People are strange, when you're a stranger.

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    Leamhan, prima role.

    Role creata per Leamhan e Meno Zell, ma per quanto mi riguarda è aperta a chiunque altro volesse parteciparvi.
    Chiaramente anche Zell dev'essere d'accordo, ma immagino che non vi saranno problemi. :paninozzo:

    Zell, comunque sentiti libero di far deviare la piega degli eventi in qualsiasi modo. Il personaggio che sto utilizzando non ha la minima idea di dove vuole andare a parare, quindi, per coerenza, nemmeno io ho la più pallida idea di come impostare la role. u_u

    Ma da quant'è che non scrivevo un bel post da 7 pagine su word? Ah, una vera boccata d'aria fresca e descrizioni ridondanti. ( ͡° ͜ʖ ͡°)



    La serata era tranquilla nella città di Kerus. Il cielo era terso, non si scorgeva una singola nuvola all’orizzonte, e la tenue luce rosata del crepuscolo ricopriva i tetti come una spolverata di zucchero a velo. La frizzante aria autunnale era fresca quel tanto che bastava per dirsi tonificante senza risultare fastidiosa.

    Era vero un peccato che Leamhan fosse del tutto impermeabile allo spettacolo di luci tiepide e di colori soffusi che gli si dipanava d'innanzi. Per lui, privo del dono della vista, la città non era che un intrico indecifrabile e infinitamente cangiante di suoni e di odori. Era il respiro cavernoso di una bestia smisurata, una melodia cacofonica, disordinata, eppure non priva di fascino. Orientarsi in un luogo simile era un’impresa mai uguale a se stessa, sfida che una persona dotata di spirito di avventura avrebbe trovato senz'altro stimolante. Ma Leamhan, seppure appena il giorno prima avesse deciso di intraprendere la via dell’avventuriero, non era quel tipo di persona. Non ancora, almeno. Trovava queste sue sortite a Kerus ansiogene e snervanti, e si recava in città solo quando proprio non poteva evitarlo. Questa, suo malgrado, era una di quelle occasioni.

    “Posso udirne il vociare distintamente. Si. Non si trova lontano, è indubbio che tale tragitto sia quello corretto.”

    Il teramin, che proprio non poteva fare a meno di borbottare tra sé e sé continue rassicurazioni circa la propria capacità di orientarsi, con passo cauto e guardingo ce la metteva tutta per districarsi tra i vicoli stretti e claustrofobici del centro abitato. La sola idea di potersi smarrire in quella casba lo riempiva di angoscia. Pur di assicurarsi un punto di riferimento stabile camminava rasente al bordo della strada, tanto che il pelo del suo fianco destro sfregava sulle mura degli edifici imbiancandosi d’intonaco e di polvere. Le sue stranissime zampe, lunghe e sottili come fioretti ricavati dalle ossa di qualche animale esotico, calcavano il selciato producendo un picchiettare di pioggia. Lo schioccare sparuto e irregolare della sua lingua, necessario al funzionamento del sonar, completava infine quel concerto di suoni che si sarebbe attribuito più ad insetto che ad una creatura dalle sembianze così spiccatamente equine.
    Tutti i passanti che incrociava lo fissavano esterrefatti. Molti, visibilmente a disagio, si discostavano da lui quando gli passavano accanto. Forse Leamhan si sarebbe anche sentito in imbarazzo, se solo avesse potuto vedere l’espressione che avevano dipinta in viso in quel momento.

    Il teramin si fermò sulla soglia di un piccolo spiazzo. Si trovava d’innanzi ad un grosso edificio che, a giudicare dai continui scricchiolii che emetteva e dalla vibrazione calda e smorzata che rimandava al suo sonar, era costruito in legno. Sembrava di fattura abbastanza modesta. Lo spiazzo che lo precedeva era gremito di gente di ogni risma e di ogni razza, ma causa della confusione Leamhan non poteva stabilirne né il numero esatto e né tantomeno distinguere le specie presenti. Basandosi sulla gravità dei passi e la tonalità delle voci, tuttavia, poteva dirsi relativamente sicuro che si trattava perlopiù di umani e di umanoidi assortiti, probabilmente i soliti elfi e nani.
    Vi era però una manciata di note che spiccava in quell’orchestra caotica e sgraziata: alcune voci troppo profonde per appartenere ad una creatura di taglia umana, probabilmente di qualche mezz’orco, e un battito cardiaco troppo vigoroso per qualsiasi creatura umanoide. Era forse una creatura ferale senziente di grandi dimensioni? O si trattava banalmente di una grossa bestia da soma? Impossible stabilirlo, gli elementi di disturbo erano decisamente troppi.

    Ma questi erano dettagli. Ciò che importava era che Leamhan avesse finalmente trovato quello che stava cercando. Per ovvie ragioni non poteva decifrarne l’insegna, ma d’altronde il marasma che proveniva dall’interno dell’edificio costituiva un biglietto da visita più che sufficiente: era una taverna. Per giunta una taverna piuttosto grande e frequentata da individui alquanto pittoreschi. Con un po’ di impegno, magari, sarebbe persino riuscito a passare relativamente inosservato.

    Leamhan scandagliava la locanda con il suo sonar a poca distanza dal suo ingresso, come se stesse tentando di memorizzarne i volumi nel minimo dettaglio. Iniziò a picchiettare nervosamente la zampa anteriore destra sulla sinistra, producendo un rapido ticchettio. Aveva raggiunto la sua meta, ma adesso non si decideva a varcarne la soglia.

    “Bene. Ci sono. Sarà facile, si, un’inezia invero.”
    Continuava a parlarsi addosso con la sua strana voce cupa e un po’ ovattata, che si poneva in contrasto stridente con la rapidità incalzante del suo eloquio. Com’era inevitabile iniziò ad attrarre a sé lo sguardo di qualche curioso. Lui, ovviamente, non vi fece caso.

    “Mhm. S-si. Procedo.”
    Leamhan emise un verso indefinito, fece un profondo respiro come se dovesse immergersi sott’acqua e poi, finalmente, si decise ad entrare nella taverna.

    La sensazione che lo travolse non appena varcata la soglia, effettivamente, non fu poi così diversa da quella di un’immersione. D’un tratto si ritrovò fagocitato da una massa indistinta e caotica di suoni assordanti e privi di qualsiasi ordine e logica: risate, grida e un vociare sfocato e incessante, mentre in sottofondo si distingueva a malapena il guizzare allegro di un violino suonato da un bardo; l’aria era graffiata dal tintinnare acuto e penetrante di bicchieri che urtavano altri bicchieri, e al suolo rombava il terremoto di un esercito instancabile di passi. Nelle narici del teramin irruppe con prepotenza l’amalgama indescrivibile di una moltitudine di odori, tra i quali spiccavano quelli di sudore, di birra e di vomito. Da un momento all’altro Leamhan non aveva più la minima idea di dove si trovasse, potendo a malapena a distinguere il sopra dal sotto.

    La stretta del panico fu immediata. Emise nuovamente un verso imprecisato, questa volta a metà tra il gracchiare di un corvo e il nitrito di un cavallo, e si gettò a capofitto in una direzione casuale alla ricerca disperata dell’unica uscita. Sbagliò clamorosamente mira, picchiando la maschera ossea del muso sul montante ligneo della porta, che risuonò con un distinto “Toc!”. Trovatosi con il sedere a terra per il contraccolpo, si alzò immediatamente e con uno scatto fulmineo fu subito fuori dall’edificio.

    Dall’interno del locale filtrava, attutita, la voce sbiascicante di un qualche cliente ubriaco che, seduto ad un tavolo non distante dalla finestra, aveva assistito alla scena.
    “Cosa… cosa cazzo è stato?", chiese con vaga preoccupazione una voce maschile.
    “Amico, sarà stato tipo… tipo un cervo che è… tipo entrato, no?”, fu l’immediata risposta di un tizio la voce risuonava, se possibile, ancora più deformata dai fumi dell’alcool. “Che poi è, tipo, uscito subito velocissimo.”
    “Ah… giusto. Si infatti, è una roba che capita amico.”, fece l’altro, evidentemente rassicurato.

