era morto durante le guerre e possedeva un animo nobile e tutti i gloriosi guerrieri che avevano dato la loro stessa vita per delle cause importanti. Non era visto come un luogo meraviglioso, ma almeno non vi dimorava la feccia che era stata relegata nel Tartaro e la loro esistenza comunque poteva trascorrere senza pena.

    Vi erano anche degli spiriti che non avevano accesso all’Ade per il semplice fatto di non aver ricevuto una degna sepoltura. E’ il caso, ad esempio, di Polidoro, figlio del re troiano Priamo e di sua moglie Ecuba, che potè presentarsi davanti ai tre giudici solo dopo che i genitori lo seppellirono adeguatamente.
     
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