Il delirante viaggio di Odisseo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Il drago azzurro che puzza di pesce

    Group
    Condottiero
    Posts
    5,292
    STIMA
    +595
    Location
    Eh... sapessi

    Status
    Offline
    Ulisse, epiteto attribuitogli dai Romani dal significato di "Ferito ad un'anca" in riferimento ad una battuta di caccia finita non proprio al top, era figlio di Anticlea e Laerte, da cui ebbe il regno; altre fonti riportano come suo genitore Sisifo, amante di Anticlea. Sua moglie era Penelope e suo figlio Telemaco.
    Il suo vero nome però era Odisseo ("Odiato dai nemici"), derivato dalla nomea conquistata dal nonno Autolico. Era un uomo astuto, un pazzo più che altro, ma anche una delle figure più peculiari dell'intera mitologia greca.

    Nacque ad Itaca, probabilmente in un tempio dedicato a Atena di cui godeva la protezione, e combinò tante di quelle follie che è difficile riassumerle tutte in una volta sola; però ci proveremo, cominciando col dire che fu lui la causa e anche la conclusione della rinomata Guerra di Troia.
    La guerra avvenne perché tutti i pretendenti di Elena, tra cui Ulisse, avevano giurato su proposta dello stesso Ulisse di difendere la scelta che lei avrebbe fatto fino a portare guerra contro chi l'avesse tolta allo sposo. Fu così organizzata la spedizione contro il troiano Paride, che aveva rapito Elena al suo sposo Menelao.
    La guerra finì poi con la presa della città, grazie al tranello del cavallo di legno ideato da Ulisse, con cui vennero introdotti entro le mura i guerrieri greci guidati dallo stesso eroe.

    ulisse

    Prima di partire Odisseo aveva consultato un oracolo dal quale aveva saputo che, qualora fosse andato a Troia, sarebbe tornato a Itaca solo dopo vent'anni e in condizioni di miseria.
    Quando Agamennone, Menelao e Palamede fecero visita all'eroe per convocarlo in onore del suo giuramento, lo trovarono del tutto impazzito: con un cappello da contadino a forma di mezzo uovo, mentre arava un campo pungolando un asino e un bue aggiogati insieme, lanciandosi nel frattempo alle spalle manciate di sale a random.
    Palamede, per verificare che non li stesse prendendo in giro, strappò il piccolo Telemaco dalle braccia della madre e lo posò per terra davanti alle zampe delle bestie. Odisseo subito arretrò tirando le redini per non fare le polpette con suo figlio, rivelando che era solo un tentativo di apparire pazzo per poter restare a casa. E invece no, gli toccò partire! Che poi, da notare quanto durante la guerra si senta parlare davvero poco di Ulisse, attribuendo a lui solo la grandiosa invenzione del cavallo. Tuttavia anche riguardo a questa vicenda vi sono varie opzioni:
    secondo Apollodoro, Ulisse ideò il progetto del Cavallo di Troia, ma fu l'artista Epeo a costruirlo col legno dal sacro monte Ida;
    secondo Igino, Epeo con l'aiuto di Atena riuscì a realizzare l'intera opera senza l'aiuto di Ulisse;
    secondo Tzetze, Prilide, un misterioso vate acheo, guidato da Atena propose l'idea del cavallo di legno e Epeo fu ben lieto di costruirlo, quindi In questa versione Ulisse se ne prese solo il merito;
    secondo Pausania, il cavallo di legno era semplicemente una macchina bellica con la quale i greci attaccarono le mura e le distrussero;
    secondo Virgilio, i Troiani pensarono che il cavallo fosse un dono di Atena dato che Odisseo e Diomede avevano derubato il tempio della dea, quindi Odisseo avrebbe solo consacrato il cavallo ad Atena per evitare la sua collera.