    “AH! No, no… Non posso soffrire tale luogo.”
    Leamhan, a pochi passi dall’ingresso della locanda, picchiettava l’una sull’altra le zampe anteriori con crescente rapidità. Il disegno dell’occhio che decorava la sua maschera ossea si era tramutato in una forma indefinita, una sorta di curiosa spirale irregolare. I meno ubriachi tra i clienti della taverna che bighellonavano nello spiazzo esterno ora squadravano insistentemente il teramin. Nessuno, però, ebbe l’ardire di avvicinarsi a quella strana creatura assorbita in un acceso dialogo con se stessa.

    “No. Il mio proposito è in tali condizioni inattuabile.”
    Per quanto s’impegnasse, Leamhan non riusciva a tenere ferme le zampe. La sua lunghissima coda si unì a quel ritmo frenetico, iniziando ad ondeggiare seguendone il tempo.
    “Occorre uno stratagemma che mi consenta di ottenere il silenzio. Si. È l’unica via, l’unica.”

    Con un movimento svelto e sicuro, Leamhan raggiunse con le appendici prensili della coda il libro che teneva assicurato alla sua zampa posteriore sinistra con l’ausilio di alcuni nastri di stoffa viola. Lo aprì in un punto a caso senza rimuoverlo dal supporto e ne strappò via una singola pagina, che ripose a terra davanti a sé. Era completamente bianca. Protese la sua zampa anteriore destra verso il foglio intonso e, servendosene come un pennino d’oca, vi tracciò uno strano simbolo con quello che almeno all'apparenza era inchiostro nero. Fu un gesto incredibilmente rapido, attuato con la sicurezza indifferente di chi sta compiendo un’operazione di routine ripetuta chissà quante volte.
    Raccolse il foglio di carta con la coda e lo appallottolò. Dopodiché si volse verso la porta della taverna. Inspirò profondamente. Trattenne il fiato come se dovesse immergersi sott’acqua, prese il coraggio a due mani e, senza ulteriori indugi, varcò per la seconda volta la soglia della locanda spalancandone la porta con una spallata.

    Una volta dentro Leamhan agì immediatamente, così da non concedere al panico atavico che gli evocava la baraonda del locale il tempo di assalirlo. Con uno scatto di frusta della coda lanciò davanti a sé il foglio di carta appallottolato che stringeva tra le sue appendici prensili, il quale atterrò a circa tre o quattro metri di distanza da lui. Non appena il cartoccio impattò con il suolo, attivò l’effetto del Glifo che vi aveva impresso: il fragore secco di un’esplosione contenuta ma energica sconvolse l’atmosfera festosa del locale, così come accadrebbe se un fulmine piombasse nel bel mezzo del mercato cittadino in una giornata serena. Seguì una bailamme di grida, di improperi più o meno volgari e un gran fracasso di piatti e bicchieri che si infrangono al suolo, scivolati dalle mani di clienti e camerieri dai nervi non particolarmente saldi.
    L’epicentro della deflagrazione, evidenziato da una nuvola di minuscoli coriandoli di carta, ebbe luogo a poca distanza da una giovane cameriera bionda e prosperosa, che si destreggiava tra i tavoli tenendo con una sola mano un vassoio colmo di boccali di birra e idromele. A seguito del boato la malcapitata cacciò un grido di puro terrore, cadde con il sedere per terra e rovesciò l’intero contenuto del vassoio sulla testa di un mezz’orco tutto muscoli, che stava seduto ad una lunga tavolata insieme ad un nutrito gruppo di persone.

    Leamhan, in ogni caso, aveva ottenuto quello che voleva: un silenzio teso e glaciale calò nel locale come una densa nuvola foriera di tempesta. Non un singolo colpo di tosse, non una parola, non un tintinnio di boccali fendeva l’aria. Gli sguardi di tutti erano sul teramin. Lo fissavano in così tanti e con tale insistenza che persino lui, a dispetto della propria cecità, sentì chiaramente addosso i loro occhi come una selva di dita che lo toccavano in ogni punto del suo corpo.

    “I miei ossequi a voi tutti.”, esordì Leamhan. Parlava con gran rapidità, in maniera inespressiva, scandendo però ogni singola parola con assoluta precisione.

    “Il mio nome è Kermes Leivhann. Ma voi potete chiamarmi Leamhan. Si tratta di una semplificazione, si, un soprannome di sorta. Un diminutivo.”
    Il teramin faceva del suo meglio per celare la propria agitazione, ma non si accorse che con la punta della zampa destra stava riempiendo di graffi una delle tavole in legno consunto del pavimento.

    “Mi trovo qui per avanzare un’offerta di lavoro. Si tratta della partecipazione ad una grande avventura. Si. Un viaggio magniloquente, oltremodo stimolante ed invero degno di nota. Garantisco.”
    Mentre parlava Leamhan volgeva la testa a volte a destra e a volte a sinistra, schioccando la lingua per esaminare i presenti con il sonar. I suoi movimenti, repentini e improvvisi, ricordavano vagamente quelli di un uccello.

    “Chiaramente, previo elargizione di un lauto compenso di natura pecuniaria. Cinque denari di argento come anticipo, cinque alla conclusione del viaggio. Dieci in totale. Ne dispongo per due persone. O per una singola persona doppiamente meritevole.”
    Il teramin continuava a parlare senza nemmeno accennare ad una pausa, che fosse anche solo per respirare. Pareva stesse recitando tutto d’un fiato un testo che aveva imparato a memoria.

    “Sono molte monete, molte, un quantità invero generosa. Credo. Alla paga si aggiungeranno i proventi delle eventuali scoperte effettuate. Oggetti rinvenuti. E la conoscenza acquisita, si. Fornirò dettagli ulteriori a coloro che esibiranno interesse.”

    Leamhan s’interruppe così come aveva esordito, improvvisamente e senza cerimonie. Un po’ per lo stupore generale, un po’ perché la conclusione del suo discorso era stata così brusca che alcuni non avevano capito che fosse terminato, nel locale regnava un silenzio tanto denso che lo si poteva tagliare con un coltello.
    Il teramin, in piedi al centro del locale sugli stecchini delle sue quattro zampe, era completamente immobile eccezion fatta per la coda, che disegnava lente curve nell’aria come un serpente ipnotizzato dal suo incantatore.

    Quel silenzio di cristallo venne infranto dallo strusciare delle gambe di una sedia con il pavimento. Il mezz’orco a cui era stata rovesciato addosso il vassoio si alzò in piedi. Era grondante di birra, cosparso dalla testa ai piedi da una miriade di minuscoli coriandoli bianchi. La calma dei suoi movimenti era tale da risultare innaturale: scostò delicatamente la sedia afferrandola con sole due dita e, con passi misurati e ma pesanti, si portò davanti a Leamhan.

    “Salve. = )”, salutò quest’ultimo. L’occhio che aveva impresso sulla maschera venne sostituito dal disegno estremamente stilizzato di un volto sorridente, costituito da una curva dalle estremità rivolte verso l’alto sormontata da due trattini verticali.
    “Sei interessato all’impiego?”

    Il mezz’orco squadrò l’intero teramin con una sola occhiata colma di spregio. Quell'assurda creatura pelosa gli arrivava a malapena all’ombelico.
    “Sei entrato nel Mio locale.” La voce dell’energumeno dalla pelle color muschio era un ringhio cupo, ruvida come la carta vetrata. Poneva una fortissima enfasi su tutti i pronomi possessivi che pronunciava.

    “Hai zittito i Miei ragazzi. Mi hai rovesciato addosso la Mia stessa birra.”
    Fece un altro passo in avanti, torreggiando sul suo piccolo interlocutore come una montagna che con la propria ombra ricopre un’intera vallata.
    “E adesso tu vorresti offrire un lavoro… a ME? Thurak il Trituraossa?”

    Leamhan inclinò leggermente la testa su un lato. Emise un paio di schiocchi con la lingua per analizzare meglio con il sonar le fattezze del suo nerboruto interlocutore. Lo scarabocchio sorridente della sua maschera si trasformò in un segno molto simile, ma non identico, ad un punto interrogativo.

    “Si.”, fu la sua unica, asettica, risposta.

    Tra la platea dei clienti del locale si sollevò un diffuso “Ooooh!”, manifestazione di sorpresa per alcuni, di preoccupazione per altri, istigazione alla rissa per altri ancora.
    Thurak i Trituraossa strinse il pugno della sua mano destra con tale veemenza che le unghie delle dita penetrarono la pelle del palmo. Fece un cenno con la testa in direzione della tavolata alla quale era seduto, e immediatamente una mezza dozzina di individui dall’aspetto molto poco rassicurante, tre umani, due nani e un altro mezz’orco, confluì verso il teramin sino ad accerchiarlo.

    “Mi allieta il vostro entusiasmo”, fece quest’ultimo con la sua consueta parlata rapida e poco espressiva.
    “Ma vi rammento che i posti disponibili sono due sol- AKH!”
    Non terminò mai la frase, perché Thurak lo afferrò per il collo e lo sbatté a terra come un sacco di patate. Si posizionò dietro la sua schiena, così da mantenersi fuori dalla portata di quelle inquietanti zampe aguzze come coltelli. Poi gli immobilizzò la testa calcandola a terra con il piede destro, mentre con una mano raggiunse il borsello che egli teneva assicurato con un nastro di stoffa ad una delle zampe posteriori.
    Nessuno tra i presenti osò intervenire: da quella parti Thurak doveva essere un bandito piuttosto conosciuto. E soprattutto temuto.

    “Adesso vediamo se ti ammazzo oppure no”, disse con le spesse labbra verde scuro deformate in un ghigno obliquo mentre, con gli occhi fissi sul borsello, ne saggiava il peso con due dita.
    “Mai visto un mostriciattolo come te. Sai, magari potrei anche… Uh?”

    Thurak si accorse solo allora che sotto il suo piede destro non c’era più nulla. Impresso sul pavimento, dove prima vi era il teramin, ora c’era uno strano simbolo che pareva tracciato l'inchiostro. Con un moto istintivo Thurak avvicinò appena la testa al curioso ideogramma, così da vedere meglio di cosa si trattasse.
    Uno dei suoi scagnozzi cercò di avvertirlo con un grido di allarme, ma non fu abbastanza rapido: una colonna di un materiale nero non identificato, la cui consistenza ricordava quella del vetro, eruttò improvvisamente dal simbolo. Centrò il mezz’orco in piena faccia, frantumandogli il naso e facendogli scivolare di mano il borsello con i soldi. Thurak quasi cadde a terra di schiena per la forza dell’impatto, ma all’ultimo riuscì a recuperare l’equilibrio. Si portò entrambe le mani sul viso grondante di sangue. Provò a dire qualcosa, con ogni probabilità improperi irripetibili, ma riuscì ad emettere solo gorgoglii indefiniti.

    Leamhan, che si trovava dietro di lui ad una manciata di metri di distanza, lo fissava senza vederlo con quel suo volto senza volto. La sua maschera era adesso completamente bianca.
    “Sono spiacente. Tuttavia desidero evitare una rissa. Cortesemente.”.

    Il volto di Thurak era una maschera cremisi e verde di pura furia.
    “Lurido figlio di… Puah!”. Sputò a terra un grumo di sangue e catarro, estraendo il grosso machete che portava alla cintola. Uno dei due scagnozzi nani fece per sfoderare il proprio coltellaccio, ma Thurak lo incenerì con lo sguardo.
    “Lo ammazzo IO!”, ruggì perentorio. Roteando tra le mani il machete, scattò verso Leamhan con passi tanto pesanti da far tremare il terreno.

    Il teramin fece un paio di passi ticchettanti all’indietro. La danza ondeggiante della sua coda accelerò.
    “No, no. Ti prego di fermarti. Non è necessario giungere a ciò.” Nelle sue parole trapelò appena una punta d’agitazione.
    “Inoltre questo scontro è già terminato. La Grandine è su di te.”

    Thurak, fuori di sé dalla rabbia, non si prese nemmeno la briga di provare ad interpretare le sibilline parole pronunciate da Leamhan. Sollevò il braccio che brandiva l’arma, pronto ad assestare il corpo mortale a quell’irritante creatura pelosa e senza occhi. Proprio allora notò, impresso sul suo avambraccio poco sotto il polso, uno strano simbolo nero non molto diverso da quello che pochi istanti prima gli aveva frantumato il naso.
    Si rese immediatamente conto di quello che stava per accadere, ma ormai era troppo tardi: una deflagrazione secca come un colpo di frusta lacerò l’aria. Il machete che brandiva disegnò un ampio arco nell’aria, conficcandosi di punta nel pavimento ligneo a pochi passi di distanza da lui. Il mezz’orco, accecato dal dolore, si tastò il braccio ferito con l’altro. La fitta tremenda che avvertì non appena lo ebbe sfiorato lasciava adito a pochi dubbi: aveva le ossa rotte.

    Leamhan inclinò leggermente la testa su un lato.
    “Mi… mi rincresce. Solo moderatamente, in verità. Tuttavia avevo avvisato.”
    La sua ombra, stranamente densa e definita, danzava come se dietro di essa vi fosse un grosso falò preda di una raffica di vento. L’illuminazione del locale, perfettamente omogenea, non spiegava però un simile fenomeno.

    Con il volto deformato in parte dal dolore e in parte dall’ira, Thurak digrignava i denti folgorando il teramin con occhi iniettati di sangue. Accennò a fare un altro passo verso di lui, ma desistette immediatamente non appena notò che la maschera della creatura esibiva un altro di quei sigilli sventurati.

    “Urrgh! Hai… hai f-fatto la cazzata della tua vita!”, grugnì a stento.
    “Fa-fare questo a Me! A ME!”, proseguì, con voce ringhiosa e tremante, mentre si teneva con la mano sinistra il braccio destro floscio e reso violaceo dal sangue pesto.
    “Considerati morto, capito? MORTO! Per mano MIA!”, sbraitava Thurak sputacchiando ovunque goccioline di saliva e di sangue, mentre, circondato e sorretto dai suoi scagnozzi, si affrettava ad abbandonare il locale.

    Adesso che Thurak e i suoi avevano lasciato la taverna, a dominare l’ampia sala rimaneva solo un silenzio imbarazzato.
    “Che gente strana.”, borbottò Leamhan. Rimase in silenzio qualche secondo. Poi, come se qualcosa di molto importante gli fosse improvvisamente tornato alla mente, ebbe un piccolo sobbalzo.

    “OH! Oh, oh!” Iniziò a zampettare sul posto eccitato, riempiendo la sala di un picchiettio di grandine.
    “Questa è stata dunque la mia prima rissa da avventuriero. Nella locanda! Heh. Come nei racconti dei bardi, si, precisamente come nelle favelle musicate. Hehe!”
    La risatina smorzata del teramin, inaspettatamente acuta e graffiante, ricordava vagamente il nitrito di un cavallo. La sua manifestazione di allegria, in ogni caso, si spense nello stesso modo rapido ed estemporaneo con cui era esplosa.

    “Qualcuno di voialtri è forse interessato? Alla mia proposta d’impiego.”
    Si rivolgeva genericamente a tutti i presenti, d’un tratto sbrigativo e impersonale come al suo solito.