    Il celebre poema che narra dei suoi viaggi per tornare a casa, l'Odissea di Omero, è l'unico racconto che effettivamente lo vede protagonista.
    Dopo la partenza da Troia, Ulisse fece tappa a Ismara, nella terra dei Ciconi. Attaccò e uccise con la sua ciurma scalmanata i residenti per fare bottino ma risparmiò Marone, sacerdote di Apollo, che gli donò del vino forte e dolcissimo grazie al quale si sarebbe salvato le chiappe in seguito. Giunse poi nella terra dei Lotofagi, i mangiatori di loto. Ospitali ma insidiosi, costoro offrirono ai compagni di Ulisse il loto, un frutto che faceva dimenticare il concetto del ritorno e che spingeva alla dimenticanza. L'eroe fu quindi costretto a legarli e a trascinarli a forza sulle navi tra bestemmioni e insulti.
    Volle chiedere ospitalità in un'isola vicina e portò con sé una nave con alcuni suoi uomini. Da qui giunsero nella grotta di Polifemo, possente ciclope, che nel frattempo era uscito a pascolare le pecore.
    Qui trovarono enormi formaggi e tantissimo latte appena munto. I compagni pregarono Ulisse di prendere tutto e tornare di corsa in mare, ma l'eroe voleva ricevere i doni dell'ospitalità. Polifemo arrivò e, affamato, in totale scioltezza si mangiò due dei suoi uomini; Ulisse semplicemente gli batté una pacca sulla spalla chiedendo "Buoni?", ma il ciclope andò a nanna ignorando lui e tutti gli altri. Inizialmente Ulisse pensò di estrarre la spada e così ucciderlo, ma poi capì che in quel modo sarebbero morti anche loro, perché non potevano smuovere il grande macigno che il ciclope aveva posto davanti all'ingresso per non farli fuggire. Ulisse vide un ramo d'ulivo gigantesco, ancora verde, che a lui pareva "l'albero di una nave da venti remi" e che Polifemo aveva conservato per farne un bastone. Ordinò ai compagni di tagliarne un pezzo per appuntirlo; La sera seguente offrì al ciclope il vino donatogli da Marone. Polifemo soddisfatto chiese poi a Ulisse il suo nome. L'eroe acheo rispose: "Nessuno" ("οὐδείς" - oudeís - parola assonante con il nome di Odisseo). Il ciclope si addormentò, ubriaco a causa del potente vino bevuto, e Ulisse ne approfittò: prese il ramo incandescente e lo conficcò nell'unico grande occhio di Polifemo per acciecarlo.
    Il bestione urlò di dolore e i suoi due fratelli accorsero, ma tornarono indietro ridendo quando Polifemo, alla richiesta di spiegazioni sull'accaduto, rispose: "Nessuno, amici, mi uccide con l'inganno e non con la forza".
    Al mattino Polifemo fece uscire a pascolare le sue pecore e tastò il loro vello per controllare se vi si fossero nascosti dentro. L'eroe e i suoi compagni si legarono sotto il ventre dei montoni, riuscendo così ad allontanarsi.

    Giunse dunque nell'isola di Eolo, dio dei venti, da cui venne gentilmente accolto per un mese. Ricevette anche in dono l'otre dei venti, accompagnato da un divieto da non infrangere: nessuno avrebbe mai dovuto aprirlo. Come al solito non si spiega il motivo di questi doni fatti apposta per non essere utilizzati e scatenare la curiosità di chi li riceve, ma va beh. :yea:
    Ulisse in vero rispettò la parola. Furono invece i suoi compagni di viaggio che, invidiosi del fatto che Eolo avesse donato l'otre ad Odisseo e a loro poverini non avesse dato niente, lo aprirono quando ormai in prossimità delle coste di Itaca. I venti evocati spinsero rapidamente la barca di nuovo al largo, riportandoli ppunto e a capo. Approdarono sull'isola dei Lestrigoni, giganti mostruosi quasi quanto i Ciclopi. Le cose presero una brutta piega quando i bestioni cominciarono a bersagliare la nave della flotta con grossi massi uccidendo altri membri della sua ciurma, ma seppur con metà delle navi affondate Odisseo riuscì a risalire la costa italiana per giungere all'isola di Eea, coperta da fitta vegetazione e apparentemente disabitata.
    Inviò in ricognizione parte del suo equipaggio, sotto la guida di Euriloco. In una vallata gli uomini scoprirono che all'esterno di un palazzo, dal quale risuonava una voce melodiosa, si trovavano animali selvatici. Tutti gli uomini, ad eccezione di Euriloco, entrarono e vennero ben accolti dalla padrona e invitati a partecipare a un banchetto.
    Non appena assaggiate le vivande però cominciarono a trasformarsi in maiali, leoni, cani e altri animali, a seconda del proprio carattere e della propria natura.
    La donna in realtà era l'avvenente maga Circe, che li spinse verso le stalle e li rinchiuse. Euriloco tornò velocemente alla nave e raccontò a Ulisse quanto accaduto. Il sovrano di Itaca decise di tentare di salvare i compagni e si diresse verso il palazzo; incontrò il dio Ermes con le sembianze di un bambino, che gli svelò il segreto per rimanere immune agli incantesimi di Circe. Se avesse mischiato in ciò che lei gli avrebbe offerto un'erba magica chiamata moly, non avrebbe subito alcuna trasformazione.
    Circe infatti gli offrì da bere come aveva fatto con i suoi compagni, ma Ulisse non rimase influenzato dalla sua magia. Minacciò di ucciderla e la obbligò a riportare i suoi compagni e tutti coloro che aveva ingannato fino a quel momento in forma umana.
    Le chiese poi la strada migliore per il ritorno, ma lei gli consigliò di visitare prima gli inferi e di consultare l'ombra dell'indovino Tiresia. Sarebbe anche rimasto un altro po' a godersi le attenzioni della donna, che ormai se l'era preso in simpatia (anche troppo a quanto si dice), ma i suoi compagni lo obbligarono a ripartire.