    Edited by -Aleph- - 9/11/2020, 15:11
     
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    Era passata una settimana dagli avvenimenti al boschetto vicino Knawr assieme a Liya e David e durante quella settimana, Meno Zell pattugliò l'Ossidiana d'Argento per cercare tracce del suo gemello positivo. Aveva fiutato qualcosa nei pressi di un fuoco da bivacco ormai spento in una radura ai piedi delle montagne assieme all'odore di altre creature ma tuttavia non lo trovò. Molto probabilmente Zell si era spostato da qualche altra parte ma doveva comunque trovarsi da qualche parte. Kengard è un'isola, anche se grande, e difficilmente sarebbe andato lontano.
    L'ibrido negativo ora si trovava a Kerus. Aveva sentito dire che la malavita serpeggiava nei bassifondi della città e voleva andare di persona a controllare, magari per agganciarsi e farsi alleati. Dopo aver passato il pomeriggio a girovagare tra gli stretti vicoli della città, Meno Zell aveva guadagnato un pò di denaro riuscendo a rubare a mercanti o a poveri di passaggio e con quei soldi aveva deciso di cenare in una delle taverne di Kerus.
    Una volta entrato nel locale, venne subito travolto dall'olezzo di taverna fatto di vomito, birra e sudore umano, olezzo che contribuì a mimetizzare quello ancora più sgradevole del draghelfo negativo.
    Meno Zell era riuscito ad accaparrarsi un tavolo nell'angolo più nascosto della taverna; l'oste, un mezz'orco muscoloso, che aveva capito che il draghelfo era un cliente non abituale e non da sottovalutare, liberò per lui un tavolo occupato da un umano ormai del tutto sbronzo, che venne letteralmente sbattuto fuori dal locale.
    Il draghelfo negativo venne servito con due grossi polli arrosto e un grande boccale di birra. Ovviamente Meno Zell sbranò la carne come se fosse un drago ferale, spezzando gli ossicini con le possenti fauci e lasciando solo un paio di ossi grossi mangiucchiati, poi si sciacquò le fauci con grandi sorsate di birra. Nel tavolo accanto a lui erano seduti due elfi che iniziarono a guardare di sottecchi il draghelfo negativo, parlottando tra di loro riguardo il suo aspetto e i suoi indumenti lerci. Meno Zell rispose loro con un sonoro rutto che annunciò che aveva finito il suo boccale di birra e ne ordinò subito un altro, pagando subito alla cameriera.
    Quando iniziò a sorseggiare il suo secondo boccale, successe qualcosa. Qualcuno entrò di corsa nel locale e il draghelfo riuscì a vedere che non si trattava di una creatura comune: era un Teramin, lo riconobbe dalle sue zampe lunghe e sottili come quelle di un ragno. La creatura così come era entrata, allo stesso modo tornò fuori, evidentemente spaventata dalla confusione della taverna.
    Meno Zell riprese a bere la sua birra finchè ci fu un'improvvisa esplosione che non terrorizzò minimamente il sudicio ibrido negativo. Il teramin tornò nel locale e stavolta in maniera meno timida e più decisa. Se voleva far finire la festa e il chiasso, ci era ben riuscito.
    Tutto quello che successe, la sua offerta di lavoro, il suo litigio con il titolare del locale che finì male e tutto il resto fu seguita con interesse da Meno Zell, che continuava a bere tranquillamente la sua birra come se stesse guardando una partita di calcio su Sky (?) e finì di berla quando il Teramin finì di parlare.
    Un secondo rutto di Meno Zell ruppe il silenzio glaciale che si era creato, seguito dal rumore di sedia che si muove, segno che l'ibrido negativo si era alzato.
    "Caro Leamhan, io sono interessato!" esordì.
    Meno Zell percorse il tragitto dall'angolo della taverna fino al Teramin con calma e tranquillità, i suoi numerosi artigli che spuntavano dai suoi calzini neri tichettavano sul pavimento di legno del locale ma in quel silenzio glaciale ogni minimo rumore era udibile anche dai più sordi. Il draghelfo si portò fino a poca distanza dal Teramin, senza il minimo timore. Tutti i presenti lo seguirono con lo sguardo.
    "Di solito non lavoro per nessuno ma quello che lei sta offrendo mi interessa e vorrei collaborare. Chissà, magari da questa offerta di lavoro potrebbe nascere un'alleanza tra noi due. Sono sempre disponibile a nuovi affari, Leamhan... e anch'io posso offrire favori a chi ne è degno.." la voce dell'ibirido non mostrava il minimo timore ma una sonora motivazione.
    Meno Zell si guardò in giro e notò il sangue versato dal mezz'orco poco prima.
    "E' inutile che lei perda tempo con le inutilità presenti in questa taverna, Leamhan. Io valgo come tutti loro. E anche di più. Mi chiamo Meno Zell. Ora parliamo di affari, sono tutt'orecchi!" concluse l'ibrido negativo, aspettando la proposta del Teramin.

    Edited by ZellDragon6 - 14/10/2019, 14:40
     
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    Scusami Zell, rileggendo il mio post precedente mi sono accorto che, in effetti, sembra che il mezz'orco sia il titolare della locanda. In realtà lui afferma che quella è la "sua" locanda perché, essendo una sorta di mezzo gangster, la considera parte del suo territorio e quindi sotto la sua "protezione". Comunque non c'è bisogno di correggere il post, facciamo che tra i camerieri c'è anche un mezz'orco e siamo apposto. xD

    Perdonami per l'attesa, ma suppongo che iniziando una role con me sapevi a cosa stavi andando incontro. :asd:


    La pesante coltre di silenzio stesa dal maldestro ingresso di Leamhan fu lacerata da un sonoro rutto. Repentine come il morso di un serpente, le lunghe orecchie del teramin si volsero automaticamente nella direzione del suono. Una creatura bipede si stava dirigendo verso di lui. Il suo passo era piuttosto pesante, sostenuto, caratterizzato dalla regolarità marziale di coloro che non fanno mistero della propria sicurezza in sé. Il lieve suono di graffi sul legno che accompagnava il suo incedere lasciava presupporre che egli non indossasse calzature, e che i suoi piedi fossero muniti di considerevoli unghioni.
    La creatura, che presentò come Meno Zell, sosteneva di essere interessata all’offerta.

    Leamhan inclinò leggermente la testa a sinistra. Se solo il suo volto avesse avuto degli occhi, si sarebbe detto che stava fissando il suo interlocutore con vivo interesse.
    “Oh. Salve.” Ce la mise davvero tutta per suonare cordiale, ma a dispetto degli sforzi il suo saluto non risultò meno sbrigativo e monocorde del solito.

    Mosse un paio di passetti ticchettanti verso Meno Zell. Gli arrivava, con la testa, a malapena all’altezza delle spalle. Un atroce olezzo di calzini mai lavati irruppe immediatamente nelle narici del teramin, ma egli lo attribuì all’ambiente malsano della locanda e, per sua immensa fortuna, decise di non indagare ulteriormente. Descrisse un piccolo semicerchio zampettando davanti all’ibrido negativo, tempestandolo nel frattempo con una pioggia schiocchi del suo sonar così da esaminarne la fisionomia da più angolazioni. A giudicare dal modo in cui le onde sonore gli si rifrangevano addosso, il suo corpo era protetto da spesse squame. Eppure non indossava una corazza, poiché la vibrazione che tornava al sonar era fin troppo omogenea e naturale: le sue squame erano dunque parte del suo corpo, come il manto scaglioso di un drago. Sulla sua schiena, inoltre, campeggiavano delle ampie strutture membranose ripiegate, verosimilmente un paio d’ali, e il suo muso era allungato e munito di zanne acuminate come quello di un rettile. Si, quel Meno Zell sembrava effettivamente una sorta di drago in miniatura che camminava su due zampe. Il ritmo del suo cuore, rapido e netto, aveva un nonsoché di spigoloso.

    Leamhan fremeva dall’eccitazione. Non aveva mai fatto la conoscenza di un persona simile prima d’ora - d’altra parte, in vita sua non aveva fatto conoscenza di nessuno a parte alcuni tra i suoi compaesani teramin (nemmeno tutti) e qualche negoziante umano di Kerus - e ciò lo riempiva di curiosità e di una gioia puerile. Oltre a ciò, quel Meno Zell si era rivolto a lui dandogli del “lei”, rispettoso appellativo che solo in rarissime occasioni gli era stato attribuito.
    Si. Più lo analizzava, e più l’individuo che aveva davanti gli suonava interessante.

    “Salve. =)”, ripeté Leamhan quando si ritenne soddisfatto del suo approfondito esame sonoro. Il disegno dell’occhio che portava sulla maschera prese per qualche secondo la forma di un volto sorridente stilizzato.
    “Sono lieto di fare la sua conoscenza signor Meno Zell, molto.”
    Mentre dalla sua parlantina piatta e affrettata trapelava ben poco, il fermento provato dal teramin era tradito in maniera inequivocabile dal salterellare allegro delle sue assurde zampe da insetto, le quali, al contatto con il legno del pavimento, riempivano l’aria con il loro caratteristico picchiettare smorzato e irregolare.
    “Mi segua. Hehe.”
    Non riuscì a trattenere una risatina, stridula come il verso di una cornacchia. Lui stesso non sapeva esattamente perché, ma il fatto di rivolgersi al suo interlocutore dandogli del “lei” gli suonava un po’ buffo.
    “Le offro una bevanda a sua scelta. Si. Al fine di sugellare il nostro nascente legame d’amicizia.”
    Senza pensare che forse sarebbe stato opportuno attendere la risposta del suo interlocutore, Lehaman trotterellò di gran carriera verso il bancone della locanda. Trascurò tuttavia un dettaglio: passata la tensione della rissa, l’atmosfera del locale iniziava a farsi più distesa, per cui, di conseguenza, un brusio diffuso e sempre più intenso iniziava gradualmente a riappropriarsi del luogo. Finì per confondersi e, convinto di aver raggiunto la propria meta, si fermò di scatto d’innanzi ad un tavolo che casualmente si frapponeva tra lui e il bancone.

    “Salve, signor oste.”, esordì, relativamente baldanzoso, rivolgendosi ad un tizio mezzo ubriaco. “Desidero acquistare per il mio compagno d’avventura una bevanda a sua scelta.”
    Il suo involontario interlocutore, la cui confusione poteva essere attribuita solo al 30 % alla situazione bizzarra in cui si ritrovava - non è difficile intuire a cosa imputare il restante 70% -, provò con grande sforzo ad articolare una risposta che fosse almeno parzialmente intellegibile.
    “Heyy aamico, ti pweeego n-non farmi espl… *hic!* e-esplodere il brac-” Il suo sofferto tartagliare sbiascicante venne pietosamente interrotto dall’oste, quello vero.

    “Qui!”, chiamò seccamente. La sua voce era asciutta e raschiante, come alterata da una perenne infiammazione alla gola.
    “Sono qui.”

    “Oh.”
    Leamhan, con il suo incedere spedito da minuscolo cavallo, in un lampo era già davanti al taverniere. Lo analizzò rapidamente con un paio di schiocchi del suo sonar. Tutto ciò che intuì è che si trattava di un umano, o perlomeno di una di quelle innumerevoli creature umanoidi che all’esame del suo sonar risultavano praticamente tutte uguali. Il timbro della voce e il battito del cuore suggerivano in maniera piuttosto univoca che fosse un individuo di sesso maschile e di mezza età.

    “Salve, signor oste. Desidero acquistare per il mio compagno d’avventura una bevanda a sua scelta”
    Ripeté la stessa frase che aveva rivolto all’ubriacone, per altro con la stessa identica intonazione, ma l’oste aveva già riempito un boccale di birra mentre lui stava ancora pronunciando “Salve”.
    “Io niente. Grazie.”, aggiunse Leamhan dopo un po’ mentre, con un orecchio posto a pochi centimetri dal boccale destinato a Meno Zell, era intento ad ascoltare il suono effervescente prodotto dalla schiuma della birra che lentamente si dissolveva.
    “Gli alcolici mi fanno sentire strano. Debbo esservi allergico, si. Verosimilmente.” Aveva smesso di ascoltare la voce spumeggiante della birra e adesso la annusava con fare circospetto, come se temesse che quella potesse azzannarlo sul muso da un momento all’altro.

    L’oste non fece una piega. Prese un bicchiere di vetro da una rastrelliera che stava alle sue spalle e iniziò a lucidarlo seraficamente con un panno che, in tempi molto remoti, doveva essere stato bianco.
    “Oh, fa nulla”, fece asciutto dopo una lunghissima pausa. “Servire i morti che camminano è uno spreco di birra”

    Leamhan inclinò leggermente la testa a sinistra, confuso dalle (nemmeno poi tanto) sibilline parole del taverniere.
    “No. Non comprendo, no. I morti sono ovviamente impossibilitati a camminare.”
    Il tono delle sue parole, con un po’ di fantasia, poteva suonare leggermente seccato.
    “Quando lo fanno non necessitano di idratarsi, no. Circostanza peraltro assai nefasta.”
    L’oste si limitò a lanciare al teramin un’occhiata riboccante di disprezzo, ma non aggiunse altro.

    Ma Leamhan, in ogni caso, era troppo eccitato dalla prospettiva del viaggio per curarsi delle velate minacce dell’uomo. Con uno scatto rapido e sicuro della sua lunga coda estrasse, dalla bisaccia che aveva assicurata alla sua zampa posteriore destra, una pergamena arrotolata. Si trattava di una mappa piuttosto dettagliata dell’isola di Kengard. Sul retro vi erano impressi numerosi ideogrammi neri, incomprensibili. La ripose a terra e, non senza qualche difficoltà, la srotolò con le sue sottili zampe anteriori. Era a rovescio ma, per ovvie ragioni, lui non vi fece caso.

    “Signor Meno Zell. Le illustro… hehe! Possa scusarmi. Le illustro l’itinerario al quale prevedo di attenermi.”
    Sebbene l’ibrido negativo si trovasse ad una certa distanza da lui, Leamhan non si curò di alzare il tono di voce, continuando a parlare come se il suo interlocutore si trovasse proprio lì accanto. Trascurò il fatto che non tutte le creature dell’isola possedevano un udito raffinato come quello dei teramin, per cui non si poteva escludere che, nel caos della locanda, al suo interlocutore non arrivasse una singola parola del suo discorso.
    “La mia meta è la Ginestra d’Ambra. Luogo d’immenso interesse, invero inestimabile. Si.”
    Le appendici prensili della sua lunghissima coda scorrevano sulla superficie della mappa descrivendo cerchi concentrici, come il pendolo di un indovino.
    “E basta. In realtà non vi è itinerario alcuno. No. Difatti le comuni mappe sono mute, per me. Ciò poiché la luce mi è negata.”
    Mentre parlava, Leamhan volgeva la testa a volte a destra e altre a sinistra, facendo schioccare sporadicamente la lingua. Iniziava a prendere familiarità con quel luogo caotico, che oramai non gli era più così indecifrabile.
    “Ho dunque il bisogno di una guida munita della vista. Si. Ho previsto svariati scenari lo richiedono, innumerevoli. Deduco lei ne sia provvisto.”
    Leamhan lasciò andare la pergamena che tratteneva al suolo con la punta delle zampe, ed essa si arrotolò immediatamente come una molla. La raccolse con la sua coda prensile.
    “Voglia prendere con sé questa mappa. Quale itinerario mi suggerisce, signor Meno Zell?”
     
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    Meno Zell guardò con estremo interesse la strana creatura che si reggeva su delle zampe che sembravano degli stuzzicadenti e che era privo della vista. Difatti, la creatura quadrupede analizzò il draghelfo negativo con il suo sonoro sonar, che era molto simile a quello che usava Meno Zell per sondare pareti rocciose e terreno, basato sul ritorno degli impulsi elettrici. Durante quella sorta di visita radiologica, l'ibrido negativo non si mosse di un millimetro, solo la punta della coda si muoveva in maniera quasi impercettibile.
    Al termine di quel suo esame, Leamhan mostrò la sua soddisfazione sfoggiando una sorta di sorriso sul suo non-volto, saltellando sulle sue sottili zampe da ragno ed invitando Meno Zell a bere qualcosa offerta da lui stesso. L'ibrido negativo seguì il teramin e si sedette su un alto sgabello vicino al bancone, distendendo la lunga coda per mantenersi in maggior equilibrio. Si mise a ridere quando la creatura scambiò un normale cliente ormai alticcio per l'oste, che richiamò subito la creatura e servì Meno Zell con una schiumosa birra. A parte l'evidente timore del cliente, l'atmosfera nella taverna stava tornando calma, anche perchè era Meno Zell a tenere occupato colui che aveva portato il caos nel locale. I due elfi ripresero a confabulare nella loro lingua madre.
    Grazie, molto gentile e complimenti per la sua birra!" ringraziò l'ibrido negativo, dopo che Leamhan e l'oste si scambiarono delle battute riguardo ai morti e all'idratazione.
    Meno Zell trasse un nuovo sorso della birra appena spinata, godendosi la schiuma e il liquido biondo, riconfermando, con l'ennesimo rutto, che la bevanda alcolica era ottima.
    "Ed ora, parliamo di affari!" disse, prestando attenzione al teramin.
    Il draghelfo negativo guardò la creatura estrarre una pergamena ed appoggiarla a terra, rivelando la mappa dell'isola. Nonostante si trovasse in alto rispetto alla mappa, l'ibrido focalizzò subito la vista, per leggere ogni dettaglio. Allo stesso tempo le sue orecchie e il suo cervello registrarono tutte le istruzioni date da Leamhan.
    Quando il teramin finì di parlare, Meno Zell prese con estrema delicatezza la mappa ed iniziò a studiarla meglio.
    "Caro amico, lei ha molta fortuna, ovviamente non intendo per la mancanza della vista. Prima mi stava analizzando con le sue abilità e sono certo che lei ha capito chi sono. Sono un draghelfo e porto le caratteristiche di entrambe le razze e tra queste c'è la vista più eccellente di qualsiasi creatura. Ci vedo benissimo di giorno, di notte e al crepuscolo. " iniziò a spiegare Meno Zell, senza staccare lo sguardo dalla mappa. I due elfi, avendo capito di aver a che fare con un loro simile per metà, ripresero a commentare.
    "La Ginestra d'Ambra si trova ad ovest, dalla parte opposta di questa fottuta isola. Per andarci, eviterei sicuramente di transitare per l'Ossidiana d'Argento. Ci sono appena stato su quelle montagne per cercare.....uuuh mi scusi un attimo. Devo riferire un messaggio a questi sacchi di patate..."
    Come un vecchietto che alza gli occhi dal giornale che sta leggendo, Meno Zell distolse gli occhi dalla mappa e si rivolse a tutti i presenti nella taverna, oste e camerieri compresi. Approfittando di essere in una taverna dove gli avventori sono per lo più banditi ed avanzi di galera, l'ibrido negativo voleva avere qualche supporto nella sua missione di ricerca della sua controparte positiva.
    "Voi!! Mentre io e il mio amico siamo via, voi altri potete farmi un favore. Sto cercando un draghelfo simile a me...anzi, quasi identico a me! Si chiama Zell e si differenzia da me solo per avere i colori più vivaci e dal fatto di essere stupidamente buono, gentile ed ingenuo. Non siete obbligati a svolgere questo compito ma se qualcuno di voi lo eseguisse, al mio ritorno gli porterò un raro cristallo della Ginestra d'Ambra di inestimabile valore e potrà godere della mia alleanza e protezione, che non è poco. Consideratelo come una taglia o un incentivo. E lo voglio VIVO! Che non vi passi per la mente di ammazzarlo o ve la vedrete con noi due! Catturatelo, rendetelo inoffensivo e sbattetelo in qualche buco nascosto di questa città! Poi me ne occuperò io di lui!" furono le istruzioni agli avventori, evidenziando a voce alta il fatto di avere Zell vivo ma senza sottolineare il fatto che se qualcuno uccidesse Zell, anche Meno Zell sarebbe morto.
    L'ibrido negativo diede un altro sorso di birra e tornò a studiare la mappa.
    "Tornando a noi, amico mio. La via più diretta e sicura per arrivare alla Ginestra d'Ambra è attraverso la Foresta di Ahsnaeris e il Torrente Celeste...a piedi comunque ci vorrà non meno di una settimana...a meno che lei non abbia qualche abilità nascosta e sapesse volare...in tal caso,un giorno è più che sufficiente."
    Meno Zell arrotolò con estrema cura la mappa e la ripose alla cintura vicino alla sua frusta elettrica, assicurandosi di averla fissata per bene.
    "Ad ogni modo...io sono pronto a partire...anche adesso!"
    Finì la birra con il consueto rutto ed attese la risposta dal suo nuovo alleato.