    Ulisse fece così un salto nell’Ade per apprendere quale destino lo attendeva: voleva sapere quando si sarebbe concluso il suo viaggio.
    Tiresia chiarì che le peripezie sarebbero state ancora molte, soprattutto considerando che Poseidone era sclerato nel vedere Ulisse attraversare così "sciallamente" i sette mari senza alcun timore della sua ira, e che una volta giunto a casa avrebbe dovuto combattere contro alcuni usurpatori. Odisseo ritrovò in questo frangente anche la madre Anticlea, che per tre volte tentò di abbracciare in vano prima che questa gli sfuggisse essendo solo ombra, e i compagni caduti durante la guerra. Incontrò Agamennone, Aiace e Achille; quest'ultimo gli confessò di come avrebbe preferito essere un bovaro vivo piuttosto che "tacere come una vana ombra nell'Ade".
    Tiresia infine gli annunciò che, anche dopo la vittoria sui pretendenti al trono nella sua terra, un nuovo viaggio lo avrebbe riportato in mare; solo allora avrebbe trovato la morte. Sia Circe che Tiresia lo avvertirono inoltre di guardarsi dagli armenti di Elio. Ulisse recepì e, ripartito, costeggiò gli scogli delle sirene, spaventose donne uccello che ammaliavano i naviganti con il loro canto per indurli a gettarsi in mare incontro a morte certa. Non pago di quante ne aveva passate e di quante ne avrebbe ancora dovute passare, Ulisse fece tappare con cera d'api le orecchie ai suoi uomini e si fece legare all'albero maestro per poter udire il canto delle creature senza finire annegato. A quel punto, non gli restava che attraversare lo stretto di Messina situato tra i mostri marini Scilla e Cariddi.