    Oook...come continuiamo? Ancora un post qui e poi chiudiamo o si continua a cercare gente? E andiamo direttamente alla Ginestra o vuoi avere anche una role strada facendo? Per me è indifferente ma sono stra curioso X3


    Edited by ZellDragon6 - 12/11/2019, 18:05
     
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    Leamhan, con il muso rivolto al suolo come se stesse cercando una moneta caduta per terra, scorreva lentamente la punta della sua zampa anteriore sinistra tra le venature delle assi lignee del pavimento. Sembrava interamente assorto in tale attività, traendo apparentemente grande soddisfazione dalle vibrazioni smorzate che giungevano agli organi percettivi contenuti nell’arto. Di tanto in tanto l’orientamento delle sue orecchie cambiava di scatto, e ciò era l’unico indizio che poteva far supporre che le parole dell’ibrido negativo non stessero cadendo nel vuoto.
    “Oh! Un ibrido tra un drago ed un elfo.”, commentò senza disturbarsi di volgere la testa in direzione del suo interlocutore, ancora assorbito nella sua singolare opera di analisi sonora delle fibre del legno.
    “Ciò è assai peculiare. Ne lessi al riguardo su di un volume trattante anatomia comparata. No. Me lo feci leggere in verità sotto pagamento.”

    L’imperscrutabile linguaggio corporeo del teramin mutò improvvisamente quando Meno Zell, dopo aver snocciolato alcune rapide considerazioni relative all’itinerario da seguire, si rivolse alla platea degli avventori del locale per istigarli contro il suo corrispettivo positivo, piazzando, in sostanza, una taglia sulla sua testa. Come un cane da caccia che ha fiutato una pista, Leamhan alzò di scatto la testa e s’irrigidì sulle sue sottili zampe da insetto. Le sue lunghissime orecchie si tesero verso l’alto con tale vigore, che pareva vi fosse stato un filo invisibile a tirarle per punta.
    “Ma come. Mi rifugge il nesso logico.”, osservò con il suo tipico tono di voce monocorde.
    “Tale signor Zell è dunque una brava persona. Dove scaturisce allora il vostro astio nei suoi confronti?”
    Prese una breve pausa, durante la quale una folla di ipotesi, l’una di volta in volta meno rassicurante della precedente, sgomitavano disordinatamente nella sua mente.
    “Siete imparentati? Il suo nome completo è Più Zell? Oppur-.”

    Nessuno l’aveva interrotto, eppure Leamhan troncò di colpo la (presumibilmente lunga) serie di domande che aveva in serbo per l’ibrido negativo.
    “No. No.”, disse con tono di voce più basso ma ancora abbastanza udibile, volgendo nuovamente la testa verso il suolo.
    Tali questioni mi sono estranee. Debbono. È nel mio interesse, nel mio interesse. Il suo era un mormorio che diveniva sempre più fioco e grave ma, al contempo, sempre più rapido e incalzante. Iniziò a picchiettare ritmicamente la punta della zampa destra sul pavimento, lasciandovi una serie di piccole ammaccature.
    “Si. Debbo rammendarlo. Tuttavia che fare, che fare? Mhm. Si. Accorgimenti adeguati come stabilito inizialmente, si.” La sua parlata, che si era ormai ridotta ad una frenetica litania appena comprensibile, ad un orecchio poco attento poteva risultare indistinguibile dal borbottio di uno stufato di verdure a metà cottura. Il tamburellare cadenzato della sua zampa sul pavimento, che segnava perfettamente il ritmo di quella filastrocca farneticante, iniziava a scavare un piccolo foro nel legno.
    “Nondimeno ero consapevole della tipologia ambientale e personologica. Ma come assicurarmene, come? Ah. Mhm. Si. Tale è l’unica soluzione, l’unica.”

    Leamhan continuò a porsi domande dandosi risposte da solo per altri dieci secondi pieni. I clienti della taverna che si trovavano in prossimità del bancone lo fissavano esterrefatti, alcuni bisbigliando qualcosa tra loro e altri additandolo, ma nessuno aveva l’ardire di avvicinarglisi. L’oste lo osservava con la fissità attenta di chi sta ponderando qualcosa. Poi, così come aveva iniziato, Leamhan d’un tratto s’interruppe. Arrestò il picchiettare della sua zampa, che aveva scavato un foro non indifferente nel pavimento.

    “Signor Meno Zell.”, esordì come se nulla fosse successo, volgendo la testa in direzione dell’ibrido. La sua parlata era tornata, come di consueto, svelta e monocorde eppure perfettamente scandita.
    “Il signor Più Zell è caratterizzato da colori più vividi. Possiede dunque una quantità di colore maggiore della sua? Ma in che senso, come? E quale colore?” Poneva le sue domande in rapida successione, senza lasciare al suo interlocutore lo spazio per inserirsi.
    “Ad esempio. Se lei è rosso, egli è più rosso? Per questo si chiama Più Zell? Come un suono di maggiore intensità, si. Ciò è sensato. A tal proposi-”
    “Hey amico!”, lo interruppe l’oste, che stava riempiendo un boccale di birra. Un sorriso obliquo deformava il suo viso spigoloso e mal rasato.
    “Tu non sputi mai, eh? Riempiti la bocca con questa!”. Detto ciò depose con vigore il boccale di birra sul bancone, che all’impatto vi rovesciò parte del suo schiumoso contenuto.
    Leamhan volse di scatto la testa in direzione dell’oste. Emise un paio di clic con il suo sonar, come se ciò potesse aiutarlo a comprendere meglio le parole dell’uomo.
    “Sputare a terra è sconveniente. Perché dovrei? Non capisco, no.” Inclinò leggermente il muso a sinistra, visibilmente confuso. Il disegno dell’occhio che decorava la sua maschera prese la forma di un punto interrogativo.
    “Forza, bevi. Offro io.”, insistette l’oste senza badare alle osservazioni del teramin. I clienti seduti al bancone osservavano incuriositi la scena. Qualcuno, con aria indifferente per non dare troppo dell’occhio, si avvicinò un poco per seguire meglio la conversazione.
    “No grazie. Le bevande alcoliche mi fanno sentire strano. Inoltre la birra non mi piace, no. È amara.” Leamhan fece un piccolo passetto indietro, un po' a disagio. La sua coda, rapida e nervosa, disegnava strette curve nell’aria.
    “Guarda che se non bevi mi offendo eh!”, incalzò l’oste con un tono perentorio volutamente caricaturale, facendo mostra della sua dentatura irregolare e ingiallita attraverso il ghigno furbesco che aveva dipinto in volto.
    “M-ma io… Ah! Acconsento. Tuttavia solo un assaggio.”, si arrese Leamhan. Si avvicinò con aria circospetta al boccale spumeggiante, come se temesse che quello potesse esplodere da un momento all’altro in maniera simile ad uno dei suoi sigilli d’ombra. Tentò di sollevarlo con la coda prensile, ma aveva difficoltà a mantenerlo in equilibrio senza rovesciarne il contenuto. Allora si sollevò sulle zampe posteriori puntellando quelle anteriori sul bancone, avvicinò il muso al boccale ed iniziò a saggiarne il contenuto tirando su il liquido con rapidi scatti della lingua, in maniera molto simile a come fanno molti animali per abbeverarsi.
    “Ah… è amara!”, commentava, tra una leccata e l’altra, sorseggiando la bevanda con una lentezza esasperante.
    Alcuni tra gli astanti scoppiarono a ridere in modo sguaiato, altri si avvicinarono ulteriormente. Una folla di loschi figuri iniziava gradualmente ad accalcarsi attorno al teramin. L’oste, impassibile, continuava a fissarlo con aria divertita.

    “Basta. Non riesco più di così, no.”, sbottò infine Leamhan, esausto. Aveva bevuto poco più di un quarto del boccale. Scese dal bancone con un saltello un po’ impacciato, e ci mancò poco che perdesse l’equilibrio. Era così poco abituato all’alcool, che già iniziava ad avvertirne gli effetti. Avrebbe voluto avvicinarsi a Meno Zell per definire gli ultimi dettagli della loro imminente partenza, ma si rese subito conto che poteva a malapena tenersi in piedi sulle sue quattro zampe: il pavimento del locale era il ponte di una nave in tempesta, il sopra si confondeva col sotto, tutto ruotava vorticosamente attorno a lui. In breve, tre sorsi di birra e Leamhan era già ubriaco. Tentò nuovamente di muovere un passo in avanti, ma barcollò paurosamente e quasi cadde su di un fianco.

    “Ammirate!” proferì a gran voce l’oste con aria di riverenza pomposa e teatrale, compiendo un ampio gesto con le braccia ad indicare il teramin, “Colui che ha sfidato Turak il Trituraossa!”
    Dalla folla di curiosi che si era accalcata attorno a Leamhan si sollevò una cacofonia di risa sguaiate e di fischi, la quale si propagò a macchia d’olio per l’intera bettola.
    “Spaccagli il culo mostriciattolo!”, urlò qualcuno.
    “Dopo ti presento la mia mula, così stanotte ve la spassate!”, gli fece eco qualcun altro, facendo gesti irripetibili con le mani.
    “Dacci dentro cavallino hahaha!”

    Immerso in quella babele di risa, di fischi e di grida a squarciagola, Leamhan era più disorientato che mai. Volgeva la testa a destra e a sinistra schioccando furiosamente la lingua, nella vana speranza di orientarsi con l’aiuto del suo sonar. Il suo tentativo disperato di reggersi in piedi si risolveva in una sorta di balletto di piccoli saltelli ticchettanti, oscillando ora in avanti ora indietro come un animale che tenta di mantenere l’equilibrio su di una scivolosa lastra di ghiaccio.
    “P-perché vi prendete gioco di me? Basta basta.” ripeteva con le orecchie abbassate, atterrito. “Io no-non vi ho fatto niente, no, non vi ho fatto alcunché.”
    Un tizio calvo e nerboruto gli si avvicinò a grandi passi e gli diede un vigoroso spintone con un piede, facendolo rovinare al suolo su di un fianco.
    “Tsk. E lui sarebbe quello che ha pestato Turak?”, ringhiò con disprezzo.
    “Sarà stato un colpo fortunato”, gli rispose un altro con un’alzata di spalle.
    Leamhan fece per rialzarsi, ma qualcuno lo tirò per la coda mandandolo con il sedere sul pavimento, il che causò una nuova ondata d’ilarità generale.
    “S-smettetela di prendervi gioco di me. Smettetela di prendervi gioco di me. Smettetela smettetela smettetela…”. Leamhan continuava a parlarsi addosso con voce tremante, ormai preda del panico. Non senza difficoltà, riuscì finalmente a sollevarsi sulle sue quattro zampe.
    “Cessate ho detto, finitela!”

    Un altro tra i presenti, mosso da un impeto di coraggio e di sfacciataggine che, con ogni probabilità, era ispirato da discrete dosi d’alcool, si avventò sul teramin afferrandolo saldamente per un orecchio. Avrebbe voluto esultare con un grido di vittoria, ma non ne ebbe il tempo: con lo scatto incredibilmente rapido di un animale selvaggio, Leamhan si alzò sulle sue zampe posteriori, emise un verso tanto acuto e intenso da perforare i timpani e mollò una micidiale testata al malcapitato. Scaraventato a terra dall’impatto, egli si portò entrambe le mani sul volto grondante di sangue, e, riverso su di un fianco in posizione fetale, iniziò ad urlare di dolore bestemmiando profusamente.

    Un coro indistinto di grida, molte di sorpresa e alcune di terrore, si sollevò immediatamente tra la folla. Leamhan, che tra tutti era il più sconcertato, indietreggiò di qualche passo.
    “AH! N-non era mia intenzione, no…”, mormorava. La maschera ossea del suo volto era imbrattata di sangue, che percolava a terra in piccole gocce di un rosso torbido.
    Alcuni tra i presenti scoppiarono a ridere, e ciò mandò immediatamente in bestia uno tra gli amici del tizio riverso a terra.
    “CHE CAZZO TI RIDI!”, sbottò avventandosi contro il più vicino tra coloro che avevano ceduto all’ilarità, tirandogli un pugno dritto sul naso. Quello ovviamente reagì, e con lui tutti coloro che si consideravano suoi amici. La reazione dell’altro gruppo non si fece attendere, e così, per un effetto a valanga dove ogni persona coinvolta nella zuffa ne richiamava dentro almeno altre tre, si scatenò finalmente l’immancabile rissa da taverna, con tanto di sedie proiettate per aria e bottiglie fracassate sulle teste. L’oste, davanti a quello spettacolo, sghignazzava con tanta foga e sguaiatezza da sovrastare con le sue risa il caos generale, battendo vigorosamente i pugni sul bancone in legno massiccio.

    Fu così che, magicamente, tutti sembravano essersi improvvisamente dimenticati della presenza di Leamhan. Egli, barcollando a destra e a sinistra mentre si teneva aggrappato con la coda al bancone, procedeva servendosi delle sue sottili zampe anteriori come un cieco farebbe con il proprio bastone. Avanzando così a tentoni riuscì a raggiungere Meno Zell, che riconobbe facilmente dall’odore non proprio freschissimo.
    “Signor Meno Zell.”, lo chiamò con la sua solita voce inespressiva, “Propongo di partire seduta stante.”
    Tentò di compiere un singolo passo dopo aver lasciato andare il bancone con la coda, ma si sbilanciò immediatamente e cadde ancora una volta a terra con il sedere.
    “Necessito tuttavia del suo aiuto per deambulare.”, si giustificò.
    L’oste, intuendo che il teramin si stava accingendo a lasciare il locale, lo salutò con un cenno della mano caricaturalmente militaresco.
    “Vai cavallino, sei tutti noi! Hahahahaha!”, esclamò a stento tra una risata e l’altra.
    Leamhan lo ignorò.
    “Andiamo via, signor Meno Zell. Cortesemente.”, disse con voce leggermente incrinata.
    “Qui la gente è strana, si, molto strana invero.”