    La leggenda narra che Scilla era una splendida ninfa, figlia di Forco e Crataide. Trascorreva i suoi giorni nel mare, giocando con le altre ninfe e rifiutando tutti i pretendenti. Quando il dio del mare Glauco si innamorò di lei, andò dalla maga Circe a chiedere un filtro d’amore, ma Circe a sua volta si invaghì di lui. Rifiutata da Glauco e ingelosita, trasformò la rivale Scilla in un mostro con dodici piedi e sei teste, dalle cui bocche spuntavano tre file di denti. Il mostro si nascose in una spelonca dello stretto di Messina, dal lato opposto a quello di Cariddi, e quando i naviganti si avvicinavano con le sue bocche li divorava. Cariddi era invece figlio di Poseidone e di Gea; succhiava l’acqua del mare e la risputava tre volte al giorno con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio.
    Odisseo, dovendo passare necessariamente tra i due mostri, preferì avvicinarsi a Scilla poichè Cariddi avrebbe sicuramente distrutto le navi.
    Tiresia_Odisseo Ulisse riuscì a sfuggire a Scilla e ad approdare con i compagni sull'isola di Trinacria, ma è qui che accadde il disastro: questi non riuscirono a frenare la voglia di banchettare con le invitanti mucche di Elio (o di Apollo secondo versioni più recenti), scatenando così l'ira di Zeus che si abbatté tempestosa per nove giorni su di loro. Finirono tutti affogati, solo Odisseo resistette.
    La sua nave venne attratta dal gorgo di Cariddi, e l’eroe sopravvisse soltanto perchè riuscì ad afferrare un fico che sbucava dall’acqua. Quando ore dopo ricomparve la nave, Odisseo si aggrappò ad un albero riemerso ed ebbe salva la vita.
    Un po' di quiete la trovò poi presso Calipso, ninfa bellissima, immortale e soprattutto ignuda, punita dagli dei per essersi schierata dalla parte dei titani durante la Titanomachia. Fu costretta a rimanere sull'isola di Ogigia nell'occidente mediterraneo, dove le Moire mandavano uomini bellissimi ed eroici di cui non faceva che innamorarsi, ma che prima o poi dovevano partire.
    Approdò sull'isola e Calipso se ne innamorò. L'Odissea racconta come ella lo amò e lo tenne con sé per sette anni, offrendogli invano l'immortalità, che l'eroe insistentemente rifiutava. Odisseo conservava in fondo al cuore il desiderio di tornare ad Itaca, e non si lasciò sedurre.
    Calipso abitava in una grotta profonda con numerose sale, che si apriva su giardini naturali e su un bosco sacro con grandi alberi e sorgenti che scorrevano attraverso l'erba. Ella passava il tempo a filare e tessere con le sue serve, anch'esse ninfe, che mentre lavoravano si dilettavano in canti soavi.
    La disperazione di Odisseo che voleva tornare a casa venne accolta da Atena, la quale, dispiaciuta per il suo protetto, chiese a Zeus di intervenire. Il dio allora mandò Ermes per convincere Calipso a lasciarlo partire e lei a malincuore acconsentì. Gli diede legname per costruirsi una zattera e provviste per il viaggio. Gli indicò anche su quali astri regolare la navigazione, povera crista!
    Ultima tappa del suo viaggio fu l'isola dei Feaci, dove incontrò Nausicaa, la figlia di re Alcìnoo. Questa volta era lui ad essere abbastanza ignudo, quindi le chiese dei vestiti e dove fosse la reggia del re. Odisseo rivelò il suo nome e fu qui che raccontò il suo viaggio per intero.
    Dopo aver ascoltato con grande interesse e curiosità la sua lunga storia, i Feaci, che erano un popolo di abili navigatori, decisero di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo, mentre era profondamente addormentato, lo portarono ad Itaca approdando in un luogo nascosto. Al suo risveglio, Atena gli si presentò e lo trasformò in un vecchio mendicante. In questi panni si incamminò verso la capanna di Eumeo, guardiano dei porci, che gli era rimasto fedele anche dopo così tanti anni. Il porcaro lo fece accomodare e gli diede da mangiare. Dopo che ebbero cenato insieme, raccontò ai suoi contadini e braccianti una falsa storia della propria vita. Narrò di essere nativo di Creta e di aver guidato un gruppo di suoi conterranei a combattere a Troia al fianco degli altri Greci, di aver quindi trascorso sette anni alla corte del re dell'Egitto e di essere alla fine naufragato sulle coste tesprote e da lì venuto ad Itaca.

    Intanto suo figlio Telemaco stava facendo vela da Sparta verso casa, riuscendo a scampare ad un'imboscata tesagli dai Proci, coloro che bramavano in sposa Penelope. Dopo essere sbarcato sulla costa di Itaca andò anche lui alla capanna di Eumeo. Il padre e il figlio così si rincontrarono: Odisseo si rivelò a Telemaco, non ancora ad Eumeo, e insieme a lui decise di uccidere i Proci. Telemaco tornò a palazzo per primo; Odisseo, accompagnato da Eumeo, arrivò poco dopo ma travestito da mendicante. In questo modo poté osservare il comportamento violento e tracotante dei Proci indisturbato, e studiare un piano per ucciderli.
    Incontrò per primo il suo ormai vecchio cane Argo che lo riconobbe e, dopo un ultimo sussulto di gioia, morì felice per aver rivisto il padrone; incontrò poi anche sua moglie Penelope, che invece non si rese conto di aver di fronte il marito. Odisseo cercò di capire le sue intenzioni raccontando anche a lei di essere cretese e che un giorno sulla sua isola aveva incontrato Odisseo. Incalzato dalle ansiose domande di Penelope, disse anche che di recente aveva avuto notizia delle sue avventure in mare.
    La vecchia nutrice Euriclea comprese la vera identità di Odisseo quando egli si spogliò per fare un bagno, mostrando la cicatrice sopra il ginocchio che si era procurato durante una battuta di caccia. Odisseo la obbligò a giurare di mantenere il segreto, pronto per la sua vendetta. Il giorno dopo, su suggerimento di Atena, Penelope spinse i Proci a organizzare una gara per conquistare la sua mano: si sarebbe unita a colui che sarebbe riuscito a scoccare una freccia dall'arco del marito facendola passare per le fessure di dodici scuri allineate.
    Nessuno dei pretendenti riuscì anche solo a tendere l'arco, e così Odisseo in veste di mendicante chiese di poter fare un tentativo. Sotto lo stupore dei Proci, Odisseo riuscì perfettamente nell'impresa di tendere l'arco e scoccare. Avendo tolto tutte le armi ai Proci per la competizione, poté attuare con semplicità il suo piano, e voltandosi trafisse il primo. Insieme a Telemaco e a Eumeo li uccise tutti, uno ad uno.
    Euriclea andò a chiamare Penelope per dirle che Odisseo non era morto; quando lei lo vide non disse niente, non si convinceva che fosse suo marito, e lo sottopose alla prova del talamo nuziale, chiedendogli di spostarlo. Lui, avendolo intagliato in un ulivo ancora in vita, spiegò che non poteva essere spostato dalla stanza in cui era custodito; Penelope riconobbe il marito e lo strinse forte piangendo.

    Le morti di Ulisse

    Ulisse fu un altro di quelli che morì in quaranta maniere diverse, ma in questo caso sono una più fiera dell'altra a differenza di quelle di Orfeo.
    Nel libro undicesimo dell'Odissea, Tiresia gli profetizza una morte "Ex halos", che vuol dire "dal mare" o "lontano dal mare". Una volta uccisi i Proci, ripartirà verso terre lontane, ai confini del regno di Poseidone, ossia oltre le Colonne d'Ercole. Giungerà ad una terra dove non si conoscono il mare e le navi e dove non si condiscono i cibi con il sale. Quando un viandante scambierà il suo remo per un ventilabro (strumento agricolo consistente in una pala di legno con cui si ventilava il grano sull'aia, allo scopo di separarlo dalla pula) potrà fermarsi, piantare il remo e offrire sacrifici a Poseidone. Tornerà quindi ad Itaca, offrirà sacrifici a tutti gli dèi e una lieta morte verrà dal mare durante una serena vecchiaia, circondato da popoli pacificati.
    Le ulteriori peregrinazioni di Ulisse e la sua morte sono state trattate in canti epici che non ci sono pervenuti. Per questo, diversi scrittori hanno ipotizzato la possibile morte di Ulisse.

    -Nell'Epitome dello Pseudo-Apollodoro: tornato ad Itaca, l'eroe scoprì che Telemaco aveva lasciato la sua dimora. Dopo che un oracolo gli ebbe predetto che Ulisse sarebbe morto per mano del figlio, Telemaco scelse l'esilio volontario nella vicina Cefalonia. Ulisse però, senza esserne a conoscenza, aveva dato un figlio a Circe: Telegono. Egli era alla ricerca del padre e, sulle sue orme, giunse ad Itaca. Lo sbarco di stranieri provocò un immediato allarme, così Ulisse e le sue guardie scesero alla riva. Ne nacque una battaglia, in cui Ulisse morì proprio per mano di Telegono.

    -Nella Divina Commedia di Dante (Inferno - Canto ventiseiesimo): il poeta immagina l'ultimo viaggio di Ulisse, l'ultima sfida oltre le Colonne d'Ercole. L'impresa si concluse con il naufragio provocato da un enorme vortice che sorse dal mare quando la sua nave giunse in vista della montagna del Purgatorio, e quindi con la morte dell'eroe greco e tutti i suoi compagni.

    -Ne L'ultimo viaggio (nei Poemi conviviali) di Pascoli: Ulisse, passati dieci anni dal suo ritorno, riprese il mare e percorse a ritroso il viaggio dell'Odissea. Ma i suoi ricordi non corrispondevano più alla realtà. Presso gli scogli delle sirene naufragò e il suo corpo venne trasportato dal mare sull'isola di Calipso.

    -In L'oracolo di Valerio Massimo Manfredi: Ulisse, condannato all'immortalità per l'offesa arrecata a Poseidone, sopravvisse fino ai giorni nostri dove, assunta l'identità di un ufficiale della marina militare greca, manovra segretamente i protagonisti della vicenda per poter compiere la profezia di Tiresia ed essere finalmente in grado di morire.

    -Secondo Plinio il Vecchio: semplicemente, Ulisse morì di vecchiaia.

    Fonte: Wikipedia (rielaborato e approfondito)

    Edited by Ersinio Pestys - 11/8/2020, 21:49
     
    Top
    .
0 replies since 9/4/2020, 16:43   1832 views
  Share  
.