    Ok, per me si può anche chiudere qui ed aprire ad Ashnaeris (scritto così a sentimento senza controllare), magari dopo un post conclusivo di Meno Zell. :paninozzo:
     
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    Leamhan, come previsto da Meno Zell, si mostrò interessato dall'identità della controparte dell'ibrido che iniziò a chiedere lumi su chi fosse Zell, o meglio Più Zell, e sull'astio tra i due draghelfi.
    "Quella nullità di un draghelfo è come un bambino. Si succhia ancora le sue dita....dei piedi...bleah! Non siamo imparentati direttamente, siamo come due anime opposte...e da opposti ci odiamo a vicenda...Lui si chiama Zell e basta...non si merita il prefisso Più...non ha niente di -più-, se non la sua stupida positività. Il Meno davanti al mio nome testimonia la mia orgogliosa negatività. Comunque, se lei vuole chiamarlo Più Zell è libero di farlo. Matematicamente è corretto!" rispose l'ibrido negativo, bevendo poi un lungo sorso di birra, gustandola a pieno come se già pregustasse la vendetta e la tortura sulla sua controparte positiva.
    Il suo amico quadrupede poi iniziò un dialogo con sè stesso, parlando sottovoce ma con le parole ben udibili dall'udito del draghelfo che nel frattempo terminò la sua terza birra, con conseguente ennesimo rutto.
    Quando finì quel suo dialogo interiore, Leamhan riprese a parlare con Meno Zell riguardo al suo "fratello" e ai suoi colori. L'ibrido negativo fece per rispondergli ma l'oste interruppe il loro dialogo. Evidentemente sia lui che gli altri avventori della taverna erano stufi di sentire la voce stridula del Teramin.
    Il bicchiere pieno di birra offertogli dall'oste scivolò lungo il bancone fino ad arrivare dal quadrupede cieco, che sulle prime rifiutò, essendo astemio, ma poi accettò di bere.
    "Signor Leamhan, la prego, non continui a bere. Finisco io la birra per lei!" il draghelfo negativo tentò di fermarlo ma ormai era troppo tardi. Bastarono pochi sorsi per far barcollare il Teramin come se fosse stato colpito da un calcio invisibile.
    Gli avventori iniziarono ad accalcarsi attorno al Teramin e a sfotterlo, facendo irritare Meno Zell, il quale non intervenne subito (se non in caso di estrema necessità) ma si lasciò apposta innervosire per poi scaricarsi.
    I sacchi di patate, incuranti della presenza dell'ibrido negativo ben più robusto di loro, continuarono a sfottere il povero Teramin ubriaco che iniziò ad invocare pietà come un cucciolo. Si stava lamentando come Zell.
    Un tizio calvo lo spintonò mentre un altro lo tirò per la coda mandandolo a terra come un cerbiatto.
    Un terzo avventore sollevò poi di peso il teramin per le orecchie ma stavolta la creatura quadrupede si difese iniettando nelle orecchie dell'umano un suono così acuto che gli perforò i timpani, facendogli uscire del sangue dalle orecchie.
    La situazione poi degenerò nella classica zuffa di taverna, con l'immancabile volo di sedie e tavoli. Meno Zell bevve tutto di un sorso la birra avanzata dal suo amico e poi ricercò chi ha deriso di lui. Per primo trovò il tizio calvo e nerboruto, lo richiamò picchiettandogli sulla schiena, gli sferrò un gancio in pieno stomaco che lo fece piegare su se stesso e poi lo fece volare fino a fargli sfiorare le travi del soffitto della taverna. L'umano senza capelli terminò il suo volo contro il tavolo dove era seduto prima Meno Zell, rovesciando tutto.
    Quello che tirò la coda al teramin fece lo stesso anche con la coda dell'ibrido ma si accorse troppo tardi che la coda di Meno Zell era decisamente più robusta, munita di spuntoni appuntiti. L'ibrido negativo la fece guizzare per spedire lontano anche questo sacco di patate.
    Una bottiglia volante si schiantò sulla nuca e sulle corna nere di Meno Zell, esplodendo in una miriade di schegge e sporcando l'ibrido di vino rosso. A tirarla era stato un nano, che era alto un terzo del draghelfo.
    "Ho sempre provato antipatia sia per i draghi che per gli elfi...e ora ne trovo uno che condensa entrambe le razze....fatti sotto!" sbraitò quel fungo col naso rosso.
    L'ibrido camminò in direzione del nano, schiacciando sotto i piedi i frammenti estremamente taglienti di vetro che non riuscirono a scalfire nè i suoi calzini lerci (ora anche di vino) nè tantomeno le sue scaglie.
    Meno Zell menò un calcio dritto in muso al nano che lo fece barcollare, seguito da un secondo calcio che lo fece rotolare sul pavimento.
    Che dicevi, nanerottolo?" sghignazzò Meno Zell, mettendogli il piede in faccia.
    "Che tanfo......urgh....." la creatura umanoide tozza stava quasi per svenire.
    Il draghelfo elettrico negativo lasciò perdere quel pezzo di lardo che era il nano e tornò dal suo amico quadrupede, che lo raggiunse galoppando e chiedendogli di lasciare quella taverna, con il suo aiuto.
    "Ha ragione signor Leamhan...questi sacchi di patate non meritano la nostra presenza. Andiamo...l'aria della foresta le farà bene..." rispose l'ibrido.
    "...finchè esisterà una foresta..." aggiunse, mentalmente.
    Come una madre prende amorevolmente in braccio suo figlio, così Meno Zell prese con estrema delicatezza in braccio il Teramin, accarezzandogli il collo e il dorso, per poi dirigersi verso l'uscita.
    L'ennesima frecciatina dell'oste all'indirizzo dii Leamhan venne ribattuta dall'ennesimo sonoro rutto di Meno Zell. Avrebbe voluto sfasciargli il locale per vendicarsi del suo amico ma a salvare l'attività dell'oste fu il fatto di aver servito l'ibrido negativo con quattro ottime birre. E l'ibrido era ben lontano dall'essere minimamente brillo.

    Ok...Meno Zell esce....apro io ad Ashnaeris, visto che è Meno Zell a batter traccia nella foresta... :2cdxwrt: :i6wl7r:
     
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    In teoria pensavo di finire con il mio post precedente, però mi sembrava un peccato lasciar cadere questa interazione. u_u

    Ah, ma allora persino Meno Zell ha un lato tenero. :i6wl7r: Chi l'avrebbe mai detto? Sarà vero? Non vedo l'ora di scoprirlo. :dragongrin:

    PS: in realtà Leamhan ha una voce inaspettatamente profonda e un po' ovattata, esattamente l'opposto di quella che ci si attenderebbe guardandolo.


    L’ibrido negativo, dopo aver preso le difese di Leamhan nella zuffa da lui involontariamente provocata – peraltro la seconda nell’arco di una mezzora scarsa, il teramin era un vero talento quando c’era da infiammare gli animi – lo prese tra le braccia in maniera sorprendentemente amorevole e s’incamminò verso l’uscita del locale.

    “Signor Meno Zell. Porgo i miei ringraziamenti.” Impossibilitato, in quanto cieco, a cogliere le espressioni facciali, Leamhan parlava senza voltare la testa verso l’interlocutore. Il suo eloquio, affrettato eppure scandito con precisione, per qualche strana ragione non risultava minimamente alterato dai fumi dell’alcool.
    “Non avrei dovuto ricorrere alla violenza, no. Tuttavia avevo avvisato.”, si giustificò, riferendosi al naso che poco prima aveva frantumato con una testata. Era il secondo nella serata, contando quello di Turak.
    “Ma essi agivano così insensatamente. Quale alternativa avevo, quale?”.
    Rimase in silenzio per un po’. Ogni tanto il suo corpo minuto era scosso da un breve sussulto: a causa della bevuta gli era venuto il singhiozzo.
    “Lei è un amico, signor Meno Zell.”, disse, dopo un po’, voltandosi verso l’ibrido. “Il primo, per me. =)”.
    Dalla voce del teramin non trapelava alcuna particolare emozione, ma sulla sua maschera ossea, che imbrattata di sangue era adesso di un rosso acceso, si delineò il solito disegno rappresentante un volto sorridente stilizzato.

    L’oste, nel frattempo, continuava a fissare i due mentre si avviavano verso l’uscita del locale.
    “Hey voi!”, li chiamò mentre erano ormai sulla soglia, sollevando il boccale che, immancabile, teneva in una mano.
    “Non deludetemi, mi raccomando.” Il tono delle sue parole, in contrasto col sorrisetto obliquo che aveva ancora impresso sulle labbra, suonava inaspettatamente serio.

    Leamhan esce
     
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